lunedì 9 agosto 2010

Trasloco!


Ci siamo trasferiti su
http://fabuland.wordpress.com/
Vignette, racconti, creatività....

venerdì 14 maggio 2010

Amigurumi: amineko Trip, il mio gatto modello Fluffy

Dato che amo fare cose complesse all'uncinetto, ho creato un gatto bianco-soriano (ovvero modello Fluffy).
Eccolo qui, così tenero e carino che l'ho chiamato Trip come Charles Tucker III. Nelle zampine ho messo delle calamite, così si può aggrappare, ad esempio, alle colonnine della mia libreria. Era il primo micio molto lavorato che facevo.
Come l'amineko Jonathan, ha il musetto ricamato, Trip ha anche le orecchiette rosa ricamate. Lo schema è lo stesso.

giovedì 13 maggio 2010

Amigurumi: amineko Jonathan, il mio gatto verde

Amigurumi ("giocattolo fatto a maglia e imbottito") è l'arte giapponese di creare a maglia o all'uncinetto animali imbottiti e creature atropomorfe. La parola deriva da "ami" (cioè fatto a maglia o all'uncinetto) e nuigurumi (cioè bambola imbottita).

Questo gatto verde (chiamato Jonathan in onore del mitico Capitano Jonathan Archer di "Enterprise") è il primo amigurumi che ho creato. In particolare, gli amigurumi gatti vengono chiamati "amineko" (in giapponese neko significa gatto). E' fatto all'uncinetto con il musetto ricamato.

Lo schema è preso fa questo sito, Pattern of crocheted cat, io l'ho leggermente personalizzato.

martedì 11 maggio 2010

I Naviganti 2: K'lalatar Prnak'lirli K'lalatar Prkori

I Naviganti 2:
K'lalatar Prnak'lirli K'lalatar Prkori
(Infinite Combinazioni in Infinite Diversità)

di Monica Monti Castiglioni
con la collaborazione di Seti

Dedicato a mia Madre

Trip Tucker appoggiò il piede sul bordo della passerella e, aggrappandosi alla ringhiera, si tirò su senza usare le scale. Ormai non gli faceva più nessun effetto camminare vicino al motori a curvatura. Rimpiangeva vagamente il periodo in cui i raggi delta emessi dai motori gli davano la nausea. Per lo meno non ne era ancora assuefatto.
Iniziò a fare i controlli di routine. Tutto andava come doveva.
«Comandante?»
Trip alzò gli occhi al cielo, quando sentì la voce piatta del Vulcaniano. «Cosa vuoi, Soval?» chiese.
«Il capitano mi ha chiesto di darle una mano per la diagnostica.»
L’ingegnere si girò. «Ho già finito.» Gli lanciò uno sguardo di traverso. «Di’ al capitano che qui è tutto a posto. Dev’essere stato Mayweather a beccare una buca, perché i miei motori sono perfetti.» (Sì, lo so è un chiodo fisso).
Trip sorrise leggermente quando vide T’Pol arrivare verso di loro.
«Soval, puoi andare dal capitano Forrest.» disse lei, scostandosi un ciuffo di capelli dal viso. «Aiuterò io il comandante.»
La Vulcaniana salì sulla passerella e si avvicinò ai controlli della diagnostica.
«Ho già fatto passare tutto.» disse Trip, con voce scocciata. Ma T’Pol non smise di lavorare alla consolle. «Pensi di saperne più di me?» Tucker si avvicinò a lei, fino a premersi contro il suo fianco.
«Credo che sia meglio effettuare un doppio controllo.»
Trip infilò le mani tra i capelli lunghi della Vulcaniana. «Quanto tempo manca al tuo prossimo pon farr?»
Lei si scostò di colpo. «C’è qualcosa un collettore. E’ sporco.»
«Non mi hai risposto!» esclamò lui, prendendola per un braccio.
T’Pol si girò, guardandolo duramente. «Te l’ho già detto: noi Vulcaniani ci accoppiamo una volta ogni sette anni.»
Tucker la tirò verso di sé, stringendola. «Scommetto che un altro accoppiamento in questi giorni ti farebbe lo stesso piacere.»
Lei si divincolò. «Bisogna pulire il collettore.» Con passo veloce, scese dalla passerella. Trip sospirò leggermente. «Puttana.» sussurrò. Si passò una mano tra i capelli, specchiandosi in un quadro comandi. Sapeva di essere bello e non accettava che una donna lo respingesse. Soprattutto una schiava vulcaniana.

T’Pol finì di pettinarsi i capelli umidi, dopo essere uscita dalla sala macchine aveva sentito il bisogno di lavarsi a lungo. Non che il comandante Tucker non le piacesse, ma aveva quel fare viscido da Umano che lei a mala pena sopportava, così come il suo odore. E non solo il suo, ma quello di tutti gli Umani. Da parte sua Trip aveva qualcosa che riusciva ad addolcirla. In fondo aveva dei rari momenti di gentilezza e per lo meno era disposto a scendere a compromessi che molti umani non avrebbero nemmeno preso in considerazione.
«Avanti.» disse, quando sentì il campanello. «E’ tutto fatto?» chiese, scostandosi la frangia dagli occhi.
Soval annuì. «C’è solo da sperare che funzioni.»
«Non sono convinta dei viaggi interuniversali tanto quanto non lo sono dei viaggi nel tempo.»
«Sei una scienziata, T’Pol. E come tale devi avere una mente aperta. Se i nostri antenati non avessero avuto una mente aperta, i viaggi a curvatura non sarebbero mai nati.»
Lei sospirò. «Mi chiedo se non sarebbe stato meglio.» Chiuse gli occhi, immaginandosi Vulcano isolato dal resto dell’Impero Terrestre. Non era una cattiva idea.
Un fortissimo colpo scosse la nave.
«Eccolo.» disse Soval, aggrappandosi al tavolo.
«Dobbiamo andare a vedere in sala macchine. La porta dovrebbe aprirsi lì.»
Corsero per i corridoi, in mezzo al caos che l’uscita improvvisa dalla curvatura e l’esplosione avevano provocato. Molti membri dell’equipaggio erano stesi sul pavimento, alcuni per lo shock, altri per ferite di vario genere. T’Pol li ignorò, correndo verso il ponte E. Soval le stava dietro a stento. Forse era solo una vana speranza. Forse pensare di passare in un altro universo non aveva senso: sarebbero stati schiavi anche là.
Sentiva odore di plastica bruciata già dal ponte D. Sbucò nella sala di osservazione e guardò i motori in fiamme. «Non doveva andare così.» sussurrò.
«No....» replicò Soval.
T’Pol scese di corsa le scale e andò verso il retro dei motori, dove Soval aveva piazzato il generatore, collegandosi al motore. Doveva semplicemente aprire una porta interuniversale, non spaccare in due il motore. C’erano diverse persone a terra, ma lei non se ne curò. Si guardò intorno, cercando la fessura.
Niente.
«Dannazione....» sussurrò. Girò intorno ai motori, guardando verso l’alto.... finché non sentì una voce nota, appena percettibile nel caos in cui era precipitata la nave.
«T’Pol....»
La Vulcaniana si girò e vide Trip Tucker riverso a terra.
Si avvicinò lentamente. «Comandante Tucker....» sussurrò. Si accovacciò accanto a lui, mettendogli una mano sulla spalla. Rabbrividì quando notò che il lato destro del volto di Trip era stato completamente bruciato. Probabilmente una bruciatura dovuta a un’emissione di raggi delta. «Chiamo i soccorsi.» disse. Si alzò in piedi e premette il più vicino pulsante di comunicazione.
Nessun suono.
Riprovò, ma le comunicazioni erano fuori uso. Decise di andare in infermeria direttamente, ma la sua corsa venne interrotta bruscamente dal comandante Archer, che l’afferrò con forza per le spalle. «Dove corre così in fretta?» Dietro di lui le sorrise perfidamente colei che tra di sé T’Pol chiamava “la sua tirapiedi - per non dire tira-altro”, Hoshi Sato. T’Pol pensava che fosse una delle donne più perfide dell’intera umanità, che già non si distingueva per la sua bontà.
«Ci sono molti feriti.» disse. Non voleva dire che stava correndo proprio per Trip. Archer era tendenzialmente geloso. «Le comunicazioni sono interrotte.»
Archer la spinse indietro. «Vada, allora.» Camminò fino a Tucker. «Trip.»
Lui si girò appena.
«Che cosa diavolo è successo quaggiù?» chiese.
Trip scosse leggermente la testa, mentre la pelle bruciata gli mandava segnali di fuoco.
Archer lo ignorò, quando la sua attenzione fu catturata da una sferetta azzurrognola che fluttuava appena sopra di lui. «Che diavolo è?» chiese. «Sembra un piccolo lampo di curvatura....»
«Non la tocchi!» esclamò Soval.
Archer lo fissò. «Allora è stato lei a fare questo disastro.»
«No.» mentì lui. «Ma ho già visto cose del genere e so che.... sono pericolose.»
Hoshi si avvicinò, ignorando completamente Trip che si lamentava ai suoi piedi, dato che lei, praticamente, lo stava prendendo a calci. «Invece secondo me è qualcosa di interessante.» Mise una mano sulla spalla di Archer. «Vedi Jon, probabilmente il vulcaniano ti ha detto così perché non vuole che lo tocchiamo.»
Soval prese un profondo respiro. «Non toccatelo.... o.... finirete come il comandante Tucker....»
Archer rise. «Già.» Allungò una mano e la infilò nella sferetta azzurra.

«Come si sente?.... Capitano?»
Archer aprì lentamente gli occhi e si ritrovò a fissare un sorridente, cortese, gentile Phlox in abiti color panna. «Phlox?!» chiese.
«Sì, capitano. Sono io.»
Lui si tirò su un gomito, guardando il Denobulano. «Capitano?» chiese. Lui non era capitano. Forrest gli aveva fregato il posto.... «Dov’è quel figlio di puttana di Soval?» chiese.
Phlox lo guardò stupito, più che altro per l’epiteto. «Non ne ho idea. Che io sappia non ci ha contattato, immagino che sia sempre a capitanare la sua nave vulcaniana, probabilmente ben distante da qui.»
Archer scosse leggermente la testa. «Ma cosa sta dicendo?» Si scostò le coperte di dosso e si mise a sedere sul letto.
«Piano, capitano!» esclamò Phlox.
«Ma cosa mi è successo?» chiese.
«Non lo sappiamo. Il tenente Reed crede che la sala motori sia stata attraversata da una microsingolarità, che ha preso in pieno lei, Hoshi e il comandante Tucker.» Phlox sospirò. «Lei e Hoshi state bene, ma per quanto riguarda il comandante Tucker....»
Archer si tirò in piedi. «Cosa?»
Phlox aprì leggermente la tenda e parlò sottovoce: «Ho finito di curare la sua ferita. E’ ancora sotto sedativi.... ma temo che difficilmente riuscirò a cancellare la cicatrice.» Doveva ammetterlo: non era molto bravo con le cicatrici.
«Non fa niente.» disse Archer. «Sarà ancora in grado di star dietro ai motori?»
Il medico lo guardò leggermente stupito. «Sì.... sì, certo capitano.» Chiuse la tenda. «Per fortuna i danni al motore non sembrano particolarmente gravi.»
Archer annuì leggermente e lanciò uno sguardo a Hoshi. «La mandi nel mio alloggio, quando si sveglia.»
«Nel suo alloggio?» chiese Phlox.
«Sì, Phlox. Nel mio alloggio.» replicò lui.
«Si sente bene, capitano?»
Archer si fermò sulla porta dell’infermeria. No, non si sentiva a posto. Qualcosa non andava. Lanciò un’ultima occhiata a Phlox, quindi uscì. Era tutto storto. Phlox era troppo buono. Lo innervosiva. E poi perché mai lo chiamava capitano?
Si accorse solo allora che la sua divisa era diversa. Non molto diversa, ma tanto per iniziare non c’era il simbolo dell’Impero Terrestre, sulla manica.
«Dove sono finito?» sussurrò tra sé. Lo chiamavano capitano.... Archer si fermò, appoggiandosi con una mano alla parete. Aveva sentito parlare dei viaggi interuniversali. I Vulcaniani li avevano studiati a lungo e si diceva che molti di loro avevano cambiato universo. Forse era la spiegazione.
«Capitano?»
Riconobbe la voce di Malcolm Reed e si girò. Ma com’era vestito? Aveva una divisa blu, non quella dei M.A.C.O.. E anche quella divisa era leggermente diversa.
«Capitano, sta bene?»
«Sì.» disse lui. «Il dottore mi ha appena dimesso.»
Reed annuì e gli passò un PADD. «Volevo aggiornarla sui danni.»
Archer pensò che era un buon modo per farsi condurre, senza chiederlo, dove voleva. «Sono piuttosto stanco, me lo può dire mentre andiamo verso il mio alloggio?»
L’altro annuì. «Certo. Qualsiasi cosa abbia danneggiato marginalmente i motori. Non ci vorrà molto tempo per risistemarli....»
«Quanto tempo?»
Reed esitò. « Quattro o cinque giorni. Spero che il comandante Tucker si rimetta presto.... con il suo aiuto accorceremmo i tempi.»
Si fermarono davanti alla porta dell’alloggio di Archer. Reed gli passò il PADD. «Buon riposo, capitano.»
Archer annuì e prese il PADD. Aprì la porta e guardò all’interno. Ottimo alloggio, pensò. Da lì poteva tenere sotto controllo tutto. «Porthos.» chiamò.
Non arrivò nessun cane.
Dopo alcuni secondi, camminando lentamente, un gatto apparve nel suo campo visivo, poi si fermò sull’angolo del letto.
«Un gatto?» disse schifato. «Sei il pasto di Porthos?»
Il gatto appiattì le orecchie sulla testa e iniziò a soffiargli contro.
Archer fece un balzo indietro. Il suo Porthos non gli aveva mai ringhiato contro. Fece per avvicinarsi, ma il gatto continuò a soffiare. «Bestia schifosa.» disse. Premette l’interfono. «Archer a sicurezza. C’è una belva feroce nel mio alloggio. Venite a portarla via.»
Arrivò Phlox con una gabbia. «Che animale m’è sfuggito, ora?» Doveva ammettere di avere anche una certa imbranazione nel tenere i suoi animaletti confinati in infermeria.
Archer indicò a terra. Il gatto aveva ancora le orecchie appiattite e fissava il capitano.
Phlox sgranò gli occhi, sorridendo. «E’ quella la belva?!»
«Mi ringhia contro.»
«Athos!» esclamò Phlox, raccogliendo il gatto squama di tartaruga tra le braccia. «Capitano, s’è dimenticato del suo gatto?»
Archer non rispose. «Lo può portare via?»
Il medico annuì. Il gatto si strofinò contro Phlox, fissando Archer finché col medico non uscì dal suo campo visivo.
«Un gatto.» disse una voce alle spalle di Archer. Lui si girò e vide Hoshi.
«E’ una presa in giro, *capitano*?» La donna rise. «Orecchie a punta, emozioni mascherate, atteggiamento composto e logico. Proprio come un Vulcaniano.»
«Tu hai capito dove siamo finiti?»
«In un altro universo.» disse Hoshi.
«Su questo non avevo dubbi.»
Archer si lasciò cadere sulla poltrona. «Pare che i Vulcaniani non siano schiavi, in questo universo, dato che Soval ha una nave tutta sua.» Batté col pugno sul bracciolo.
«Allora allenati.» Alzò la mano mostrandogli il saluto vulcaniano. «Hai trovato T’Pol?»
«Non ancora.»
Hoshi si buttò sul letto e lo guardò. «Se non mi procuri un po’ di cosmetici, io qui divento pazza.»
«Perché?» disse lui. «Stai bene così, acqua e sapone.»
Lei gli lanciò uno sguardo di traverso. «Sembro una sedicenne.»
«Appunto.» Archer le sorrise. «Possiamo sfruttare questo universo a nostro favore.»

T’Pol scostò la tenda e guardò all’interno. Trip era ancora addormentato sul lettino, il lato destro del volto fasciato. La Vulcaniana si avvicinò lentamente.
Un anno e mezzo prima, quando avevano iniziato a fare neuropressione, tra di loro si era creato un profondo legame, così che erano arrivati a passare insieme tanto tempo che sull’Enterprise giravano pettegolezzi su di loro.
A T’Pol non interessavano. Non erano fondati, tra di loro non era mai accaduto nulla, neuropressione a parte.
Sapeva che Trip era molto attratto da lei. E anche a lei Trip piaceva veramente tanto. Ma lei era promessa sposa a Koss, aveva rimandato il matrimonio per quasi quattro anni. Quando era tornata a casa, aveva parlato a lungo con sua madre. E aveva finito per fare quel che la logica imponeva: sposare Koss e ritornare sull’Enterprise.
Il matrimonio non si era mai consumato, così come l’amore tra lei e il comandante Tucker, rimasto latente, platonico.
Koss aveva sciolto il matrimonio da qualche mese e lei non aveva ancora avuto il coraggio di dirlo a Trip. Lui l’aveva saputo solo per vie traverse. Sua madre l’aveva fatta pensare in modo logico. Non avevano futuro, meglio non iniziare nemmeno una relazione che non avrebbe avuto vita. Trip Tucker era così diverso da lei. Impulsivo, pratico, spudorato, un po’ esibizionista.
Gli prese delicatamente una mano nella sua. «Trip.» sussurrò.
Restò così per diversi minuti, fin quando Tucker sbatté leggermente la palpebra dell’occhio scoperto e lentamente la mise a fuoco. «Chi.... chi cazzo sei?» sussurrò.
T’Pol ritrasse la mano quasi di scatto. Trip non sempre usava termini appropriati - lei in particolare non capiva perché spesso chiamasse Archer “figlio di cagna”, data la sua passione per i gatti - ma non aveva mai usato una frase del genere in sua presenza.
«T’Pol?!» disse, con un’espressione quasi schifata. «Perché ti sei tagliata i capelli in quel modo assurdo?»
La Vulcaniana alzò un sopracciglio. In realtà negli ultimi mesi aveva lasciato i suoi capelli leggermente più lunghi, li pettinava più alla terrestre che alla vulcaniana. Era un piccolo sfizio che si era concessa e che non era passato inosservato a Trip.
«Come ti senti?» chiese.
«Fanculo.» disse. «Fa un male atroce....» Si portò una mano sul volto. «Raggi delta, vero?»
T’Pol annuì. «Trip....»
«Vattene, stronza.» disse lui.
Lei lo guardò stupita.
«Lasciami stare.»
T’Pol girò sui tacchi e uscì. Si sentiva ferita, ma come Vulcaniana non poteva darlo a vedere. Lo stupore non finì. Phlox stava entrando in infermeria con Athos in braccio. «Soffiava contro il capitano Archer.» spiegò Phlox, lasciando andare il gatto su un mobiletto.
«E’ strano. Ricordo che nei miei primi giorni sull’Enterprise, Athos soffiava contro di me.» Certo, lei era considerata la spia mandata a controllare Archer, ovviamente il suo gatto la odiava.
A lei però non dispiaceva. Per quanto fosse illogico l’affetto di Archer verso un quadrupede che non sa parlare (ma per lo meno sa usare la toilette), trovava quel gatto un animale in effetti utile. Non dava particolarmente fastidio, era quasi invisibile, girava per la nave senza che nessuno si accorgesse della sua presenza, data l’andatura soffice e silenziosa del suo passo. Quando a Phlox sfuggiva qualche animaletto, cosa molto frequente, era solitamente Athos a riportarlo in infermeria, portandolo delicatamente come fanno le gatte con i piccoli.
Sapeva che in passato sulla Terra i gatti erano abitanti abituali sulle navi, per cacciare i topi. Aveva letto addirittura che a Venezia, potenza navale nel passato, le navi venivano assicurate solo con la clausola che avessero almeno due gatti a bordo. T’Pol trovava Athos un compagno di viaggio discreto e intelligente. Inoltre aveva orecchie a punta, nascondeva tranquillamente le sue emozioni e sembrava agire secondo una logica. Praticamente un Vulcaniano sulla Terra.
L’unico problema era che la logica del gatto non era esattamente chiara a T’Pol. Archer le diceva che era: “Faccio quello che voglio, perché posso.”
T’Pol si avvicinò al gatto e gli diede una carezza sulla testa. Athos spinse la fronte contro il suo palmo. Aveva letto che i gatti si strofinano contro le persone per lasciare addosso il loro odore - naturalmente T’Pol si sarebbe lavata le mani subito dopo - ma Archer le aveva assicurato che se sfregavano la fronte, era segno d’affetto.
«E’ strano.» disse Phlox, vedendo il gesto. «Pensavo che Athos avesse la luna storta per soffiare contro Archer. Ma a maggior ragione avrebbe soffiato contro di lei.»
«Già.» disse T’Pol. Ritrasse la mano e Athos scivolò in avanti, guardandola come dire “perché cavolo hai tolto la mano?!”
T’Pol aveva ammesso già da tempo che il gatto era particolarmente bello. Aveva macchie arancioni e nere sul pelo bianco latte, gli occhi gialli che sembravano la luna piena. Probabilmente conosceva la nave meglio di chiunque altro, poiché con la sua piccola taglia e la sua estrema agilità (T’Pol aveva appreso che le passerelle più strette, in inglese, non a caso erano chiamate “catwalk”) riusciva a infilarsi là dove nemmeno Tucker arrivava.
Già, Trip.
«Anche il comandante Tucker si comporta stranamente.» sussurrò T’Pol.
«Si è svegliato?»
T’Pol annuì e Phlox andò da lui. «Comandante Tucker!» esclamò lui, con la sua voce allegra, dall’accento alieno. «Come si sente?»
«La faccia mi brucia.»
«Lo so. Raggi delta.»
Trip imprecò. «Mi rimarrà una fottuta cicatrice!»
«Temo di sì.» disse Phlox.
«Fanculo.»

C’era un’altra cosa che le piaceva dei gatti: erano soliti restare per molto tempo seduti, con le zampe radunate sotto il corpo, gli occhi chiusi, ma senza dormire, in quello che sembrava in tutto e per tutto uno stato di meditazione.
T’Pol riaprì gli occhi e fissò Athos seduto davanti a lei, il naso rosa puntato verso una candela, gli occhi chiusi e un’espressione tranquilla e rilassata tipica di chi stava meditando con piacere. Il gatto aveva deciso, di sua iniziativa, che quella sera sarebbe stato nell’alloggio di T’Pol. Alla Vulcaniana sembrava sempre più vero quel che gli aveva detto Archer, che per Athos, come per tutti i gatti, la logica era “lo faccio perché posso”.
Lei si era ormai abituata all’odore del gatto così come a quello degli umani.... anzi, quello di Trip le piaceva. Non glielo aveva mai detto, ovviamente.
Spense la candela e Athos aprì un solo occhio per metà sentendo il leggero spostamento di aria. Poi si tirò sulle quattro zampe e si stirò quando anche T’Pol si tirò in piedi. La Vulcaniana spense le altre candele, sotto l’occhio indagatore e curioso del gatto.
Aveva sentito un detto, una volta. “La curiosità uccide il gatto.” Non era molto bello, ma Malcolm Reed le aveva riferito che quella era la parte nota negli Stati Uniti di un detto inglese più lungo: “La curiosità uccide il gatto, ma la soddisfazione lo riporta in vita.”
S’infilò sotto le coperte, ma lo sguardo del gatto continuava a restare su di lei. Aveva come l’impressione che, mentre su Vulcano capacità intellettive alte, manualità e telepatia, si erano concentrate nella forma umanoide, sulla Terra si fossero sparse tra umani e gatti: entrambi avevano avuto capacità intellettuali, ma mentre gli umani avevano avuto tutta la manualità, ai gatti era rimasta la completa capacità telepatica.
«Cosa c’è?» gli chiese. In fondo anche Archer parlava al suo gatto, non era poi una cosa da corte marziale.
Athos inclinò la testa a destra.
«Sì, lo penso anch’io che il comandante Tucker si sia comportato in modo strano con me.» Decise di ignorare altre domande implicite da parte del gatto e spense la luce.

«Sì.... Mhmmm.... Trip, vai così, è perfetto.... volevo dire.... corretto.... Sei diventato bravissimo con la neuropressione.... aaaaaaaah.... ottimo....»
T’Pol aprì gli occhi, svegliandosi lentamente. Era sdraiata a pancia in giù nel suo letto, sentiva un leggero tocco, dolce e morbido, ai lati della sua spina dorsale. «Oh, Trip....» sussurrò.
Poi spalancò gli occhi di colpo.
Non c’era Tucker vicino a lei, anzi, lui era in infermeria e la sera prima l’aveva anche trattata male.... peggio di quanto non venisse trattata all’inizio del viaggio.
Ma allora chi le stava facendo neuropressione?
Girò la testa, trovandosi naso a naso con Athos.
Il gatto le stava facendo “le paste” sulla schiena.
T’Pol si girò, obbligando Athos a scendere. Decisamente quell’animale le piaceva: sapeva fare anche neuropressione!
«Vai via dal mio letto.» gli disse, ma lui se ne fregò altamente, stendendosi su un fianco e iniziando a fare le paste sul cuscino. «Lo sai che il cuscino non ha bisogno di massaggi?» gli chiese, ma il gatto aveva una faccia così soddisfatta che lei decise di lasciar perdere e andare a farsi una doccia.

Il campanello suonò.
Archer si girò sul fianco e aumentò l’illuminazione della stanza.
«Lascia perdere.» disse Hoshi, dietro di lui. «Se è importante torneranno.»
«No.» disse lui, infilandosi la biancheria intima. «Vediamo chi è che rompe.» Aprì la porta e fissò T’Pol, leggermente stupito. «Comandante.» disse.
Ma, stranamente, anche T’Pol era stupita. «Capitano, io....» Distolse lo sguardo da Hoshi. «Volevo chiederle come sta e se ha.... ordini particolari per oggi.»
«Voglio che controlliate il punto in cui è avvenuto l’incidente. Che scopriate qualsiasi anomalia ci possa essere stata.»
T’Pol annuì. «Sissignore.» Lanciò un’altra occhiata a Sato, che le rivolse un sorriso perfido, quindi si allontanò. Doveva parlare con Phlox anche di quello. Archer aveva infranto il regolamento, andando a letto con Hoshi, ma non era quello che le interessava. Il problema era il comportamento completamente diverso da quello che ci si sarebbe aspettato da entrambi.
Sì, era abbastanza ovvio che ci fosse affetto tra di loro. Archer era molto protettivo verso Hoshi.
Ma arrivare a quel punto.... scosse la testa e scese in sala macchine.

«Assolutamente ridicola.» disse Hoshi, quando la porta si chiuse.
--Assolutamente sexy.-- pensò Archer. --Devo farmela.-- Aprì un armadio e tirò fuori la sua divisa.
«Che cosa fai?» chiese lei.
«Devo capire come tornare nel nostro universo.» disse. «In questo i Vulcaniani hanno troppa libertà, i Denobulani sono troppo buoni e gli Umani non hanno spina dorsale. Non mi piace.»
Hoshi scalciò via le coperte. «Vado cercare qualcosa di decente da mettermi e qualche trucco.»
«Scopri qual è il tuo turno e datti da fare.» Uscì dall’alloggiò e andò velocemente verso il ponte di comando. Stava già per mettersi a urlare, quando vide T’Pol seduta sulla sedia del capitano, ma la Vulcaniana si era già alzata in piedi, lasciandogli il posto.
«Novità?»
«Il tenente Reed sta ricontrollando gli schemi dei pannelli di transiente di emergenza. Pare che l’anomalia sia nata da uno dei pannelli sul lato destro del motore.»
«E che cos’era?»
T’Pol si sedette alla sua postazione scientifica. «Non abbiamo ancora dei dati certi. Un’ipotesi è che ci sia stata una combinazione di raggi delta e una microsingolarità.»
Archer lasciò andare una leggera risata sarcastica. «Le microsingolarità sono leggende vulcaniane. Non c'è prova scientifica della loro esistenza.»
T’Pol alzò un sopracciglio. Avevano già avuto quella discussione quattro anni prima. «Un buco bianco, capitano.»
Quello già era più interessante. «E’ ancora presente?»
«No.»
«E’ possibile ricrearlo?»
La Vulcaniana ripensò a Trip, disteso nel lettino dell’infermeria con il volto fasciato. «Ci stiamo studiando.»
«Allora cosa fa ancora qui?!» esclamò il capitano. «Vada in sala macchine.»

«Perché ad Archer interessa tanto questa cosa? Ormai il fenomeno sembra svanito.» Reed sfilò il pannello e guardò all’interno.
«Sono già stati tutti sostituiti, esatto?» chiese T’Pol.
Reed annuì. «Sì, i cavi sono a posto. Stavo lavorando ai circuiti stampanti dei buffer, assieme al guardiamarina Luzzi, ma senza Trip andiamo a rilento.» Alzò lo sguardo su di lei. «Ci darebbe una mano, se ha un momento libero?»
T’Pol alzò un sopracciglio. «Non ho la manualità del comandante Tucker.»
Reed sorrise leggermente. «Nemmeno io.» Le passò uno strumento a forma di cacciavite, quindi girò dietro ai motori per controllare l’allineamento della griglia.
«Estraggo il circuito posteriore, non è possibile ripararlo da qui.» T’Pol infilò la mano destra nel vano. Non poté fare a meno di cacciare un urlo e ritrarre la mano di scatto.
«Che succede?» Malcolm tornò di corsa da lei. «T’Pol?»
«Ho toccato qualcosa di incandescente.»
Malcolm le prese delicatamente la mano. Si era bruciata su qualcosa, aveva un segno circolare sul dorso. «Non dovrebbe esserci nulla di incandescente, là dentro.» Si girò e premette il pulsante di comunicazione. «Reed a infermeria.»
«Non è necessario.» rispose T’Pol, ritraendo la mano.
«Qui Phlox.»
Malcolm guardò T’Pol. La bruciatura non sembrava molto grave, ma la sua mano tremava leggermente. Si girò verso l’interfono. Contro ciò che lei si aspettava, Malcolm disse: «Phlox, T’Pol si è ustionata. Sembra lieve, ma preferirei che venisse in sala macchine a darle un’occhiata.»
«Arrivo!» disse la voce aliena e allegra del medico.
«Non era necessario.» disse T’Pol.
«Lo faccia per far stare più tranquillo me.» disse Reed, guardando all’interno del vano. «Che strano.... dia un’occhiata anche lei.»
La vulcaniana si avvicinò. «Assomiglia alla formazione che ha provocato la fuori uscita di raggi delta.»
Malcolm annuì. Si girò leggermente, trovandosi a pochi centimetri dal viso di T’Pol. «Cos’è?»
Lei scosse leggermente la testa e si ritrasse, quando sentì Phlox entrare. «E’ solo una leggera scottatura.» disse. «Qualunque cosa sia quella sferetta azzurra, ha reso incandescente la griglia di calibrazione laterale.»
Phlxo le prese la mano. «Non sembra una bruciatura da poco.» Passò un tricorder medico sul dorso. «Deve venire in infermeria. E in fretta.»
T’Pol alzò un sopracciglio.
«Questa ustione brulica di germi.»
«Germi?» chiese Malcolm.
«Sì, e per di più sono sconosciuti. Ho l’impressione che vengano da un altro.... universo....»

T’Pol si sedette davanti al computer nel suo alloggio. La mano le faceva ancora male, l’ustione si era allargata a causa dei germi e Phlox l’aveva fermata appena in tempo, prima che iniziassero a divorare altri tessuti al di fuori dell’ustione.
Mentre era in infermeria, si era informata sullo stato di Tucker. Phlox le aveva riferito che stava utilizzando un’anguilla osmotica per cercare di migliorare la cicatrice: sia per questo che per la sua alta irritabilità, lo stava tenendo addormentato.
T’Pol digitò velocemente, cercando nel database vulcaniano. Tutti sull’Enterprise sapevano dell’attrazione tra lei e Trip. In molti, probabilmente, si erano immaginati di più di quel che era successo. Ora l’incidente occorso all’ingegnere aveva risvegliato in lei sentimenti che fino ad allora aveva tenuto a bada.
Tucker le piaceva, non poteva continuare a nasconderlo a sé stessa. Le sarebbe piaciuto mettersi con lui, avere una storia seria, pensare anche a un futuro insieme.... Un futuro impossibile. La missione dell’Enterprise non sarebbe durata in eterno e, fuori di lì, non avevano speranze.
Quando apparve la foto di una piccola sferetta azzurra, sospirò. I dubbi suoi e di Phlox erano confermati.
Universi paralleli.
Forse Archer, Tucker e Sato erano stati investiti da onde di un universo parallelo e la loro condizione mentale era stata alterata.
Chiuse il database e andò all’oblò. Le stelle apparivano fisse ai suoi occhi, dato che non potevano riprendere ad andare a velocità curvatura. Non poteva vedere pianeti, da lì, a quella velocità. Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte al vetro.
Trip le aveva raccontato, una volta, di una spiaggia della Florida, con la sabbia bianchissima, le palme, il mare turchese dalle piccole onde. Le diceva che avrebbe voluto passare la vecchiaia in una casa di legno, montata su palafitte piantate nella sabbia, con un grande portico, da cui guardare il mare di sera, dove riposare nelle ore calde, respirando la brezza dell’Oceano Atlantico.
Sembrava un sogno anche per lei.
Trip era sul portico, seduto su un divano di vimini dai grandi e morbidi cuscini bianco panna, il tramonto si stava ultimando, il profumo dell’oceano blu arrivava fin dentro casa. Lui aveva in mano un bicchiere di latte fresco, che sorseggiava lentamente. Lei tagliava due fette di torta di noci e lo raggiungeva sul portico. Gli passava una fetta e si sedeva sul divanetto vicino a lui. Trip le sorrideva, le parlava.... la baciava. Finita la torta, entravano in casa, si ritrovavano nella loro stanza....
Il suono del campanello la riportò bruscamente alla realtà.
Era un sogno che non avrebbe mai potuto avverarsi.
Non erano andati nemmeno oltre il bacio, lì, nell’ambiente idilliaco dell’Enterprise.... Trip era solito dire “Paese piccolo, la gente mormora”....
«Avanti.» disse.
Entrò il capitano Archer. «La disturbo?» chiese.
Lei scosse la testa. «Il tenente Reed e io abbiamo scoperto che quella sfera azzurra che è apparsa durante l’incidente in sala motori potrebbe essere l’accesso di un altro universo.»
Archer annuì. «Molto bene.» Era quello che cercavano. «Pensa che si possa usare?»
T’Pol alzò un sopracciglio. «In che modo?»
«Phlox dice che ha trovato su di lei dei microbi che forse sono di un altro universo. Quindi immagino che questo collegamento possa essere utilizzato.»
«Far passare microbi non è come trasferire Umani o Vulcaniani.»
--Logica stronza.-- pensò lui. In ogni caso, loro ci erano riusciti. Si trattava solo di dare più energia alla sfera e tornare nel loro universo.
C’era solo un’ultima cosa che voleva fare, prima di tentare il trasferimento.
Mise una mano sulla spalla di T’Pol.
Lei alzò un sopracciglio. «Capitano?»
«Sei una donna molto indipendente, molto più delle terrestri.»
T’Pol sentiva di aver completamente perso il senso del discorso. Inoltre la mano di Archer sulla spalla la metteva a disagio. Fece un passo indietro. «Se non ha altro da dirmi....»
Archer le prese la mano fasciata. «Le fa ancora male?»
T’Pol la ritrasse di scatto. «No.»
«Basta coi giochetti.» Archer si chinò in avanti, prendendola per le braccia, e la baciò.
Lei lo spinse indietro con forza. «Capitano!» esclamò, la sua voce più acuta di quello che voleva. Archer aveva mostrato attrazione verso di lei, anni prima, ma poi la cosa era svanita, soprattutto perché lui era il suo capitano.... T’Pol aveva saputo, per vie traverse, che Jonathan aveva rinunciato a una relazione con un’altra sua sottoposta, Erika Hernandez, solo perché lui era il suo capo. E quando l’aveva rincontrata, circa un anno prima, la relazione non sembrava dover avere un futuro, dato che in entrambi, in pratica, erano sposati con le rispettive navi.
«I Vulcaniani dovrebbero essere schiavi.» disse lui. «Schiavi e basta.»
T’Pol scosse leggermente la testa. «Forse è meglio che lei torni nei suoi alloggi.»
«C’è solo Hoshi nei miei alloggi. Questa sera ho voglia di altro.» Sfilò un hypospray dalla tasca e lo piantò sul collo alla Vulcaniana.
T’Pol fece un passo indietro, portandosi una mano sulla gola. «Cosa....?»
«Niente di nocivo.» le rispose lui, facendole passare un braccio dietro la schiena. «E’ un rilassante muscolare. L’ho preparato mentre Phlox era in sala macchine con voi.»
T’Pol alzò il braccio, cercando di praticare una stretta vulcaniana, ma la sua mano cadde prima si raggiungere la spalla di Archer.
«Volevo proprio evitare questo. Ma stia tranquilla, comandante, rimarrà cosciente.»
T’Pol sentì i suoi muscoli perdere completamente tono e il suo corpo cadere contro quello di Archer.
«Dovresti farti crescere i capelli.» disse lui, mentre la sdraiava a terra. «Staresti meglio.»

Malcolm Reed rimise a posto il pannello di copertura sul vano laterale. Spinse un pulsante di comunicazione. La sferetta azzurra era ancora là. «Reed a comandante T’Pol.»
Doveva chiederle se, secondo lei, era possibile tornare a curvatura. Pensava che non ci sarebbero stati problemi, ma senza Trip in giro, preferiva avere una conferma dall’ufficiale scientifico.
Iniziò a raccogliere i ferri da terra, quindi premette di nuovo il pulsante di comunicazione. «Reed a comandante T’Pol.» ripeté. Finì di raccattare tutto e andò verso un terminale. «Reed a ponte di comando. Dove posso trovare il comandante T’Pol?»
«È nei suoi alloggi.»
Reed premette di nuovo l’interfono. «Comandante T’Pol? Mi sente?» Era strano. Di solito T’Pol rispondeva subito alle chiamate. Abbandonò velocemente la sala macchine, fermandosi brevemente solo per raccogliere una pistola phaser. Premette il campanello a lato della porta di T’Pol. Quando non sentì risposta, aprì ed entrò.
«Comandate? Posso entrare?» chiese. Avanzò lentamente, tenendo avanti la pistola.
T’Pol era stesa a terra, girata su un fianco.
«Mi.... mi scusi.» balbettò Reed, abbassando l’arma. «Dovevo solo chiederle.... niente, posso fare da me.» Imbarazzato fece per andarsene, ma un leggero movimento delle dita della vulcaniana attirò la sua attenzione. Malcolm si chinò di fianco a lei. «T’Pol, sta bene?» Seguì il suo sguardo. Le prese la mano destra delicatamente, facendo appoggiare le dita alla sua. «E’ ancora quell’ustione? Le sta dando problemi?» Reed era ormai in panico. Non sapeva cosa fare. Sentì il leggero battere delle dita della donna sul suo palmo: tre punti tre linee tre punti. S.O.S. in codice Morse.
Malcolm saltò in piedi e corse a premere il pulsante di interfono. «Reed a Phlox. Emergenza nell’alloggio di T’Pol. Venga in fretta per favore!» Attese qualche istante. «Reed a Phlox!» urlò, ma di nuovo nessuno gli rispose. «Ma sono svaniti tutti su questa nave?!» Tornò accanto a T’Pol. «La porto subito in infermeria.»
Sperò di non procurarle danni nello spostarla, ricordava dai corsi di primo soccorso che era preferibile attendere personale specializzato prima di spostare una persona infortunata. La sollevò tra le braccia, sentendola completamente abbandonata e pesante. «Se ha ancora addosso quel germe, Phlox saprà di certo cosa fare!» O almeno così sperava.
«Phlox!» chiamò, entrando in infermeria, ma si bloccò quando vide il medico prono a terra. «Ma cosa succede?! E’ un’epidemia!» Sdraiò T’Pol sul lettino, poi si chinò accanto al medico, scuotendolo per una spalla. «Phlox?»
Il Denobulano aprì lentamente gli occhi e guardò Reed. «Il capitano.» disse.
«Il capitano?»
«Sì.... non so che cosa gli sia preso....» Si tirò in piedi, aiutato da Reed. «Mi ha costretto a risvegliare il comandante Tucker e quando gli ho detto che era impensabile portarlo in sala macchine, mi ha colpito.» Si portò una mano sulla fronte, poi guardò verso il vano vuoto. «Se ne sono andati.»
«Phlox, T’Pol non sta bene.»
Il medico si girò, notando solo allora la Vulcaniana.
«Forse sono quei germi strani.... La lascio a lei, io vado a cercare Trip e il capitano.» disse Reed, uscendo di corsa.

Malcolm entrò di corsa nella sala macchine, ma appena aprì le porte la fortissima luce lo accecò e dovette fermarsi per abituare gli occhi.
«Capitano!» urlò.
Sentì il rumore di phaser che arrivava nella sua direzione e si abbassò di colpo, schivando il raggio quasi per caso. Riaprì lentamente gli occhi e vide tre figure umane in piedi sotto una grossa sfera azzurra, identica a quella che aveva visto poco prima con T’Pol, ma molto più grande e al di fuori dei pannelli del motore.
«No!» urlò. «E’ pericoloso!» esclamò. Ma nessuno dei tre sembrò volergli dare retta, anzi, un’altra scarica phaser arrivò nella sua direzione.
«Stia indietro, Reed!» Era la voce del capitano, confusa nel forte rumore dei motori a curvatura sovraccarichi.
«Capitano, è pericolosa quella sfera! Escono raggi delta, germi di altri.... luoghi! State lontani!»
«Stai zitto, Malcolm!» urlò Trip, girandosi verso di lui.
Reed poté notare distintamente l’enorme cicatrice sul lato destro del volto di Trip. Phlox non era un genio a curare le cicatrici, ma quella gli era proprio venuta male.
Tucker alzò la pistola phaser e, con migliore mira di Archer, colpì Reed.
Quando Malcolm riaprì gli occhi, il rumore e la forte luce erano scomparsi. Sentiva il petto bruciare, là dove era stato colpito poco prima. Si tirò in piedi e corse verso l’amico, riverso a terra, la guancia destra appoggiata sul pavimento. Di Archer e Hoshi non c’erano tracce.
«Trip?» chiamò. Gli mise una mano sulla spalla. «Comandante Tucker? Si svegli!»
Trip alzò la testa. «Spazio aereo, patatine fritte e coca, grazie.» disse, prima di ristramazzare al suolo.
Malcolm restò a fissarlo per qualche secondo, poi riprese a scuoterlo. No, non era una buona giornata. Fosse stato in un altro luogo, avrebbe preso su e se ne sarebbe andato a fare un giro finché il periodo negativo non fosse finito. Ma non c’era un pianeta abitabile nel raggio di un anno luce, non poteva farlo. «Trip, svegliati!» Lo girò sulla schiena e rimase non poco stupito, quando notò che la cicatrice sul volto era praticamente svanita. Al suo posto un rossore più leggero di quello che aveva visto sul dorso della mano di T’Pol. Se c’erano gli stessi germi, avrebbe dovuto andare al più presto in infermeria.
«Trip! Forza!»
L’ingegnere finalmente riaprì gli occhi. Lentamente mise a fuoco. «Malcolm?» chiese.
«Sì, devo portarla in....» La sua frase fu interrotta da un pugno in pieno viso da parte di Trip. Malcolm cadde indietro.
Tucker si mise a sedere e fissò il tenente. «Oh merda.» disse.
«Cosa diavolo ti ho fatto per meritarmi questo?» Reed si portò una mano sotto l’occhio.
«Tu non sei un M.A.C.O..» disse Trip.
«Certo che no!» esclamò lui.
«Tu odi i M.A.C.O.!»
Reed scosse leggermente la testa. «Non è una novità, comandante.»
«Già....» Si guardò in giro. «E quindi questo è l’universo giusto.» Alzò lo sguardo sul collega. «Perdonami, Malcolm. Ti ho scambiato per un altro.»
«Devi andare subito in infermeria.» disse Reed, aiutando Trip ad alzarsi.
Tucker lo seguì fuori dalla sala motori. «Sono finito in un altro universo.» disse. «Assieme a Hoshi e al capitano, abbiamo tentato più volte di tornare qui, ma.... dove sono gli altri?»
«Indagheremo tra poco, adesso è necessario che ti fai vedere. T’Pol ha sfiorato quella sfera azzurra, è stata ustionata e si è ritrovata con addosso dei germi e poco fa l’ho trovata paralizzata nella sua stanza, non riusciva nemmeno a parlare.»
Trip sentì il suo cuore stringersi. «Come sta ora?»
«Non lo so, l’ho lasciata da Phlox per venire in sala macchine.»
Le porte dell’infermeria si aprirono e il medico denobulano fissò stupito il comandante. «La sua cicatrice sta guarendo!» esclamò.
«Non è il comandante Tucker che avevamo qui poco fa.» disse Reed. «Non so spiegarlo, ma credo che ci sia stato uno scambio di persone da un altro.... universo.»
Trip, prima ancora di sedersi sul lettino, chiese: «Come sta T’Pol?» Aveva ancora nella mente l’espressione schifata e i capelli chiari e lunghi della T’Pol dell’altro universo. E quella sensazione di disagio che trapelava da ogni suo movimento, fin quando gli aveva chiesto: “Cosa ti è successo, Trip? Non sembri più te stesso.” E chinatasi in avanti l’aveva baciato.
«Le ho dato un sedativo, dormirà per un po’.»
«Sono dei germi che le hanno provocato quella paralisi?»
Phlox scosse la testa, mentre passava il tricorder su Trip. «No, le è stato iniettato un miorilassante molto forte. Credo sia stato il capitano Archer, ho già avvertito la sicurezza.» Sorrise all’ingegnere. «Lei invece non ha alcun germe strano addosso. Per quella bruciatura le darò una crema apposita, vedrà che le passerà senza lasciare traccia.»
«Ma T’Pol starà bene?»
«Le ho dato un sedativo perché avere il corpo completamente paralizzato pur essendo mentalmente vigile è una situazione che diventa stressante anche per un vulcaniano. Il sedativo finirà il suo effetto poco dopo il miorilassante.»
Trip annuì. «Se qui c’erano le nostre controparti.... capisco perché Archer abbia potuto aggredire T’Pol.»
«In che senso?» chiese Reed.
«Potrei quasi dire che quello era un universo.... specchio. C’era una tale crudeltà e freddezza che non ho visto nemmeno tra gli Xindi.» Alzò la manica, mostrando il braccio. C’era almeno una decina di ferite circolari rosse.
«Cosa le hanno fatto?»
«Il Reed M.A.C.O. di quell’universo mi ci ha piantato dei chiodi.» Lanciò un sorriso a Malcolm, che rabbrividì: «Capisco il pugno.»
Phlox osservò le ferite.«Non sembra che abbiano fatto infezione.»
«No, il Phlox-Specchio me li ha disinfettati con qualcosa che brucia più del plasma. Sembrava ci godesse.» Sospirò. «Sulla nave c’erano anche T’Pol e Soval. Schiavi vulcaniani.»
«Schiavi?»
Trip annuì. «E Archer non era il capitano, ma era Forrest.»
Reed scosse leggermente la testa. «Dobbiamo ritrovare i nostri Hoshi e Archer.»
Tucker si alzò dal lettino. «Sì. Dammi solo un minuto.» Scostò lentamente la tenda ed entrò nel vano dov’era T’Pol. La Vulcaniana stava dormendo profondamente. Le prese la mano. «Ci vediamo domani, T’Pol.» Si chinò in avanti e le diede un bacio sulla fronte. «Grazie per avermi aiutato a tornare di qui....»

T’Pol si svegliò e sentì il fiato mancarle. Si mise a sedere di scatto sul letto, portandosi le mani alla gola. Ricordava Phlox che le parlava, le diceva che le avrebbe dato qualcosa per accelerare il processo di smaltimento del miorilassante, che l’avrebbe fatta dormire. Avrebbe voluto urlare di lasciarla stare, di non toccarla, ma non poteva. Si era dovuta lasciare addormentare.
Seduta sul letto iniziò a muovere ogni muscolo, controllando di poterlo fare perfettamente. Quando fu sicura di aver ripreso tutte le sue facoltà motorie, si alzò in piedi. Il pavimento dell’infermeria era freddo, sotto i suoi piedi nudi, ma non le interessava. Doveva andarsene di lì.
Aprì la tenda e si trovò di fronte Phlox, che, sentendo i rumori, era andato a controllare la sua paziente.
T’Pol lanciò un involontario urlo e fece un balzo indietro.
«Comandante!» esclamò Phlox, sorridendole. «Non così in fretta.»
«Voglio andare via.» disse lei. Percepiva i suoi muscoli tremare. Non si sentiva sé stessa.
«E dove? Siamo nel bel mezzo del nulla.» Phlox la prese per il gomito e la condusse indietro sul letto. «Qui è al sicuro. Riesce a muovere tutto?»
Lei annuì.
«Deve riposarsi ancora.»
«Archer.... dov’è il capitano Archer?»
«E’ scomparso ieri sera.» disse Phlox. «Il tenente Reed e il comandante Tucker stanno cercando lui e il guardiamarina Sato.»
T’Pol prese una coperta e se la avvolse intorno. Sentiva freddo. «Il comandante Tucker?» chiese.
«Sta bene. E’ tornato quello di prima. Pare che ci sia stato uno scambio tra due universi.... il nostro e, come l’ha definito lui, uno Specchio.»
«Anche Archer veniva da lì?»
«Presumibilmente sì.» Phlox le sorrise simpateticamente. «Se ha bisogno di parlare di ciò che è successo ieri sera....»
«No.» disse sbrigativamente T’Pol. «Non è necessario. Cerchiamo di riportare indietro il nostro capitano Archer e la nostra Hoshi Sato al più presto.» Fece per alzarsi, ma Phlox le mise una mano sulla spalla, spingendola sul letto. «No, lei non si può alzare, ora. Deve riposare ancora. Ordini del medico.»
La Vulcaniana sospirò e si rannicchiò rintanandosi sotto le coperte. «Dottor Phlox?»
«Sì?»
«Sento i muscoli che tremano.» disse, quasi sottovoce. «E’ un effetto del miorilassante.... di quello che mi ha somministrato lei?»
Phlox riprese in mano il tricorder. Dopo qualche secondo disse: «Né uno né l’altro.» disse. «E’ un leggero tremito psicosomatico.»
«Questo non è possibile.» disse lei. «Ciò vorrebbe dire che io sono influenzata dalla mia psiche, mentre....»
«T’Pol.» la bloccò il Denobulano. «Non c’è logica in tutto ciò. Ha bisogno di riposare e, se vuole, di parlare. Vedrà che il tremito svanirà.»
Lei chiuse gli occhi e ascoltò il medico che si allontanava. Si portò le coperte fin sotto il mento.
Cercò di dormire per diverso tempo, ma le immagini della sera prima le stavano davanti agli occhi come un riflettore nel buio.
Quando sentì la tenda scostarsi, sollevò lo sguardo, pronta a difendersi. Ma vide solo il volto di Trip Tucker, che aveva infilato la testa tra le tende per guardarla. Lui le sorrise. «Come stai?»
T’Pol chiuse leggermente gli occhi. «Sto bene.» mentì.
«Posso entrare?»
Lei annuì. «La tua cicatrice.... non c’è più.»
Trip si sedette sul letto accanto a lei. «Non ce l’avevo io, ma il mio “specchio”.»
«Bene.» disse lei. «Avete ritrovato Hoshi e Archer?»
«No. Ma faremo in modo di riportare qui i nostri.» Alzò lo sguardo sul comodino a sinistra del letto e sorrise.
T’Pol si girò e notò per la prima volta Athos seduto lì, immobile come un soldato della Guardia Reale Inglese. «Non l’ho sentito arrivare.» disse. «Da quanto è lì?»
«Non so, ma dà proprio l’idea di farti la guardia. A tenere lontani i cattivi.»
T’Pol sospirò. «Avrei dovuto capirlo, quando Phlox mi ha detto che soffiava contro Archer.»
«I gatti hanno un sesto senso. E anche un settimo e forse un ottavo.» Trip rise. «Nell’universo specchio Archer ha un rotweiller di nome Porthos. Un cane enorme, brutto e crudele. Tutto il contrario di questa patata di gatto.»
La Vulcaniana sfilò il braccio sinistro da sotto le coperte e allungò la mano lentamente verso il volto di Trip, appoggiando delicatamente il palmo alla sua guancia destra. «Ti fa male?»
«No. Phlox ha detto che passerà in breve.» Tucker mise una mano su quella di lei. «Stai tremando.»
«Phlox ha detto che passerà in breve.» ribatté lei.
Trip le strinse delicatamente la mano. «Hai ordini?»
«Abbiamo lo stesso grado, ora. Il comando è tutto tuo fino al ritorno di Archer.»
Lui annuì. «Non sappiamo più dove guardare, ma continueremo la ricerca.»

«Novità?» Trip si sedette al tavolo della mensa con Reed.
«Per ora no.» disse lui, abbassando il PADD. «Come sta T’Pol?»
«Perché lo chiedi a me?»
Reed scrollò le spalle.
«Sta meglio.» disse Trip, alzando gli occhi al cielo. «Athos le fa la guardia. Riesci a immaginarti Archer con un cane al posto del suo gatto?»
Malcolm rise leggermente. «Nah, impossibile. Non è stato lui a dire, una volta, che è sempre vissuto avendo gatti e non potrebbe mai immaginare di non averne uno?»
«Sì, infatti ha convinto il Comando di Flotta a lasciargli portare Athos a bordo.» Rise. «E meno male, visto la capacità di Phlox di perdersi animaletti in giro.»

T’Pol ricontrollò per l’ennesima volta di avere la pistola al suo fianco. Aveva convinto Phlox che stava bene e si era fatta dimettere dall’infermeria quella sera. Si era messa una divisa azzurra, che era leggermente meno vistosa di quella rossa e di quella fuxia, ed era scesa nella stiva di carico più remota della nave.
Avrebbe dovuto farsi dare una divisa blu, come quella di tutti gli altri. Così sarebbe passata più inosservata. In realtà, pensò, aveva bisogno di quattro divise di quel tipo. Era abituata a cambiarsela spesso.
Scese la scaletta lentamente, cercando di non fare passi falsi. Sentiva i muscoli tremare ancora e il dolore irradiarsi ad ogni nervo.
Andò a colpo sicuro, aprendo una delle casse grigie. Tolse la copertura interna e estrasse un cilindro trasparente. Svitò il tappo e fece scorrere la roccia lentamente verso l’apertura, finché alcuni frammenti le caddero sul palmo della mano.
Trellium-D.
Il capitano l’aveva stivato più di due anni prima là sotto e nonostante gli svariati ritorni sulla Terra, quelle scorte erano rimaste lì. Era un elemento raro in quell’universo, quando la Distesa era collassata su sé stessa, la maggior parte del trellium-D aveva subito un processo di trasformazione che l’aveva neutralizzato, trasformandolo in niente di più che detriti di inutile roccia.
T’Pol s’infilò in tasca i frammenti, richiuse la cassa e salì di corsa la scaletta. A metà strada scivolò indietro, cadendo di schiena sul pavimento. Strinse i denti per non urlare. Non doveva attirare l’attenzione. Tanto meno in quel momento. Cosa avrebbero pensato, se l’avessero trovata a frugare in quella stiva ormai dimenticata, vicino a un elemento che l’aveva portata quasi alla pazzia e alla morte?
Si rialzò in piedi e corse nel laboratorio, frammentò il trellium-D in molecole base e se lo iniettò direttamente nella giugulare. Ora si sentiva meglio. Sentiva che i muscoli si distendevano e il tremito svanire leggermente.
Si massaggiò la gola.
Sospirò.
Cosa avrebbe pensato Trip?
Fece per tornare sul ponte C, dove c’era il suo alloggio, ma poi cambiò idea. Andò velocemente sul ponte E ed entrò in infermeria, sperando di non incrociare Phlox.
«T’Pol!» esclamò sorridente il medico. «Mi dica!»
«No.... io.... Volevo chiederle se devo tenere io Athos, mentre il capitano non c’è.»
Phlox la guardò sorridendo. «Deve o vuole?»
T’Pol non rispose, fissandolo con la flemma vulcaniana che prometteva di tornare in superficie al più presto.
«Sono sicuro che ad Athos farà piacere.» Phlox raccolse il gatto e lo passò alla Vulcaniana, che lo prese tra le braccia come ormai aveva imparato a fare. Athos sfregò la fronte contro il suo mento e T’Pol poté sentire le sue leggere fusa. «Buona notte, dottore.» disse, girando sui tacchi velocemente.
Entrò nel suo alloggio e lasciò che Athos si posizionasse sul suo cuscino di meditazione.
Si sentiva più tranquilla con il gatto in giro. Athos avrebbe soffiato contro qualsiasi persona infida. L’avrebbe capito prima di lei e ben prima di tutti gli altri sulla nave, se c’era qualcosa che non andava. Si sdraiò a letto e cercò di dormire.

Trip sospirò, quando la sferetta azzurra, arrivata a circa cinque centimetri di diametro, svanì. «Sono tre giorni che proviamo a riaprire quel varco e niente. Credevo che ci dovesse essere una sorta di equilibrio tra i due universi. Io vengo di qui e il Tucker bastardo torna di là. Invece di Archer e Hoshi nemmeno l’ombra.»
Reed guardò i dati sul PADD: «Questo vuol dire che gli universi possono reggere una certa quantità di spostamenti asimmetrici senza collassare.»
«Quindi nell’altro universo ci sono due Archer, due Hoshi.... oppure i nostri sono sospesi da qualche parte?»
Lui scosse la testa. «Sei tu l’esperto.»
Trip rise amaramente. «Veramente credo che qui la maggior esperta sia T’Pol. Ma è dall’altro ieri che non la vedo. Phlox mi ha detto che ha bisogno di molto riposo e io non voglio disturbarla.... oltre al fatto che non sono sicuro che il suo scetticismo le permetta di entrare in quell’ambito dove abbiamo bisogno di andare per capirci qualcosa.»
Malcolm annuì. «Ma l’ha fatto in passato, è pensabile che potrà ripetere l’esperimento.»
Tucker sospirò. «Andrò da lei domani a chiederle aiuto. Ora credo che un buon sonno non farà male a nessuno dei due. Chissà che sogniamo la soluzione.»
Arrivato davanti al suo alloggio, Trip guardò stupito la Vulcaniana in piedi, appoggiata con la schiena al muro di fianco alla sua porta. «Ciao.» disse. «Cosa ci fai lì?»
«Non riesco a dormire.» disse lei, con voce bassa e piatta.
«Be’, potevi entrare, aspettarmi seduta.» Trip aprì la porta dell’alloggio. «Volevo proprio parlarti. Non riusciamo a cavare un ragno dal buco, di sotto, per recuperare i nostri.» Le fece cenno di sedersi.
«Come posso aiutarvi?»
«Hai conoscenze maggiori sulle porte interuniversali di me e Reed.»
Lei scosse leggermente la testa. «Non saprei da che parte prendere.»
«Allora siamo in tre.» Si sedette dietro di lei, appoggiando le dita ai lati della cervicale, come lei gli aveva insegnato, spingendo lentamente, ma con forza. «Se te la senti, potresti darci una mano domani.»
«Va bene.» sussurrò lei.
«Da quanto non dormi?»
T’Pol chiuse gli occhi. «Da quando Phlox mi ha dato il sedativo.»
Trip interruppe di colpo il massaggio. «Ma sono tre giorni! Perché non sei venuta prima?»
Lei non rispose, rimase a fissare il muro davanti a sé.
«Be’, ora sei qui. Se devo andare più giù, dovresti toglierti la vestaglia e il pigiama....» Gli sembrava assurdo dover dire quelle cose a T’Pol. Era lei che gli aveva insegnato la neuropressione. Infilò le dita nel colletto nel pigiama. «T’Pol?»
Lei si alzò di scatto e si strinse la vestaglia intorno. «Non sta funzionando. Mi dispiace di averla scocciata, comandante Tucker, tolgo subito il disturbo.»
--“Comandante Tucker”?-- si chiese lui. «Ehi, ehi! Aspetta. Non mi hai dato minimamente fastidio.» Le prese la mano. «Fermati.»
T’Pol si voltò dall’altra parte. Non voleva guardarlo in faccia.
«Ma cos’hai?» sussurrò lui. «Ti comporti in modo strano. Non abbiamo nemmeno iniziato.» Le prese delicatamente le spalle. «T’Pol.»
«Non credo.... non credo che funzioni la neuropressione.»
«Be’, allora ho in mente un metodo terrestre.» La tirò delicatamente verso il letto. «Vieni. Non hai niente da perdere.»
Trip si sdraiò sul letto, dalla parte del muro e si batté sulla spalla. «Appoggiati a me.»
Lei indugiò un istante, poi si tolse la vestaglia e si sdraiò come lui le aveva indicato. «E poi?»
«E poi niente.» disse Trip. Prese la coperta e la tirò fin sopra le spalle di lei, quindi spense la luce. «Chiudi gli occhi e immagina di essere in un bel posto.»
T’Pol fece come lui le aveva detto. «Quella spiaggia bianca in Florida....» sussurrò. «può andar bene?»
«Certo.»
Dopo pochi minuti T’Pol disse: «Non credo che questo metodo funzioni sui vulcaniani.»
«Shhhhh....» fece lui, sottovoce.
T’Pol immaginò ancora quella casa sulle palafitte, il grande letto della camera, con coperte in colori pastello e scritte nere in vulcaniano antico, Trip sdraiato accanto a lei come ora e nessun universo specchio a rovinarle la vita.
Aprì gli occhi. «No.» disse. «Non ha funzionato. Credo che sia meglio che io ritorni nel mio alloggio.» Attese una risposta che non arrivò. «Trip?» chiamò nel buio. Stava già dormendo così profondamente? «Trip?!» esclamò. Poi raggiunse la luce e l’accese. Non era più appoggiata alla spalla di Trip, ma a un cuscino. Scosse leggermente la testa, poi notò un biglietto appeso al muro:
“Dormivi così bene che sarei stato da corte marziale a svegliarti. Se quando ti svegli ti va di venire in sala macchine, io e Malcolm stiamo ancora cercando di riaprire il vortice. Trip”
Lanciò un’occhiata al terminale per leggere le ore. Aveva dormito davvero tanto. E in effetti si sentiva meglio.

«Prova a ruotarlo di quarantasette gradi.» disse Trip.
Malcolm ripuntò il raggio. «Così?»
«Ancora niente.» rispose Trip.
«C’è qualcosa che ci sfugge.»
«Non abbiamo ricreato tutte le condizioni?»
Malcolm si mise le mani sui fianchi. «Forse manca l’apertura della stessa porta sull’universo parallelo.» disse.
«Vi manca l’emissione di raggi delta.» La voce di T’Pol arrivò inaspettata alle loro spalle. Trip le sorrise.
«Comandante.» la salutò Reed. «E’ venuta a darci una mano?»
«Ho guardato i vostri dati. Credo che manchi un’emissione di raggi delta concentrata, utilizzata per creare un taglio nel continuum spazio temporale. Deve essere concentrata e mirata alla perfezione o rischiamo di subire i danni che abbiamo visto sul comandante Tucker dell’Universo Specchio.»
«Non abbiamo i mezzi, al momento, per costruire un emettitore di raggi delta.» replicò Trip.
«No, ma andando a curvatura 4, in due giorni raggiungeremo il pianeta Abinas, dove potremo ottenere ciò che ci serve.» T’Pol aveva già calcolato tutto.
«Aspetti, comandante.» disse Reed. «Se non abbiamo ora i mezzi per farlo, come abbiamo fatto ad avere quella sferetta, l’altro giorno?»
«Semplicemente il taglio è stato fatto dall’altro universo.»
«Ma certo.» disse Trip. «E’ come un foro in un muro. Se lo fai da una parte, raggiungi anche l’altra, anche se dall’altra parte non c’è nessuno in grado di farlo.»
T’Pol annuì. «Rimettiamo i motori operativi, poi comunicheremo a Mayweather di tracciare la rotta per Abinas.»

«Avanti.» disse Trip, mentre girava pagina di “Notturno” di Asimov e Silverberg. Non era un appassionato di lettura, ma quel libro era davvero avvincente. Su un pianeta immerso in un sistema di sei stelle, su cui non calava mai la notte, veniva prevista un’eclissi. Il terrificante buio avanzava sugli abitanti. Alzò lo sguardo. «T’Pol, ciao.» Le sorrise.
«Ti disturbo?»
Lui scosse la testa, e appoggiò il libro sugli scaffali sopra il letto.
«Mi chiedevo se....» Trip poté notare un leggero imbarazzo nella sua voce. «....mi.... mi puoi....»
«Vuoi dormire come ieri sera?»
Lei annuì.
«Certo, vieni.» Alzò le coperte. «E sei anche fortunata, il letto è già caldo.»
T’Pol s’infilò al suo fianco.
«Non riesci ancora a dormire?»
«Già.... Ho cercato nel database vulcaniano, per cercare questo metodo, ma non l’ho trovato. Speravo che ci fosse un modo di attuarlo senza doverti disturbare.»
«Non può essere fatto da soli.» disse Trip. «E credo che sia normale che non ci sia nel database vulcaniano. E’ un metodo che generalmente si usa.... coi bambini.»
T’Pol alzò lo sguardo su di lui. «Coi bambini?»
Trip rise leggermente. «Sì, o tra amanti.»
Lei abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi. «Non me ne avevi mai parlato.»
«Be’, la neuropressione funzionava. Ed era molto piacevole.» Trip le diede un bacio sui capelli.
«E questo fa parte del metodo?» sussurrò lei.
«No.» Le mise una mano sulla spalla. «Il tuo aiuto oggi è stato prezioso.»
«Trip....» Fece una breve pausa. «Siete certi che riporterete qui Archer del nostro universo?»
Lui non rispose subito. «Credo che dovremo andare per tentativi. Ma visto com’è fatto l’universo specchio, useremo una scorta armata.»
T’Pol appoggiò la fronte al suo collo. «Se non è assolutamente necessario, preferirei non essere presente.»
Tucker annuì. «Cosa ti ha fatto Archer?» chiese, la sua voce bassa e soffice.
Lei non rispose. Chiuse gli occhi. Poco dopo sussurrò: «Non ho.... trovato nemmeno questo nel database vulcaniano.... non ho trovato se i maschi umani provocano sempre dolore, durante gli accoppiamenti.»
Trip tirò a sé la vulcaniana, stringendosela contro. «No.» disse. «No, non capita quasi mai.»
Quasi.
T’Pol si tirò su, appoggiandosi al suo petto. «Dimostramelo.»
--“Dimostramelo”? Scienziata fino in fondo.-- pensò Trip.

Trip si alzò su un gomito e guardò T’Pol che, rannicchiata davanti a lui, gli dava le spalle dormendo tranquillamente. In pochi minuti avrebbero dovuto alzarsi e tornare al lavoro.
Si chinò in avanti e le diede un bacio sulla tempia. Aveva scoperto che a T’Pol piacevano le carezze sulle orecchie. E lui naturalmente non si era tirato indietro.
T’Pol aprì gli occhi e si girò.
«Buon giorno.» disse Trip.
T’Pol si rannicchiò contro il suo petto.
«Stai bene?»
«Sì.... ora sì.» T’Pol infilò un braccio intorno al fianco di lui. «E tu?»
«Mai stato meglio.»
«Non finirà qui, vero?»
Trip infilò le mani tra i suoi capelli. «Cosa?»
«La storia tra noi due.»
«No, certo che no.» Trip le prese il volto tra le mani e la baciò. «Per quanto illogico sia.»
Lei annuì.
«Non la pensi più come tua madre, vero?»
T’Pol si mise a sedere sul letto. «No. Non l’ho mai pensata come lei. Seguivo solo la via più ovvia per una Vulcaniana.» Recuperò la biancheria, ma non se la mise subito. Si girò. «Se torno ora nei miei alloggi, di sicuro qualcuno mi vedrà....»
«Da quando t’importa degli altri?» chiese lui. «Inoltre.... ho la vaga idea che nessuno pensi che questa sia stata la nostra prima volta.» Trip poté distinguere una lieve tinta olivastra sulle guance di T’Pol, quello che per gli umani sarebbe stato arrossire. «Sei la facente funzione capitano, assegnaci un alloggio più grande.» Le diede un bacio sulla guancia. «Andiamo, abbiamo una nave da mandare avanti.»

Archer alzò una sola mano in segna di resa. «Dove siamo?» chiese, tenendo con l’altra mano quella di Hoshi.
«Capitano?» chiese Trip. Dietro di lui quattro guardie armate, con i phaser puntati su di loro. L’ingegnere si avvicinò lentamente. «Il capitano Archer del nostro universo?»
Archer lasciò andare un lungo sospiro di sollievo. «Trip, grazie al cielo.» Gli sorrise.
«Bentornato, capitano.» disse Reed, poi indicò alla scorta di abbassare le armi. Che fossero loro si poteva capire a pelle. Era bello rincontrarsi.
«Hoshi ha bisogno di cure.» disse Archer. Le mise una mano dietro la schiena e la condusse dolcemente verso Reed.
«Vieni.» le disse lui e, prendendola per mano, la condusse fuori di lì.
«Anche tu hai bisogno di Phlox.» disse Trip. «Che cos’è successo da quando ci siamo divisi?»
Archer seguì il capo ingegnere verso l’infermeria. «La porta ha ributtato indietro Hoshi. Non so perché. E’ come se si fosse chiusa. Dato che non piacevamo molto all’equipaggio, hanno fatto di tutto per farci tornare qui. Ho visto la tua controparte e.... non mi piaceva nemmeno quella.»
Trip rise. «Da quello che ho sentito, nemmeno la tua piaceva molto qui.»
«Non lo metto in dubbio.» disse il capitano.
«Voi siete stati in contemporanea con le vostre controparti?»
«No. Perché?»
«Be’, perché loro sono svaniti una settimana fa.»
«Immagino sia stato una sorta di.... “sfasamento temporale”. Anche se devo ammettere che non sono bravo in queste teorie. Troppo astratte.» Entrarono in infermeria.
«Bentornato!» esclamò Phlox.
«Come sta, Hoshi?»
La ragazza annuì. «Ora che siamo tornati qui sto meglio, grazie.»
«Ora tocca a lei capitano, venga.» disse Phlox, indicando il lettino.
«Io sto bene.»
La porta si aprì e T’Pol entrò. Archer la conosceva da più di quattro anni e riuscì a notare una certa incertezza. «Comandante.» le sorrise.
«Capitano.» rispose lei. «Come state?»
«Il ritorno a casa è sempre bello.» disse lui.
«E’ stata T’Pol ad avere l’idea di utilizzare raggi delta per ricreare la porta.» disse Trip.
«Di sicuro lei se ne intende più di noi.» Archer le sorrise. Non si aspettava un sorriso ricambiato, ma nemmeno che T’Pol facesse un passo indietro, come se volesse allontanarsi.
Trip notò la cosa e le si mise a fianco. «Secondo il capitano c’è stato uno sfasamento temporale. Credi che sia possibile partire da un universo, in un certo tempo e giungere in un altro universo a un tempo diverso?»
La vulcaniana scrollò leggermente le spalle. «Si parla di teorie. E’ probabile, certo.»
Archer lanciò un’occhiata a Trip. Lui sorrise. «Be’, magari riscriveremo i libri di cosmologia.» Si girò verso di T’Pol. «Mi dai una mano a smontare la baracca?»

T’Pol arrivò di corsa sopra il water, appena in tempo per non vomitare sul pavimento. La nave girò vorticosamente intorno a lei, di nuovo. Si aggrappò al lavabo e si tirò su a forza. Non soffriva di mal di spazio da almeno trent’anni.
Si sciacquò il viso con acqua fredda, quindi andò a sedersi sul letto, tirandosi una coperta sulle spalle.
Da un mese e mezzo la vita sull’Enterprise era ripresa come prima, con il loro bravo capitano Archer, con la loro dolcissima ufficiale alle comunicazioni Sato.
L’unica cosa che era cambiata erano le sedute di neuropressione tra lei e Trip, che generalmente, ormai, non erano più solo di neuropressione.
A parte l’ultima settimana. Avevano avuto la possibilità di aggiornare i motori, in modo che potessero arrivare, per qualche minuto, a curvatura 5,5, ed erano stati così impegnati sul lavoro che non avevano avuto tempo per trovarsi.
Si sdraiò, quando la nave riprese a girare intorno a lei. Respirò lentamente e profondamente finché la sensazione svanì.
Phlox li aveva messi in guardia dai microbi, quando erano scesi sul pianeta dove avevano recuperato la tecnologia e l’attrezzatura per l’aggiornamento. Lei non aveva toccato né cibo né acqua, ma come il solito, Trip si era lasciato andare alla curiosità e aveva assaggiato una sorta di macedonia di frutti alieni dai colori fluorescenti. T’Pol pensò che probabilmente lui si era preso un virus intestinale che sulla fisiologia umana non aveva avuto effetto e gliel’aveva passato.... T’Pol chiuse gli occhi. Gliel’aveva probabilmente passato con quel bacio che le aveva dato in sala macchine, davanti al motore, appena risaliti a bordo. T’Pol si portò la punta delle dita alle labbra. Trip sapeva baciare decisamente bene.
T’Pol aprì gli occhi di scatto, quando la nave vibrò. Questa volta la vibrazione dell’Enterprise era reale e non solo un’impressione data dal suo stomaco sottosopra. Premette l’interfono. «T’Pol a comandante Tucker.»
«Qui Trip.» rispose lui.
«Tutto bene?»
«Sì, stiamo scendendo a curvatura 4, i motori non possono ancora reggere per molto tempo a 5,5. Ma va tutto bene.»
«Se avete bisogno, chiamatemi. Chiudo.»
Il tremolio calò leggermente e T’Pol chiuse gli occhi, cercando di farsi passare il senso di nausea, che però lentamente, aumentava. Sospirò, quando capì che doveva per forza andare da Phlox.
«Comandante T’Pol!» esclamò lui. La Vulcaniana si chiese come faceva a tenere sempre quell’umore allegro e gioviale. «Cosa posso fare per lei?»
«Credo di aver preso un virus quando siamo scesi a recuperare l’attrezzatura per la curvatura 6.» Si sedette sul lettino.
Phlox andò a prendere un tricorder. «Quali sono i suoi sintomi?»
«Nausea, giramenti di testa, vomito, vertigini.»
«Si direbbe un’influenza intestinale, dato che non credo che lei soffra di mal di spazio.» Il medico fece passare il tricorder davanti a T’Pol. «No, il suo sistema gastrointestinale è a posto. Non trovo tracce di alcun virus che po....» La sua voce svanì nel nulla.
«Dottor Phlox?» chiese lei, la sua voce vulcanianamente calma.
«Uhm....» fece lui. Rimase in silenzio per qualche istante. «T’Pol.... credo di aver capito qual è il problema....»
«Sarebbe a dire?»
Phlox spense il tricorder e sospirò. «Be’, comandante.... lei è incinta.»
T’Pol restò in silenzio per qualche istante. «Non ho avuto il pon farr.» disse, con tono di voce piatto.
Il medico scrollò le spalle. «Sì, ma.... vedo distintamente un embrione.» Esitò. «Di due mesi.»
Lei ispirò di colpo, sembrò per qualche istante perdere la sua tranquillità vulcaniana, ma poi tornò calma. «Può dirmi esattamente quanti giorni ha?»
Phlox la guardò alzando un sopracciglio. «Comandante?»
«Il giorno esatto del concepimento.»
Phlox alzò di nuovo il tricorder. «E’ difficile dirlo, lei non ha avuto il pon farr e l’embrione.... si direbbe per metà umano.»
«*È* per metà umano.» precisò lei. «Phlox, ho bisogno che faccia analisi genetiche per dirmi chi è il padre.» replicò in fretta. «Intrattengo da allora una relazione con.... un altro umano.»
Phlox lasciò andare un mezzo sorriso. «Posso fare un’analisi genetica, ma ci vorrà del tempo.»
«Faccia quello che deve.» disse lei. «È importante.»

Trip entrò in camera, finito il doppio turno di lavoro, massaggiandosi il collo dolorante. Avrebbe proprio avuto bisogno di una seduta di neuropressione....
Trasalì, quando vide T’Pol stesa sul suo letto.
«T’Pol! Che ci fai qui?»
Lei aprì gli occhi. «Scusa.» Si mise a sedere. «Non avevo voglia di stare nel mio alloggio, ma ora ti rifaccio il letto e me ne vado.»
«No, no.... resta pure, se ti va.»
«Davvero non ti do fastidio?»
Trip scosse la testa. «Perché dovresti?»
T’Pol si risdraiò, tirandosi le coperte sulle spalle. «Sarai stanco.»
«Dormo meglio quando ci sei tu in giro.» Si sedette accanto a lei. «Non mi sembra che tu stia molto bene.» Le mise una mano sulla spalla. «T’Pol?»
«Pensavo di avere l’influenza.» disse.
«E ora come stai?» Trip si sdraiò accanto a lei e la prese tra le braccia. «T’Pol?»
Lei appoggiò la fronte alla sua spalla. «Sono incinta.»
Trip rimase qualche istante immobile, poi le prese il volto tra le mani, sorridendo. «Ma è una bellissima notizia! Io pensavo che noi due non avremmo potuto.... cioè....» La baciò. «Dobbiamo ufficializzare la cosa. Potremmo....»
«Trip!» gridò lei ad un tratto, interrompendolo.
Lui tacque.
«Non so se è tuo.»
Lui rimase in silenzio per qualche istante, poi infilò le dita tra i suoi capelli e la strinse a sé.
«Sono di due mesi. Potrebbe essere dell’altro Archer.»
«Non fa niente. Lo cresceremo come se fosse mio.» Le diede un bacio sulla fronte.
«E’ illogico.»
«Noi umani siamo famosi per la nostra illogicità.»
L’interfono trillò. «Phlox a comandante T’Pol. Può venire in infermeria?»
«Vengo con te?» chiese Trip.
T’Pol annuì. Entrarono insieme, camminando con calma, Trip appena dietro di lei.
«Comandante Tucker, cosa posso fare per lei?»
«Uhm, ecco io....»
«E’ qui per accompagnare me.» tagliò corto T’Pol. «Dottor Phlox, può parlare liberamente davanti al comandante.»
«Be’, naturale, dato che è lui il padre.»
Trip si girò di scatto, sollevò T’Pol tra le braccia. «Lo sapevo!»
Lei rimase senza fiato, aggrappandosi alle sue spalle.
Tucker la strinse a sé. «Alla faccia di tutti quelli che dicevano che non era fattibile.»
T’Pol allontanò delicatamente Trip. Non le piacevano quelle dimostrazioni d’affetto davanti a un’altra persona. Probabilmente avrebbe dovuto farci l’abitudine, dato che Trip era umano.
«E come stanno?» chiese Trip.
«Sia T’Pol che la bambina sono in ottima salute, attualmente.»
Lui sorrise. «Bambina? E’ una femmina?»
Phlox annuì. «Sì, esatto.»
Tucker mise un braccio intorno alle spalle di T’Pol. «Adoro le femmine.»
«C’è solo una cosa.» continuò Phlox. «Deve assolutamente smettere di prendere trellium-D. Non sappiamo che effetti può avere sull’embrione.»
Trip si girò stupito verso la Vulcaniana, che distolse subito lo sguardo. Già, quella cosa lui non la sapeva. Lei annuì. «Sono un po’ stanca, ora, vorrei ritirarmi nel mio alloggio.»
Uscirono dall’infermeria.
«Ehi!» esclamò ad un tratto Trip, quando T’Pol, ormai diretta verso i propri alloggi, non aveva ancora detto una parola, né gli aveva rivolto uno sguardo. La prese per un braccio. «Fermati.»
«Sono stanca.» replicò lei. «Vorrei sdraiarmi un po’.»
«Sdraiati pure, ma io credo che dobbiamo parlare.» La seguì nel suo alloggio.
Lei si girò e lo fissò. «Di cosa?»
«E me lo chiedi anche? Pensavo che il trellium-D fosse nocivo per i Vulcaniani.»
T’Pol esitò a rispondere, poi si sedette sul letto. «L’ho preso solo un paio di volte.... da.... due mesi in qua.» disse.
«Io so che il trellium-D compromette i percorsi sinaptici utilizzati per controllare le emozioni. Mi chiedo come abbia potuto aiutarti.»
«Dà una sensazione di libertà. Quella libertà di cui mi hai parlato appena iniziata questa missione. Mi sento meglio tra gli umani, da quando....» Fece una breve pausa. «Senti, ora che so di essere incinta non metterò in pericolo nostra figlia solo per un po’ di emozioni. Inoltre.... i danni che ha fatto su di me.... ormai sono fatti. Quelle connessioni sono andate. Posso sentire meglio le mie emozioni, ma non sempre riesco a reprimerle....»
«Suona vagamente umano.» disse lui. Le sorrise. «Forse sei stata troppo tempo tra i terrestri. Mi chiedevo se non fosse il caso di tornare su Vulcano, ora.»
«Perché?»
«Be’, penso che affrontare una gravidanza lontana da casa non sarebbe....»
«Vuoi liberarti di me?»
Trip sgranò gli occhi. «Ma che dici?! E’ ovvio che verrei con te.»
Lei scosse la testa. «No, no. Io.... io ho paura, Trip.» Sospirò. «Non è una delle emozioni che cercavo.... e non è nemmeno così entusiasmante come mi dicevi tu anni fa.»
«Be’, non pensavo a questo tipo di paura....»
T’Pol si alzò in piedi. «Mi chiedo che futuro possa avere una persona che non è né umana, né vulcaniana.»
«Devi cambiare punto di vista.» replicò Trip. «Questa bimba è sia umana, che vulcaniana.»
«Ma che vita possiamo darle?»
Non aveva tutti i torti. Trip pensò che in quel momento doveva sentirsi come i primi uomini bianchi che avevano sposato donne nere.... o viceversa. Ma la cosa era stata accettata, nessuno ormai si faceva più problemi.
«Voglio stare sull’Enterprise più a lungo possibile.» disse T’Pol. «Qui troverà un ambiente protetto e aperto, dove potrà per lo meno avere un’infanzia decente, senza nessuno che la prende in giro perché....» Scrollò le spalle. «Perché ha le orecchie a punta piuttosto che rotonde.»
Trip le sorrise. «D’accordo. Ma.... come dici che le avrà?»
T’Pol si sedette di nuovo accanto a lui. «Cosa?»
«Le orecchie.»
Lei alzò leggermente gli occhi al cielo. «Perché voi umani siete così fissati con le orecchie?»
Trip si chinò in avanti e le sfiorò l’orecchio con la punta delle dita. «Mi sembra che anche a te piaccia molto.»
Lei si girò di scatto verso di lui, gli mise una mano dietro la nuca e lo tirò a sé, baciandolo.

(http://www.youtube.com/watch?v=p8cdK7aAFfs)
«Ma l’amore, no.... l’amore mio non può disperdersi nel vento, con le rose....»
Il tenente Reed si sporse oltre l’angolo del motore, quando sentì cantare.
«Tanto è forte che non cederà, non sfiorirà....»
Malcolm guardò stupito l’uomo in piedi davanti ai comandi del motore.
«Io lo veglierò, io lo difenderò da tutte quelle insidie velenose....»
Era proprio Trip?
«....Che vorrebbero strapparlo al cuor, povero amor!»
Malcolm tossì leggermente per annunciarsi.
Trip si girò, continuando a canticchiare. «Ma l'amore no, l'amore mio non può dissolversi con l'oro dei capelli....» Poi disse: «Ciao Malcolm.»
«Ti ho portato i dati che chiedevi.»
Prese il PADD e lesse i dati, mentre continuava a canticchiare. «Finch'io vivo sarà vivo in me, solo per te....»
«Sei particolarmente di buon umore, oggi.» notò Reed.
Trip sorrise. «Decisamente.»
Malcolm gli sorrise. «Sei innamorato.» constatò.
L’ingegnere rise. Certo che lo era. Amava la bimba piccola piccola dentro la pancia di T’Pol. E se ne era così innamorato ora, si chiese quanto sarebbe impazzito per lei quando fosse nata. Gli rese il PADD. «Come mai sei sceso tu?»
«Passavo.» replicò lui. «Sto andando in palestra, quando finisci il turno vieni anche tu? Facciamo una partita di basket, due contro due.»
Trip scosse la testa. «No, per stasera passo.»
«Altri programmi?» Reed parlò con nonchalanche.
Tucker gli sorrise. «Anche se fosse?»
«Dovreste farvi dare un alloggio più grande.» rispose Malcolm, allontanandosi.
«Non è una cattiva idea.» disse tra sé, mentre riprendeva a lavorare sul motore e a canticchiare. Quando finì il turno di lavoro, andò direttamente nell’alloggio di T’Pol. «La gente comincia a parlare.»
«Di cosa?» chiese lei, mentre si sfilava l’accappatoio e si sedeva davanti a lui.
Trip le appoggiò le dita ai lati del collo: avevano scoperto che la neuropressione sulla cervicale alleviava anche le nausee. «Di noi due.»
«Lasciali parlare. Com’è quel detto?»
«“Paese piccolo, la gente mormora.” E più piccolo dell’Enterprise....» Si chinò in avanti, appoggiando il suo petto contro la schiena della vulcaniana e ponendo un bacio sul suo collo.
«Inizierà a vedersi, nel giro di un mese. Anche se ora indosso queste uniformi....»
Archer si era stupito alla richiesta di T’Pol di indossare le normali uniformi blu della Flotta Astrale.
«Penso che dovremmo dirlo almeno al capitano.» sussurrò Trip. «Almeno per avere un alloggio più grande.»
«Cos’hanno che non vanno i nostri alloggi?»
«Che sono distanti?»
«Se ci trasferiamo in un alloggio assieme, altro che “mormorare”.»
«Appunto.» Trip rise. «Così la cosa sarà chiara a tutti e nessuno mormorerà più.»
Lei si girò. «Hai ragione, credo sia meglio dirlo prima al capitano.» Lo fissò.
«Vuoi che glielo dica io?»
Lei annuì e si rigirò. «Ma adesso, per favore, vai avanti con la neuropressione. Quando non la facciamo la nausea peggiora.» E inoltre, pensò, le sue mani su di lei le piacevano.

«Avanti.» Archer stava leggendo informazioni sul prossimo pianeta dove sarebbero sbarcati. «Ciao Trip.» disse. «Sapevi che su Betel IV ci sono degli interi parchi di divertimento per scalatori? Verrai a fare un giro come me e Travis?»
Tucker scosse la testa. «No, credo che visiterò la città. Il bazar, in particolare.»
Archer si girò e lo guardò stranamente. «Da quando t’interessi di più di shopping che di sport?» chiese.
Lui rise. «C’è una cosa di cui dovrei parlarti.... hai presente quella stiva di carico sul ponte B?»
«Più che stiva lo chiamerei vano. E’ basso, stretto.... E’ un errore di progettazione, anche se è difficile ammetterlo.»
«E’ più grande di un normale alloggio per equipaggio.» lo corresse Tucker. «Mi chiedevo se non fosse possibile liberarlo per farci, appunto, un alloggio.»
Archer lo fissò. «Cos’hai in mente?»
«Pensavo di divederlo in due parti, una anteriore grande e una posteriore poco più piccola, con un bagno. Posso fare tutto con materiale di recupero.»
«Questo non lo metto in dubbio, ma qual sarebbe lo scopo?»
«Che ne penseresti se questa fosse la prima nave a curvatura 5 su cui nasce un bambino?»
Il capitano scosse leggermente la testa. «Ti ho perso.»
Trip rise.
A quel punto Archer capì e si unì a lui. Si alzò e andò ad abbracciare l’amico. «Dobbiamo festeggiare!» Recuperò una bottiglia di birra andoriana da un armadietto e ne versò per sé e per Trip. «Giravano parecchie voci su una storia seria tra te e T’Pol.... ma non ho mai pensato fosse così seria. Congratulazioni!»
Alzarono i bicchieri.
«Come capitano della nave, mi toccherà sposarvi?»
«Non ci pensare nemmeno.» disse Trip.
«A quando il lieto evento?»
«Nel giro di sei mesi.»
Archer scosse leggermente la testa. «E quanto volevate ancora aspettare a dirmelo?»
«T’Pol è preoccupata per il futuro della bambina.»
«E’ una femmina?»
Trip annuì, sorridendo. «Dice che un individuo metà umano e metà vulcaniano non avrà una vita facile.»
Archer finì il suo bicchiere di birra andoriana. «Non posso darle torto. Ma qui sull’Enterprise non avrà problemi. Anzi, prima ufficializzerete la cosa, prima cesseranno i pettegolezzi.» Appoggiò il bicchiere sul tavolo. «E tu come ti senti?»
Trip sorrise lievemente. «Molto spaesato.... Ma sto davvero bene.»

«E’ proprio necessario?» chiese T’Pol.
«Sì.» rispose Tucker. «Forza, chiudi gli occhi.»
Lei fece come le aveva chiesto. Follia umana....
Trip aprì la porta e prese per mano la vulcaniana. «Attenta al supporto della porta.... ok, ci siamo, ancora un passo.... ora puoi aprire gli occhi.»
T’Pol rimase senza fiato.
«Allora?»
«E’.... è.... davvero bello.» disse. «Come.... come hai fatto a fare tutto questo?»
«Una mano da Malcolm, Jonathan e Travis per i mobili, una da Hoshi e Phlox per i complementi.»
In mezzo alla parete si trovava un grande letto a due piazze, ricoperto da una trapunta in colori pastello con scritte nere in vulcaniano antico. Ai piedi del letto c’era una culla in vimini bianco, con rivestimenti e lenzuolini in stoffa gialla.
«Spero che le scritte non siano insulti.» sussurrò lui.
T’Pol scosse leggermente la testa. «No.» Si sedette sul bordo del letto, facendo scorrere la mano sul letto. «C’è scritto “-mene sakkhet ur-seveh.-”. “Lunga vita e prosperità”, ripetuto per tutta la stoffa.»
Trip si sdraiò dietro di lei, mettendole un braccio intorno ai fianchi, appoggiando la mano al suo ventre che ormai non era più possibile nascondere. «Direi che ha funzionato.»
«E’ stupenda. Dove l’hai trovata?»
«Non crederai mai cosa ha saputo trovare Hoshi in un bazar nei sobborghi di Betel IV.»
«A proposito di IV....» sussurrò lei, sdraiandosi. «Se fosse stato un maschio non avrei avuto dubbi sul nome.»
«Cioè?»
«Charles Tucker IV.»
Trip scosse leggermente la testa. «Nah.»
«Hai detto che l’avresti voluto chiamare così.»
«Quando?»
«Quando tu e Malcolm eravate chiusi da soli dentro la Navetta Uno.»
Tucker la guardò stupito. «E tu come lo sai?»
«Me l’ha detto Malcolm.» spiegò lei. «Quando mi ha fatto i complimenti, non sapeva che era una femmina.»
«Credo che dovremmo anche pensare a un nome vulcaniano.» disse lui.
«Perché?»
«Perché avrà le orecchie a punta.»
«-Olozikhaik....-» sussurrò T’Pol.
«Come?»
«Logico. Sì, hai ragione.» Se fosse stato un maschio, pensò, si sarebbe chiamato Charles Lorian Tucker IV. «Ma vorrai darle il tuo cognome, come è usanza sulla Terra, giusto?»
Trip sorrise. «Be’, certo, sono pur sempre un maschio umano.»
«Che ne pensi di Elizabeth Tucker II?»
Tucker si sentì stringere il cuore. T’Pol sapeva essere dolce. Molto. Peccato che sapeva anche nasconderlo, solitamente. Non questa volta. Probabilmente erano gli ormoni. Nonostante ciò non poté resistere, doveva sparare una battuta. «Ma si chiamava così la mia bisnonna.»
«Non tua sorella?»
«Mia sorella era Elizabeth III.»
«Allora Elizabeth Tucker IV.» replicò. «Ma avete tutti nomi riciclati?»
«Un cattivo vizio di famiglia. Potremmo anche eliminare la tradizione.»
«No.» disse T’Pol. «Mi piace così. Se fosse stato un maschio avrei voluto chiamarlo Lorian, come mio padre.»
«T’Les potrebbe essere un bel nome.»
«No.» disse lei. «Io amo mia madre, ma lei ci ha sempre messo i bastoni tra le ruote.» Sospirò.
«T’Mir.» disse Trip.
«T’Mir?»
«Sì. Il nome della prima vulcaniana sulla Terra. E’ adatto, essendo lei la prima Vulcaniana Umana.»
«Pensavo non credessi a quella storia.»
Trip le sorrise. «C’è un altro motivo. Saprai che la Terra ha avuto per molti anni una stazione orbitale russa, la Mir.»
T’Pol annuì. Sì, era una buona scelta. In fondo erano entrambi astronauti.
«E una volta, parlando con Hoshi, mi ha detto che “mir” è una parola russa che significa “pace”.... quindi credo che sia un nome assolutamente azzeccato.... e di buon auspicio. La pace tra Terrestri e Vulcaniani, la pace nell’universo.»
«Sì.... va bene.»
«Piacerà anche a lei?» Si tirò su e appoggiò delicatamente le labbra alla pancia di T’Pol. «Elizabeth T’Mir Tucker IV.... ti piace, piccolina amore di papà?»

«Sei certa che non vuoi che stia qui, oggi?»
«Mancano ancora più di due settimane.» T’Pol appoggiò la mano sopra quella di Trip che l’abbracciava, sdraiato dietro di lei. «Scendi tranquillo su quel pianeta e goditi la gita.»
«Ma mi mancherai....» Le sue parole si capirono appena, dato che stava parlando con le labbra appoggiate alla sua spalla.
«Starai via solo un pomeriggio.» Si girò, mettendogli un braccio intorno alle spalle. «Stai tranquillo.» Lo baciò sulle labbra.
Trip si mise a sedere sul letto. «Devo andare.» Si chinò in avanti per baciare il ventre della vulcaniana. «Ciao amore. Goditi il riposo, oggi.»
T’Pol annuì. «Vai, o farai tardi.»
Lui annuì e si alzò. «Vuoi venire in sala mensa oggi?»
«No, preferisco mangiare in camera, se non ti spiace.»
«Ok....» fece lui.
Quando tornò a mezzogiorno nell’alloggio, T’Pol era seduta a terra in meditazione, su un grosso cuscino che Trip aveva recuperato in una delle sue gite a terra. Aveva rassettato la stanza alla perfezione.
Tucker si sedette davanti a lei e le porse un contenitore chiuso. «Buon appetito.» le disse.
T’Pol aprì lentamente gli occhi. «Grazie.» disse, ricevendo il piatto.
«Senti.... io non voglio litigare con te proprio oggi che devo star via varie ore.... ma mi spieghi perché non vuoi più uscire di qui?»
Lei inforcò le verdure che aveva nel piatto e se le mise in bocca in fretta per prendere tempo.
«T’Pol.»
Lei deglutì. «Non c’è bisogno che io esca di qui. Tutto quello che il capitano mi chiede di fare posso farlo dal computer.»
«Certo, abbiamo messo a tacere i pettegolezzi su di noi e ora dai un nuovo motivo per sparlare?»
T’Pol buttò il piatto sul tavolino e si alzò, aggrappandosi al bordo del letto. «Vuoi che torni sul ponte di comando? E come riuscirei a starci? Sono diventata enorme.»
Trip sospirò e appoggiò il piatto accanto a quello di T’Pol. «Sto solo dicendo che sono ormai giorni e giorni che non esci di qui. Ci sarebbe aria viziata se fossimo su un pianeta!»
«Non siamo su un pianeta! Non siamo in una normale casa, non siamo una famiglia normale!»
Lui si alzò in piedi e la prese per la spalle. «E’ vero. Hai ragione.» le disse. «Ora però calmati.»
La Vulcaniana gli allontanò le mani di scatto. «Proprio tu mi parli di calmarmi?!»
«Direi di sì, perché almeno io so di non essere perfetto.» replicò lui duramente, quindi uscì velocemente dalla camera.
T’Pol si lasciò andare sul letto. Non era la prima volta che litigavano, nemmeno da quando avevano scoperto che sarebbero presto diventati genitori.
Sospirò. Di solito però facevano pace subito. O meglio, Trip risolveva la situazione, con il suo spensierato carattere umano, così dolce e così allegro.
Recuperò il piatto e finì di mangiare le verdure. «Dai, Trip, torna indietro per salutarmi.» sussurrò. Attese, ma Tucker non tornò. Ormai doveva essere ora di preparare la navetta per la discesa sul pianeta, quindi lei pensò che questa volta non sarebbe tornato a fare pace.
L’avrebbe lasciata a rodersi nella rabbia e nel rimorso senza dirle nulla fino a sera, magari fino alla mattina dopo. Tornò a sedersi sul cuscino, quindi recuperò il piatto di Trip: pasta con sugo di pancetta e rosmarino.
Prese la forchetta e mosse le mezze penne per qualche secondo, poi ne inforcò una, con tanto di pezzetto di pancetta e lentamente la portò alla bocca. Chiuse gli occhi. Il sapore era nuovo, particolare, forte. Molto forte.
Ma era buono.
Le piaceva.
Prese un’altra forchettata, poi un’altra ancora, e una via l’altra fino a svuotare a metà il piatto.
«T’Pol?»
Trasalì, quando sentì la voce di Trip alle sue spalle. Si pulì le labbra con il dorso della mano e riappoggiò il piatto al tavolino. Poi si girò a ricambiare lo sguardo. «Non.... non sei partito?»
«Il volo è tra mezz’ora.» Si avvicinò lentamente e le si sedette accanto. «Ti è piaciuta?»
T’Pol annuì lentamente. «Ha un sapore molto intenso.»
Trip le mise un braccio intorno ai fianchi. «Mi dispiace di essermi arrabbiato, prima.»
«Mi dispiace di non essere più uscita di qui.»
«Perché? Cosa c’è fuori da questo alloggio che ti spaventa?»
«Io non sono spaventata.»
«Allora perché?»
T’Pol sospirò. «Mi guardano stranamente. Come appena iniziata la missione. Un tempo guardavano stranamente le mie orecchie, ora la mia pancia. Come se avessero paura di.... di quel che uscirà.»
«Chi lo fa?»
Lei scrollò le spalle.
«Dimmelo. Vado e li picchio!» Le sorrise.
Lei chiuse gli occhi e si lasciò andare contro la spalla di Tucker. «Non lo so, probabilmente sono gli ormoni, è solo una mia impressione e io.... sto impazzendo. Porto una bambina ibrida, non so che futuro potrà avere, sono ad anni luce dal mio pianeta d’origine, sto con l’umano più impulsivo che io conosca....»
«Il più impulsivo?» chiese lui, ridendo.
T’Pol sospirò. «Tra te e il capitano Archer è una bella gara.»
«Questa espressione è molto umana.» sussurrò Trip, baciandola sull’orecchio. «Vuoi che rimanga qui?»
«No, vai.... portami un souvenir.»
Lui rise. «Credo che sia vero che abbiamo sviluppato un legame.... anche questa è una mia espressione.» Le accarezzò la guancia. «Sai, ho parlato con qualcuno. Non ti guardano stranamente. Sono solo felici che a te, a me.... all’Enterprise intera stia succedendo una cosa così bella.» Le sorrise. «Hoshi, Travis, Jonathan si sono offerti di farci da padrini. Da quel che ho capito su Denobula non si usa, se no penso che l’avrebbe proposto anche Phlox. E Malcolm è troppo timido per chiedermelo.» Si tirò in piedi. «Devo proprio andare.»
T’Pol annuì. «Ci vediamo questa sera.»
Si tirò in piedi e si guardò allo specchio. Archer aveva fatto modificare quattro divise appositamente per lei, in modo che ci stesse comoda anche al nono mese di gravidanza. Si tirò i capelli dietro le orecchie. Li aveva lasciati crescere leggermente. Trip diceva che stava meglio.
Prese un profondo respiro e uscì dall’alloggio. Camminò lentamente verso il ponte di comando. Quando incrociò Travis che aveva appena finito il suo turno ebbe un istante di panico. Pensò di girarsi e correre indietro.
«Comandante.» la salutò Travis, con il suo bellissimo sorriso da ragazzo. «Tutto bene?»
T’Pol annuì. «Sì, sì. Grazie. Sul ponte?»
«Tutto in ordine.» replicò lui. «Ha già pranzato?»
«Sì.» T’Pol non aveva mai fatto lunghi discorsi con Mayweather. Anzi, ora che ci pensava non aveva mai fatto lunghi discorsi con nessuno, ad eccezione di Trip. Con Archer, quando anche fossero lunghe conversazioni, generalmente erano di lavoro. Tre anni prima, il capitano le aveva chiesto di “socializzare” con l’equipaggio. Ma lei aveva ammesso di non essere brava in questo. «Non scende sul pianeta?»
«No, oggi passo.» rispose Travis. «Magari sul prossimo. Il comandante Tucker mi ha detto che avete già tutto il necessario per la bambina, ma se avesse bisogno di qualcosa, contate pure su di me.»
T’Pol annuì. «Grazie.» Riprese il percorso verso il ponte di comando. Entrò nel turboascensore e si girò appena in tempo per vedere Hoshi che correva verso di lei. L’aveva evitata il più possibile, dopo aver visto il suo “specchio” a letto con Archer. Questa volta, però, T’Pol bloccò le porte del turboascensore perché Hoshi potesse entrarci.
«Grazie.» disse la ragazza.
«Ponte di comando?»
«Sì. Sta salendo anche lei?»
T’Pol annuì. «Hoshi....» sussurrò.
«Sì?» La voce di Hoshi non solo era versatile, ma anche estremamente dolce.
«Mi chiedevo.... lei è stata un’insegnante, giusto?»
Sato sorrise. «Sì, secoli fa ormai.»
«Meno di cinque anni, se non erro.»
«Sì, è vero, ma questa missione.... insomma è successo talmente tanto che mi sembrano secoli.»
T’Pol rimase in silenzio per qualche istante. «Mi chiedevo se.... se questa missione durerà ancora altri anni.... potrebbe....» Fece una breve pausa. «Potrebbe fare da insegnante di lingue a mia figlia?»
Hoshi le sorrise. «Certo! Sarebbe stupendo!»
T’Pol annuì. «Grazie.»
«E’ un piacere. Come si sente ora?»
«Ora?»
«Sì, è un po’ che non la vedo sul ponte di comando, pensavo che non si fosse sentita bene.... è comprensibile.»
Ma le donne partorivano sulle nave stellari da anni, pensò T’Pol, e Travis Mayweather ne era la prova vivente. «Sì, sto meglio, grazie.»
«Dev’essere molto bello....» sussurrò la giovane.
«Cosa?»
«Avere un bambino.» Hoshi sorrise. «Siamo arrivate.»
«Aspetti....»
La ragazza si girò. Oggi la vulcaniana non finiva di stupirla.
«Mi sa dire qual è il significato del nome “Elizabeth”? So che Trip.... le ha chiesto quello di “Mir”.... in russo significa “pace”.»
Hoshi annuì. «Sì. “Elizabeth”.... credo che venga dall’ebraico, ma dovrei controllare. Glielo faccio sapere appena finisco il mio turno.»
T’Pol annuì. «Grazie.»
Uscirono sul ponte di comando. Archer si girò appena e non nascose lo stupore nel vedere T’Pol. «Comandante.» disse. «E’ un piacere riaverla sul ponte.» Si alzò dalla poltrona. «Prego, si sieda.»
Lei lo guardò alzando un sopracciglio.
«Avanti, è la poltrona più comoda della nave. E’ giusto che la prenda lei.»
A parte il fatto che Trip le aveva recuperato (non aveva capito di preciso da dove e aveva preferito non indagare) una poltrona ancora migliore [si dice che l’abbia rubata a Jean-Luc Picard in un’incursione avanti nel tempo assieme a Daniels, si dice anche che il capitano Picard abbia, per questo, incolpato Riker, il quale si è vendicato raccontando storie false e cattive su Trip], T’Pol non voleva stare al centro del ponte di comando. «La ringrazio, capitano.» disse. «Ma sono venuta solo per qualche minuto.»
Archer annuì. «Come vuole.»
T’Pol si avvicinò alla stazione scientifica.
«Comandante, vuole il posto?» chiese l’ufficiale che l’aveva sostituita.
«No, stia pure. Do solo uno sguardo alla situazione.» Doveva ammettere che la vita sul ponte le mancava. Quando sentì una leggera fitta pensò che era già stata in giro molto, rispetto ai giorni precedenti. Andò verso il turboascensore e Archer la seguì. Quando le porte si chiusero dietro di loro, T’Pol si girò con le spalle verso il muro, ponendo quanta più distanza poteva tra lei e il capitano.
«Volevo chiederle se sta davvero bene o c’è qualcosa che non va.»
«No, è tutto a posto, grazie. La gravidanza è una condizione abbastanza stressante.» disse.
«Ha provato a fare quelle sedute di assenza di gravità, come le ha proposto Phlox?»
T’Pol annuì. «Sì.» Si portò le mani intorno al ventre. «Ma peggioravano le nausee. Ho potuto riprenderle solo da poche settimane.»
«Pensa che se la sentirà di tornare sul ponte, dopo la nascita?»
Lei annuì leggermente. Perché le stava facendo tutte quelle domande?
«Sa, mi mancano le nostre chiacchierate.... e le nostre discussioni.» Le sorrise.
L’ascensore si fermò e lei uscì quasi di corsa.
«T’Pol, sta bene?» le chiese Archer, seguendola.
«Sì, sono solo un po’ stanca, vorrei tornare nel mio alloggio....»
«La accompagno.»
«Le assicuro che non ce n’è bisogno.» disse T’Pol, che sentiva dentro di sé crescere l’agitazione a ogni passo.
«Preferisco farlo. Dopo la nascita della bambina, non volete prendervi una licenza? Potrebbe farvi bene un po’ di tempo a terra.»
«Sì, magari.» rispose lei.
«Avete già deciso il nome?»
«Abbiamo qualche idea.» Da quando aveva imparato a raccontare bugie? Be’, in fondo era stato proprio Archer a chiederle di recitare, durante i primi giorni della missione, mentre era rinchiusa in una grotta e Trip le puntava una pistola phaser alla testa, in preda ad allucinazioni. «Ma per ora....» La sua frase venne interrotta da una forte fitta. Si appoggiò al muro.
«T’Pol? Sta bene?» Archer le mise una mano sul braccio e lei lo scostò di colpo. «Non mi tocchi!» urlò.
Jonathan ritrasse la mano. «Mi scusi.» disse.
Arrivò un’altra fitta che le tolse il fiato.
«E’ meglio che andiamo in infermeria.» disse lui, allungano la mano con il palmo in alto.
«No, mi lasci stare, non mi tocchi....» T’Pol si ritrasse ancora di un passo, scontrandosi contro il muro. «Questa bambina è mia e di Trip. Mia e di Trip, non è sua.»
Archer la guardò senza capire. «Lo so, certo.... è ovvio.» Si girò per premere un interfono, ma la Vulcaniana urlò: «Non ci provi nemmeno!»
«Credo che lei sia un po’ confusa.» disse il capitano. «Voglio solo chiamare Phlox per....»
«NO! La bambina è figlia di Trip!»
«Non lo metto in dubbio....» Archer abbassò la mano e la guardò stupito. «Siamo per caso entrati in un campo di trellium-D senza che io me ne accorgessi?»
T’Pol non rispose. Sentiva il suo corpo iniziare a contrarsi.
Un leggero passo che veniva dal corridoio spezzò il silenzio. Malcolm Reed si bloccò quando sentì a pelle la tensione che c’era nel corridoio. «Scusate.» disse. [Povero cristo, si trova sempre in mezzo!]
T’Pol alzò lo sguardo su di lui.
«E’.... tutto ok?»
«No.» rispose la Vulcaniana e, più velocemente che poté, si diresse verso di lui.
Malcolm ebbe la tentazione di pensare a una ritirata, ma rimase profondamente stupito quando T’Pol andò a nascondersi dietro di lui, quasi attaccata alla sua schiena.
«Quello non è il nostro capitano Archer.» disse.
Reed alzò lo sguardo su di lui, che scosse leggermente la testa.
«Non gli creda!» urlò T’Pol, aggrappandosi al suo braccio, ma restando sempre nascosta dietro Reed.
«T’Pol, sta entrando in paranoia.» disse Archer.
«La prego, tenente Reed! Ho bisogno che mi aiuti a proteggere la mia bambina!»
Malcolm sentiva T’Pol stringersi a lui sempre più forte, quasi come se avesse paura di precipitare a picco nello spazio vuoto. Non la riconosceva più.
«Capitano, vuole dirmi il suo codice di sicurezza?» chiese Reed. --Fidarsi è bene.-- pensò. --Non fidarsi è meglio.--
Avevano concordato, appena Archer e Hoshi erano tornati, un codice di sicurezza da fornire in caso di dubbio. Non ci sarebbero stati problemi a fornirlo da parte dell’interessato e difatti il capitano diede il codice corretto.
«E’ più tranquilla, ora, comandante? Possiamo andare....»
La frase di Archer fu interrotta da un urlo di T’Pol, che si aggrappò alle braccia di Reed stringendo così forte da fargli quasi male. Malcolm si girò per aiutarla a sorreggersi, quando sentì del liquido inzuppargli i pantaloni della divisa.
Archer a quel punto lasciò da parte il rispetto del terrore che la Vulcaniana sembrava provare verso di lui e le si avvicinò a grandi passi. «Ha rotto le acque, dobbiamo portarla subito in infermeria e richiamare Trip.»
«No!» urlò lei. «Non mi tocchi!»
Malcolm le fece passare un braccio intorno alle spalle. «Si può fidare di lui, è il nostro Archer.» le disse.
T’Pol strinse tra le dita la manica di lui. «Non mi lasci sola con lui.» sussurrò.
Reed si rivolse ad Archer: «Vada a chiamare Trip, ce la faccio da solo a portarla da Phlox.»
Mentre si avviavano verso l’infermiera, T’Pol sussurrò: «Mi dispiace per.... per averla bagnata.»
«Non se ne preoccupi.» rispose Reed. «Vedrà che Trip tornerà presto.» Entrarono in infermeria e Malcolm fu preso da un profondo terrore quando non vide Phlox nei paraggi. «Si stenda qui.» disse Reed.
«Stendermi?!» esclamò lei. «Io devo partorire, non dormire!»
«Allora.... dove.... dove deve mettersi?» Sì, d’accordo, probabilmente era cambiato qualcosa da quei film che lui aveva visto e da cui derivavano le uniche sue informazioni sui parti.
«C’è.... una specie di poltrona là dietro. Phlox l’ha fatta portare qui apposta.»
Malcolm la condusse dentro un vano e tirò la tenda. «Vado a cercare Phlox.»
«NO! USI L’INTERFONO!» urlò T’Pol.
Lui premette il pulsante. «Reed a dottor Phlox. Venga subito in infermeria, è urgente.» Lanciò un’occhiata a T’Pol. «Urgentissimo.» Attese qualche istante. «Phlox?!» Sentiva che il panico di quella situazione cresceva. --D’accordo, calmati.-- si disse. --Le donne partoriscono tutti i giorni. Anche nello spazio. Non è niente che T’Pol non sia in grado di affrontare da sola.... Già, ma ci sono qui io, non gli altri!--
Ripremette il tasto. «Reed a Phlox, venga....» La sua frase fu interrotta da Phlox che entrava di corsa dalle porte, con un sandwich a non-si-capiva-cosa in mano. «Non mi sono fermato per risponderle!» esclamò Phlox. «Archer mi ha già detto!» Lanciò il panino su un ripiano. «Presto, si metta un camice sterile.»
«IO?!» urlò Malcolm. «Non posso star qui mentre.....»
«Tenente Reed, la prego!» esclamò T’Pol.
Mentre s’infilava un leggero camice bianco, Malcolm pensò che se Trip non fosse arrivato in breve, si sarebbe sparato con un phaser per stordirsi e uscire di forza da quella situazione. Un conto era T’Pol semiparalizzata, un altro era T’Pol partoriente.
«Qua.... quanto manca?» balbettò.
Phlox si tirò in piedi. «Potrebbe nascere a minuti oppure tra un giorno, in base ai dati dei parti vulcaniani e umani. Il problema è che questo è entrambi!» Si girò e prese un hypospray. «Nel frattempo possiamo utilizzare un’iniezione epidurale per....»
«No.» lo fermò T’Pol. «Non possiamo sapere cosa farà bene o male a mia figlia. Quindi niente anestetici, niente medicinali, niente di niente!»
«Ma questo non influirà sulla bambina.» spiegò Phlox. «Entrerà solo nella sua colonna vertebrale e....»
T’Pol si sporse in avanti e prese il medico per il collo del camice: «Forse non mi sono spiegata, ominide crestoso: non voglio un cazzo!»
Reed lanciò un’occhiata a Phlox: da quando T’Pol usava certi termini?
Phlox le sorrise e le coprì la mano che teneva il suo camice con le proprie. «D’accordo. Tanto è lei a soffrire.»
T’Pol chiuse gli occhi e si buttò indietro sulla poltrona. «Perdonatemi....» Sentiva che le contrazioni stavano lentamente cessando, almeno per qualche istante.
«Stia tranquilla.» Phlox le batté leggermente sulla sua mano.
«Dottor Phlox? E’ un parto prematuro, vero?»
Il medico scrollò leggermente le spalle, mentre controllava un tricorder. «Poco più di due settimane di anticipo non è un vero prematuro. La bimba è perfettamente formata. E’ pronta per uscire.»
«Ma questo.... arrivo prematuro.... potrebbe essere dovuto a.... a un pasto con....» Si interruppe. «....carne?»
«Lei ha mangiato della carne?»
T’Pol annuì. «Non so cosa fosse, a dir la verità.... era pasta, con sugo....»
«Pancetta e rosmarino.» suggerì Malcolm. «C’era oggi in mensa, Trip ne ha preso un piatto per sé.»
«Un buonissimo piatto.» replicò il medico. «Non credo che possa aver influito.»
«Stanno riprendendo le contrazioni....» sussurrò T’Pol. «Dov’è Trip? Abbiamo fatto le prove assieme, doveva essere qui!»
«Ci sono!» esclamò la voce solare di Tucker, arrivando in infermeria proprio in quel momento. S’infilò velocemente un camice e si sedette dietro a T’Pol, facendola appoggiare al suo petto. Le diede un bacio sulla tempia. «Come va?»
«Ora meglio.» disse lei.
«Ok, allora io posso andare.» disse Malcolm, ma la Vulcaniana lo prese di scatto per la manica - di nuovo. «No, rimanga qui, per favore.»
«Va.... va be.... bene....» balbettò.
T’Pol gli strinse leggermente la mano. «Potrebbe farle da padrino....»
«Perché io?»
«Perché.... è l’unico che non l’ha chiesto.... Ed è l’unico che è stato annaffiato di liquido amniotico....»
Malcolm si mise dietro la poltrona, in modo da esserci ma senza star troppo vicino. Se avesse potuto, in realtà, sarebbe scappato. Ma come poteva tirarsi indietro ora? In realtà quel che successe dopo fu parecchio caotico e Malcolm se ne ricordava a mala pena. Trip stringeva le mani a T’Pol, dicendole che stava andando benissimo. Lei faceva ciò che Phlox le diceva, seguendo alla lettera ogni indicazione, mentre il medico continuava a dire che andava tutto alla perfezione.
Quando il Denobulano alzò una neonata insanguinata di verde, con ancora il cordone ombelicale e due bellissime orecchie a punta, Reed stramazzò a terra.
Dopo averla controllata e lavata, Phlox avvolse la piccola in una salvietta bianca e la porse ai genitori. «Eccovi la fanciulla. Ora scusate, ma c’è un paziente per terra che mi attende.»
T’Pol scostò leggermente il panno.
«Orecchie a punta.» sussurrò Trip, accarezzando una manina piccolissima. «Le adoro.... guarda quant’è bella....»
Lei si lasciò andare indietro contro di lui. «E’ bella, sì.... è bellissima....» Le posò un bacio sulla fronte. «Ciao Elizabeth T’Mir.» T’Pol sorrise.
«Stai sorridendo.» sussurrò Trip.
«Come si fa a non sorridere a una bambina così?»
Trip si girò leggermente quando sentì il rumore di passi. «Come sta Malcolm?»
«Un po’ stordito, ma sta bene.»
«Sì, sono in piedi.» disse lui, restando dietro la tenda.
«Tenente, entri un attimo.» lo chiamò T’Pol.
«Sì, entra, adesso non fa più impressione.» scherzò Trip.
Malcolm camminò lentamente, per essere sicuro che tutto fosse a posto. T’Pol gli porse la bambina.
«Oh, no.... no, grazie, davvero, io non so.... non so tenere i neonati, io....»
«E dai, Malcolm, se farai da padrino dovrai prima o poi tenerla in braccio.» lo incitò Trip.
Lui lasciò andare un leggero sospiro rassegnato e prese la bimba tra le mani, cercando di tenerla in modo corretto. Si sentiva imbranato come ben poche volte. Rise leggermente, imbarazzato. «Quant’è leggera.»
«Ti presento Elizabeth T’Mir Tucker IV.» gli disse Trip. «E’ bella, vero?»
«E’ stupenda.» ripose Reed, preoccupandosi di renderla ai genitori al più presto. Poi lanciò uno sguardo nello spazio tra le tende. «Ehm.... c’è.... il capitano, qui fuori.»
T’Pol annuì.
Archer entrò lentamente nel vano e sorrise ai due neogenitori. «E’ stupenda.» disse. «Ha le orecchie a punta.»
Trip rise. «Non le ha prese da me.»
T’Pol alzò un sopracciglio, ma poi si rivolse ad Archer. «Non ricordo di preciso cosa le ho detto, ma non devo essere stata molto gentile.»
«Non si preoccupi.» Il capitano le sorrise. «Non finirà sul suo stato di servizio.»
La Vulcaniana poté constatare che sarebbe stato abbastanza facile distinguere tra i due Archer. Il modo di fare del suo capitano, le parole, il sorriso, gli atteggiamenti, erano tutti molto più dolci. «L’ha presa in braccio il tenente Reed, prima. La vuole tenere anche lei?» Aveva letto che era uso tra gli umani, prendere in braccio i figli degli amici e dei parenti per coccolarli. Era convinta che sull’Enterprise non sarebbero mancate persone che coccolassero la bambina.
Archer le sorrise. «Volentieri.» La raccolse tra le braccia, ben più sicuro di Reed. «Ciao piccolina.... Quanto sei carina!» sussurrò. «Se avete bisogno di babysitting.... io sono qui, e fuori da quella porta c’è una fila di ottanta persone.»

«Vado io.» sussurrò Trip, con voce assonnata.
«No, lascia tocca a me.» T’Pol si girò, ma Trip la bloccò con una mano sulla spalla. «No. È il mio turno.» disse.
«Hai detto così le ultime quattro volte.» T’Pol accese la luce soffusa sulla spalliera del letto.
«Non mi alzo nemmeno.» disse lui, mentre scivolava verso i piedi del letto. Alzò tra le braccia la figlia che piangeva come una dannata. «Pucci pucci pu!» esclamò lui.
«Pucci pucci pu?» chiese T’Pol.
«Sì, un oscuro dialetto terrestre.» replicò Trip, prendendola in giro. «Chiedi a Hoshi se vuoi migliori spiegazioni. Uhm....»
«Cosa c’è?»
«Devo cambiarla. Ha fatto circa cinque litri di pipì.»
«Vado io.»
«Nah, ormai sono in piedi.» Portò la bambina in bagno per cambiarla sul fasciatoio. «Ciao cuccioletta.» disse. «Ciao Elizabeth.» Tolse il pannolino: si stupiva sempre di quanta pipì fosse in grado di fare una neonata così piccola. Mentre la cambiava diceva: «Ciao Elisa. Ciao Beth. Ciao Betty. Ciao Lisa. Ciao Lizzy. Ciao Liz. Ciao Lisy.» Tornò in camera con la bambina tra le mani che teneva la testa appoggiata alla sua spalla.
T’Pol lo guardò provando un’incredibile tenerezza. In quei momenti era contenta di essersi fatta di trellium-D in passato. «Perché continui a salutarla in tutti quei modi?»
Trip si sedette sul letto, tenendo la piccola sul petto. «Il nome Elizabeth non le rimane appiccicato.» disse.
«In che senso?»
«Be’, non ha della “Elizabeth”.... tutto lì. Quindi ho provato con Elisa, Lisa, Beth, Betty, Liz, Lisy, Lizzy....»
«Lizzy è carino.» disse T’Pol.
Guardò la neonata, che in quel momento sembrava essere più sveglia di entrambi. «Lizzy?» La baciò sulla fronte. «Forse.» Le accarezzò leggermente le orecchie. «Ci ho pensato molto, T’Pol, e penso che sia meglio T’Mir.» Si sdraiò, tenendo la piccola sul petto.
«Dovresti metterla nella sua culla.»
«Il dottor Spock dice che si possono anche viziare, i bambini....»
«Il dottor Spock?» chiese lei.
«Un medico americano di un paio di secoli fa.»
«Ah, quel dottor Spock.» fece lei. «Sì, ho letto alcune delle sue teorie quando ero a San Francisco. Molte sono superate.»
«Be’, fa niente, è l’unica figlia che ho, fammela viziare.» Accarezzò la bimba sulla schiena, mentre la piccola, con un’espressione di piena soddisfazione, riprendeva a dormire tranquillamente sdraiata sul petto del padre.
T’Pol pensò che in realtà Trip aveva, in parte, un’altra figlia.... ma in effetti non aveva messo nulla di genetico e l’embrione era stato passato in un altro corpo. E soprattutto non voleva rinfacciarglielo - ancora.
Inoltre lui non aveva smesso di parlare. «E quando avremo un altro piccoletto, vizierò anche quello, perché sarà il mio unico secondo figlio. O figlia.»
«E se fossero due gemelli?» sparò T’Pol.
«Uh, vizierò anche quelli, essendo i miei unici gemelli.»
La Vulcaniana si girò sul fianco, appoggiando la fronte alla spalla di lui. «Sai che Spock è anche un nome vulcaniano?»
«Nome? Ma come si fa a chiamare un figlio Spock? E’ un nome orrendo. Bisogna voler male a un figlio per chiamarlo così....»

Trip si girò sulla schiena, quando sentì qualcuno intrufolarsi nel letto. T’Pol era appena uscita per iniziare il suo turno di lavoro.
«E’ la mia Lizzy Vizi?» chiese.
La bambina si accoccolò di fianco a lui, appoggiando la testa al suo petto. «Ciao papi.» disse.
«Ciao T’Mir.» La baciò sulla fronte. «Solo due minuti, poi dobbiamo alzarci.»
«Uffi, perché così presto?»
«Perché oggi Hoshi deve scendere con noi sulla superficie, quindi deve anticipare la tua lezione.» Le accarezzò i capelli, neri come quelli di sua nonna, corti come quelli di sua madre.... spettinati come quelli di suo padre la mattina presto.
A pochi mesi dalla nascita di T’Mir, erano stati in vacanza su Vulcano. Dato che T’Pol non si era fatta sentire che un paio di volte, da quando era tornata su Vulcano dopo la fine della missione contro gli Xindi, T’Les era completamente ignara dall’evoluzione della loro storia. Sulle prime era mostrata estremamente fredda con tutti e tre, poi, quando Trip le aveva riparato la metà degli elettrodomestici che aveva in casa, la Vulcaniana aveva iniziato a essere più gentile con lui.
Trip aveva poi scoperto che la neo-nonna aveva già avuto, di nascosto, svariate manifestazione di affetto (nei limiti vulcaniani) verso la nipote - fin dalle prime ore del loro soggiorno su Vulcano - e che quando T’Pol aveva sposato Koss solo per convenienza, lei aveva cercato di spingerla, addirittura, verso Trip stesso.
«Abbi cura di mia nipote.» gli aveva detto, con voce piatta vulcaniana, poco prima che loro tornassero sull’Enterprise.
Avevano avuto un benvenuto più caloroso dai genitori di Trip al ritorno sulla Terra, che non smettevano un minuto di declamare la bellezza della neonata e continuavano a chiamare amici, parenti e conoscenti per parlare di lei. Ma questo Trip se lo aspettava, mentre non immaginava il cambiamento nella madre di T’Pol.
«Posso andare ad aiutare Malcolm, oggi?»
«No.» replicò Trip.
«Dai, papi.... solo cinque minuti.»
«No.» replicò lui. «Hai rotto una pistola phaser rischiando di spararti. Quindi la risposta è no.»
«Prometto che non rompo più nulla!» esclamò lei.
«Sì, l’hai già promesso. Ma tua madre ti ha messo in punizione per dieci giorni e io sono d’accordo con lei. Lo sai bene che le armi sono pericolose.» La baciò sulla fronte. «Dai, mia Lizzy Vizi. E’ ora di alzarsi.»
«Va bene, papi!» La bimba saltò in piedi e corse in bagno.
Trip sospirò. Gli dispiaceva molto lasciarla in punizione, ma quella volta, doveva ammettere, T’Pol aveva pienamente ragione. Non capiva di preciso questa mania che aveva preso nel voler aiutare in continuazione Malcolm, ma avrebbe indagato più a fondo.

Trip porse alla figlia un sacchetto blu con delle incomprensibili - almeno per lui - scritte in giallo. La bambina aprì il sacchetto e tirò fuori un vestitino rosso a fiorellini bianchi. «E’ bellissimo!» esclamò lei.
«Traducimi cosa c’è scritto qui.» le chiese, prendendo il sacchetto. Come era possibile immaginare, T’Mir non era un genio delle lingue, ma aveva più propensione per le materie scientifiche. Nonostante ciò, la bravura di Hoshi le aveva permesso di imparare addirittura il dialetto Xindi rettile, che, al momento, sull’Enterprise parlavano solo loro due. Trip aveva la netta sensazione che lo usassero come codice segreto.
«Bazar.... di Triaxa, la.... mmhm.... seta migliore della Galassia.»
«Sei davvero brava.» disse lui. L’aiutò a infilarsi il vestitino. «E questo vestitino ti sta benissimo.»
«Piacerà anche a Malcolm?»
Trip alzò gli occhi al cielo. «Tu sai quanti anni ha Malcolm in più di te?» La prese in braccio e le pettinò i capelli lentamente, poi le scostò leggermente i ciuffi dalla fronte fermandoli con mollettine argentate decorate con margherite.
«Circa trenta, tra te e m’aih c’è una differenza maggiore.»
Tucker rise. T’Mir aveva la mente matematica della madre. Decisamente. La baciò sulla fronte. «Sei bellissima. Sono certo che gli piacerà. Ora però vuoi venire in sala macchine con me?»
Lavorarono per qualche minuto assieme ai motori, finché arrivò una chiamata da Archer: «Trip, siamo pronti?»
«Direi di sì.» rispose lui. Prese in braccio la figlia. «Dai, fallo tu.»
«Io? Ma papi, ho appena imparato a crimpare....»
«Forza, alza queste leve lentamente, e tieni lo sguardo sul monitor del flusso.»
T’Mir appoggiò le mani sulle leve, come aveva visto fare migliaia di volte dal padre. «Così?»
«Sì, stai andando benissimo.» Trip lo sapeva: T’Mir sarebbe diventata un’ingegnere, non una scienziata. Avrebbe vissuto tra i motori, non tra i dati. «Ok, continua così.»
Percepirono una leggera accelerazione e poi un distinto acclamare da tutto l’equipaggio.
«Curvatura 6!» esclamò Trip.
Dall’interfono arrivò la voce di Archer: «Complimenti Trip, siamo a curvatura 6!»
«Non fare i complimenti a me: è stata T’Mir a portarci a curvatura 6!»

T’Pol strinse a sé la figlia mentre correva per i corridoi della nave. Dietro di loro lasciavano una scia di gocce di sangue rosso. «Phlox!» esclamò entrando.
Il Denobulano arrivò di corsa, indicando a T’Pol di mettere T’Mir sul lettino.
«Fa male!» urlò T’Mir. «M’aih, mi fa male!»
Phlox passò il tricorder sul braccio sinistro della piccola, anche se, praticamente, si vedeva a occhio cosa aveva. «E’ una frattura esposta. Ma non ha altre lesioni interne.» Prese un hypospray e lo appoggiò alla gola della fanciulla. Non successe niente.
«Fa ancora male, Phlox!» esclamò lei.
«Provo a cambiare combinazione.» Corse via, mentre T’Pol teneva stretta a sé la figlia. «Vedrai che adesso Phlox troverà qualcosa che ti fa passare il male.»
«Eccomi!» esclamò il medico. Premette un altro hypospray sulla sua gola, ma anche questa volta T’Mir non si addormentò. «Caspita, che nervi cocciuti!»
--Cocciuti come suo padre.-- pensò T’Pol. --E come sua madre.--
Trip entrò di corsa. «Che cosa è successo?» Prese tra le sue la mano destra di T’Mir.
«Stava giocando in palestra.... è caduta sul braccio.»
«Piccolina mia.» Trip le diede un bacio sulla fronte.
Il medico arrivò con altri due hypospray diversi, nessuno dei quali ebbe il minimo effetto.
«Phlox non riesce ad anestetizzarla.» spiegò T’Pol.
T’Mir continuava a piangere e lamentarsi, mentre la madre le tamponava la ferita.
«Prova la stretta vulcaniana.» sussurrò Trip. «Sentirà un po’ male, ma almeno perderà i sensi.»
T’Pol non ne era convinta, ma fece come lui proponeva. Sentì che la spalla della bambina s’irrigidiva e lei che urlava ancora di più. «Non funziona.» Iniziò a massaggiarla. Possibile che questa bambina fosse così particolare?
«Torno subito!» disse Trip, uscendo di corsa dalla sala.
«Devo metterle il braccio in trazione e riposizionarle l’osso all’interno.» concluse Phlox. «Sta ancora perdendo sangue.»
«Aspetti solo un minuto che Trip torni.» chiese T’Pol.
«Che cosa ha in mente?»
«Non ne sono sicura....» sussurrò, mentre iniziava a premere i nodi neurali ai lati della spina dorsale della figlia. «Rilassati, T’Mir, vedrai che la neuropressione ti aiuterà.»
«Fa così male....»
Trip rientrò con una pistola phaser in mano.
«Cos’ha intenzione di fare?!» esclamò Phlox.
«Usare questa come un hypospray.» rispose Tucker. Mise una mano sulla guancia della figlia. «Proviamo?»
T’Mir annuì.
Lui prese la mira, puntando alla spalla sinistra. Le sue mani tremavano leggermente. Non riusciva a decidersi. Doveva davvero stordirla così? Non c’era altro modo per anestetizzarla?
Che cosa avevano fatto?
Avevano messo al mondo una tale bellezza destinata ad aver problemi per tutta la vita?
Forse la madre di T’Pol aveva ragione.
Che vita potevano darle?
Ricontrollò di nuovo che la pistola fosse settata sullo stordimento, quindi sparò.
T’Mir urlò di nuovo, aggrappandosi con forza alla madre. Senza svenire.
«Merda!» urlò Trip, buttando la pistola sul primo piano che gli capitò a tiro. Prese tra le braccia T’Mir. «Scusa, amore, scusami....» sussurrò, baciandola.
«Che sistema orribile!» Stava intanto borbottando Phlox. «Non aspetterò un minuto di più, prima rimetterò a posto il braccio e prima smetterà di soffrire.»
«Ma mi fai troppo male, Phlox!» urlava T’Mir, cercando di ritrarre il braccio.
«Per forza, adesso abbiamo anche un’ustione da phaser da curare!»
Trip prese il braccio della piccola. «Dai, T’Mir, ti prometto che appena sarà tutto finito faremo qualcosa di bello assieme.»
«Tutti e tre?» chiese lei.
T’Pol annuì. «Tutti e tre.»

Trip aprì la porta, tenendo lo sguardo sul letto.
«Come sta?» chiese Archer, sulla soglia.
«Meglio, è riuscita ad addormentarsi.»
«Phlox ha proposto una deviazione per Regula, in modo da sottoporre il caso ad alcuni suoi amici medici dello scambio interspecie. Ci stiamo dirigendo là.»
Trip annuì. «Grazie. Finora era bastata la neuropressione....»
«Ho già detto a T’Pol di prendersi la giornata libera, domani. Se vuoi anche tu....»
«No, io starò con lei oggi. Avremo bisogno in breve di un permesso assieme, l’ho promesso a T’Mir. Non avrei dovuto spararle. La pelle ora le brucia.»
Jonathan gli batté una mano sulla spalla. «Hai pensato che poteva essere una soluzione.»
La ragazzina si girò nel letto e aprì gli occhi. «Ciao Jonathan.» disse.
«Come ti senti?»
«Fa male.» Indicò il braccio ingessato. «Sei libero, adesso?»
Lui annuì. «Perché?»
«Papà non esce di qui da ore, so che ha fame perché il suo stomaco brontola....»
Tucker alzò gli occhi al cielo.
«Però non vuole lasciarmi qui sola. E io volevo sentire una di quelle storie che loro non mi vogliono raccontare.»
Archer rise.
«Non è che non vogliamo raccontartele....» si difese Trip. «E’ che....»
«Raccontare di quando hai salvato l’intera nave in mutande è imbarazzante?» suggerì Archer.
T’Mir rise. «Questa non la so!»
«Odio quando vi alleate voi due.» concluse Trip. «Ci vediamo dopo.»
Archer andò a sedersi su un cuscino a terra, di fianco al letto. «Dormi spesso nel letto dei tuoi?» le chiese.
«Sì. Anche se m’aih non vuole. Dice che così cresco viziata.»
Lui sorrise. Cosa normale, pensò. L’unica bambina su una nave di più di ottanta adulti....
«Raccontami di Trip in mutande, Jonathan....»

«E’ bellissimo, non credi?» Trip era seduto davanti a un grande oblò laterale della nave. La figlia, ormai quattordicenne, con la testa appoggiata alla sua spalla, gli teneva un braccio tra le mani.
«Sì, molto bello.» rispose T’Pol.
«Assomiglia un po’ alla Terra, non credi?»
«Non ci sono forme di vita superiori.» obiettò lei.
«Sì, vabe’, ma la terra ferma è verde e il mare turchese.»
«Quando potremo sbarcare?» chiese T’Mir.
T’Pol aveva scovato quel pianeta che poteva essere raggiunto con una piccola deviazione sul corso. Nessuno aveva opposto obiezioni, anche se stavano, dopo tanti anni, tornando stabilmente sulla Terra. I viaggi stellari d’esplorazione sarebbero continuati, ma con nuove navi, nuovo equipaggio.... o magari qualcuno dei “vecchi lupi di spazio”, ma non quella grande famiglia che aveva cresciuto T’Mir.
«Dobbiamo fare un altro giro, poi ci fermeremo in orbita geostazionaria e potremo scendere.»
Da quando T’Mir si era rotta il braccio avevano fatto molte gite in tre. Quella era la prima volta che avrebbero fatto una gita in quattro. T’Pol aveva scoperto da poco di essere di nuovo incinta. C’erano molti anni di differenza tra T’Mir e la bambina che sarebbe nata sette mesi dopo, ma lei diceva che tra Vulcaniani era frequente. Non le avevano ancora trovato un nome.
«Pronti a scendere?» chiese la voce di Archer, pochi minuti dopo.
«Subito!» esclamò T’Mir, saltando in piedi. Sarebbero scese quattro navette, una tutta per loro, dato che avevano ottenuto la licenza per fare un pic-nic in riva al mare.
Trip raccolse il cesto del pranzo e prese per mano T’Mir. Si sentiva bene. Troppo bene, perché durasse.

Archer guardò sullo schermo lo spazio nero puntinato di detriti illuminati appena dalla stella di quel pianeta così simile alla Terra. «Non è possibile.» sussurrò. Strinse il campo di visione. Tre delle quattro navette inviate quella mattina erano rientrate senza problemi.
La quarta non rispondeva alle chiamate.
«Provi ancora.» disse a Hoshi.
Lei scosse la testa. «Niente, non rispondono.»
Jonathan aumentò ancora lo zoom.
«Capitano.» disse Travis.
«Sì, l’ho visto.»
C’era una scritta sul detrito che fluttuava sullo schermo: “Shuttlepod One”.
«Cerchi segni di vita.» disse all’ufficiale scientifico.
«Nessuno, signore.» rispose lui.
«Cerchi ancora.»
«Capitano.» lo chiamò Reed, entrando. «Abbiamo.... ritrovato Trip e T’Pol.»
«Dove sono ora?» chiese lui, correndo verso il turboascensore. «Come stanno?»
Reed scosse leggermente la testa.
Archer si appoggiò alla parete. Non era possibile. Avevano attraversato missioni pericolose, erano stati in luoghi pieni di insidie. Come potevano essere morti così, in quel modo assurdo, durante un viaggio di piacere?
«T’Mir?»
«Nessuna traccia. Come se fosse svanita.»

«Penso che oggi sia il mio compleanno.»
Il giovane andoriano, sulla cui pelle spiccavano particolari creste, smise di giocherellare con un PADD e la guardò. «Come fai a saperlo?»
«Sono per metà vulcaniana, riesco a tenere il conto del tempo abbastanza bene.»
Afhel si alzò e prese da un armadietto della birra andoriana, ne versò due bicchieri e gliene porse uno. «Allora brindiamo. Quanti anni compi?»
«Venti.» disse T’Mir. Fece tintinnare il bicchiere con quello dell’amico e quindi lo svuotò in un solo sorso come lui.
«Cosa ti piacerebbe come regalo di compleanno?»
«Vorrei tornare sull’Enterprise.»
Afhel le mise una mano sulla spalla. «Posso capirti.»
T’Mir si tirò indietro i lunghi capelli neri, scostandoseli dal viso. «Non ti piacerebbe tornare dai tuoi simili?»
«Andoriani o Denobulani?»
T’Mir rise e gli porse il bicchiere. «Versamene ancora. Tu cosa ti senti di più?»
«Andoriano, credo.» replicò lui. Si alzò e andò a frugare in un armadietto. «Comunque.... cercavo un’occasione per regalartelo e l’ho trovata.» Le porse un oggetto avvolto in un panno marrone.
«Cos’è?» chiese lei.
«Aprilo. E’ ovviamente una cosa che ho rubato ai capi.»
Lei svolse la stoffa e tirò fuori un piccolo saldatore laser. Rise. «Grazie Afhel.» Lo abbracciò. «E’ un pensiero davvero carino.»
«Scusa se magari ti aspettavi qualcosa di più romantico.»
Lei scosse leggermente la testa. «Non mi aspettavo nulla, in realtà. E’ stato gentile da parte tua.» Girò il saldatore tra le dita e, con una mano sola, lo infilò su per la manica. In realtà non sapeva di preciso per cosa l’avrebbe usato.
Afhel le mise un braccio intorno alle spalle. «Pensi mai a come sarebbe stata la tua vita, se non ti avessero portato qui?»
Lei sospirò e lasciò andare contro l’amico. «Sarei andata all’accademia della Flotta Astrale di San Francisco e dopo il diploma sarei andata a chiedere di essere assegnata alla nave di Malcolm Reed.»
«Ti manca?»
T’Mir rise leggermente. «“Mi manca” è un eufemismo. Mi mancano tanto lui, i miei genitori, il mio capitano, la mia insegnante di lingue....»
Afhel non ricordava i suoi genitori. Era stato rapito da piccolo ed era sempre stato rinchiuso in quella Base. T’Mir si riteneva più fortunata di lui, almeno aveva potuto godersi per quattordici anni i suoi genitori e tutta libertà che l’Enterprise concedeva.
«Mi manca tanto mio padre.» sussurrò. Si ricordava di quando gli riportava regali dalla superficie, o quando la faceva giocare sul lettone. «Mi sembra di non avergli dimostrato abbastanza affetto quando eravamo assieme....»
«Credi che sia ancora vivo?» chiese Afhel.
T’Mir scosse la testa. «Non so, non credo. Forse mia madre sì, lei stava per avere un’altra bambina.... chissà, se c’è ancora, dov’è mia sorella....»
Afhel le diede un bacio sui capelli. Da quando era arrivata lì, i suoi carcerieri non avevano fatto altro che tentare di farle avere un figlio con un’altra razza. Afhel era stato il primo candidato perché anche lui era un ibrido. Se avessero avuto un figlio, sarebbe stato Umano, Vulcaniano, Andoriano, Denobulano allo stesso tempo.
Doveva sopportare il pon farr dodici volte l’anno, dodici accoppiamenti che doveva fare anche se non voleva e durante i quali il suo corpo sopraffaceva la sua mente vulcaniana-umana e la spingeva ad accoppiarsi con qualunque maschio le capitasse sotto tiro.
Non era una cosa naturale. Le avevano impiantato nel braccio un attivatore. Sorrise amaramente: per lo meno le avevano inciso il braccio dove aveva già la cicatrice precedente.
Aprì gli occhi di scatto. «Lo senti?»
«Cosa?» chiese Afhel.
«Il ronzio.»
Afhel tese le antenne. «Sì.... sento.... c’è qualcosa....»
«E’ una nave.» T’Mir si alzò in piedi. «Andiamo a vedere.» Corsero giù per i corridoi, arrivando a un condotto di aerazione. Archer le aveva raccontato che una volta lui e Trip si erano ritrovati intrappolati in un condotto da cui erano riusciti a scappare appena in tempo prima di essere inceneriti da plasma incendiato.
T’Mir e Afhel si arrampicarono su per il muro, usando gli appigli di controllo, fino ad arrivare alla grata che lo chiudeva. Afhel si posizionò dietro lei, sorreggendola e permettendole di avanzare ulteriormente: lei aveva un udito migliore ed era più leggera.
La ragazza restò ad ascoltare per qualche istante.
«Cosa dicono?» sussurrò Afhel.
«Aspetta.» T’Mir sentì il cuore accelerare di colpo. «Soval....» sussurrò.
«Che?»
«Soval.» Girò il volto verso Afhel. «Soval. Lo conosco, è un ammiraglio vulcaniano, era amico di mia madre!»
«E cosa ci fa qui?»
«Sembra che sia in missione per conto della... Flotta Astrale. Cazzo, me l’hai regalato giusto in tempo.» Sfilò il saldatore laser dalla manica.
«Cosa vuoi fare?» chiese lui.
«Segare i sostegni e uscire.» Accese il saldatore e iniziò a passare il raggio lentamente ai lati della grata.
«Tu sei pazza, se ci scoprono ci ammazzano. Lo sai cosa succede a chi tenta di scappare.»
«Afhel! Quello è stato l’insegnante e il mentore di mia madre! Era poi diventato anche amico di mio padre e di Jonathan. Non possiamo lasciarci sfuggire quest’occasione, potremmo non farcela più a scappare.»
Il mezzo Andoriano ebbe la tentazione di trascinare T’Mir giù per il condotto.
Aveva ragione, ma per lui che era sempre vissuto lì, che vita ci sarebbe potuta essere fuori? --Chissene frega.-- pensò. --Qualsiasi vita fuori sarà migliore di quella qui dentro.--
«Merda!» esclamò T’Mir. «Sta per andarsene!» Aumentò la potenza del saldatore. Aveva quasi finito, doveva solo tagliare l’ultimo supporto. «Dai, ancora un minuto, Soval....» Aveva le mani sudate. Il saldatore gli scivolò di mano e il raggio laser andò a prendere di traverso il suo polso, cadendo poi nel condotto.
T’Mir sentì il dolore bianco e intenso spandersi per il suo corpo. Si morse la lingua per non urlare.
«Stai bene?»
«No, ma non fa niente.» rispose. «Aiutami a spingere la griglia, ormai dovrebbe saltare!» Il polso le bruciava come se fosse fuoco vivo. Spinsero assieme la griglia, che si mosse di poco. «Dobbiamo fare più in fretta, Soval sta per ripartire. Al via diamo una botta forte assieme, ok?»
Afhel annuì.
«Uno, due, tre, via!»
La griglia si alzò in avanti, quasi di botto e T’Mir scivolò con le mani avanti, andando a sbattere proprio sul polso destro. Questa volta non poté fare a meno di urlare dal dolore.
Soval si girò nella sua direzione. «Ma che succede?» chiese al Vulcaniano con cui stava parlando.
Afhel spinse T’Mir fuori e poi la seguì, aiutandola a mettersi in piedi.
«Che diavolo....?» sussurrò il Vulcaniano.
«SOVAL!» urlò T’Mir. «Soval, ci aiuti!»
L’ammiraglio scosse leggermente la testa. «Ma chi sono?»
L’altro scrollò le spalle. «Lavoranti della colonia.»
Soval si avvicinò a loro.
«Dove va, ammiraglio?»
«Soval!» T’Mir, seguita subita da Afhel, corse verso di lui. «Soval, sono T’Mir!» Arrivò da lui e si aggrappò alla sua divisa. «Ci aiuti, per favore!»
«Ma cosa sta succedendo qui?»
«Io e Afhel siamo schiavi qui sotto! Ci usano per fare esperimenti genetici.»
L’altro Vulcaniano alzò un sopracciglio. «Non è assolutamente vero.»
«Vogliamo andarcene di qui.» disse Afhel.
«Come le dicevo, ammiraglio, su questa base studiamo il comportamento delle varie specie una volta che sono a stretto contatto....»
«’Sti cazzi!» urlò T’Mir. «Ci state usando per creare super-ibridi!»
Soval alzò un sopracciglio. La ragazza aveva una pronuncia e un modo di parlare familiari. Si girò verso il Vulcaniano. «E’ abbastanza evidente che questi due ragazzi non vogliano restare qui.»
«Ma i loro genitori li hanno affidati a noi, non è possibile ora....»
«Ho vent’anni e Afhel ne ha almeno ventiquattro.» disse lei. «Soval, ma possibile che non mi riconosci? Sono Elizabeth T’Mir Tucker IV!»
Soval la fissò. «La figlia del comandante T’Pol? Ma.... sei anni fa ti avevano dato per morta!»
«No, sono sempre stata qui! Portami via, ti prego!»
Il Vulcaniano annuì. Anche perché, pensò, aveva poche scelte. Se non l’avesse portata con sé, T’Mir probabilmente gli avrebbe strappato a unghie la divisa, per quanto gli si era appiccicata addosso. Si rivolse all’altro Vulcaniano. «Credo che la Flotta Astrale abbia fatto bene a chiederci di venire a controllare. Qui trafficate in schiavi, quindi?»
Il vulcaniano non rispose. Sapeva, ormai, che qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe peggiorato la situazione. Si chiese come avessero fatto quei due ragazzini a scappare in quel modo.
«E tu? Sembreresti metà Andoriano e metà Denobulano. Vuoi andartene anche tu?»
Afhel annuì. «Sì. Al più presto.»
«Non potete portare via questi due ragazzi così.»
T’Mir, che non aveva ancora mollato la presa dalla divisa, esclamò: «Ci tengono prigionieri! Ci fanno accoppiare con altre razze! Contro la nostra volontà!»
Soval aprì il comunicatore. «Tenente Scott, siamo pronti a risalire. Siamo in tre. Ci porti su.»
«Porti su?» chiese Afhel.
«Teletrasporto.» replicò Soval. «Stia tranquillo. E’ del tutto....» Finì la frase una volta che furono riapparsi nella sala della nave di Soval. «....sicuro.»
Afhel si guardò intorno. «Oh cavolo. Sono davvero uscito da quel posto!»
Si sentì subito una voce dall’interfono. «Ammiraglio. Stanno puntando le armi contro di noi.»
«Partiamo a curvatura otto.» disse. «Contatterò subito l’Alto Comando e la Flotta Astrale.»
T’Mir solo allora lasciò andare la presa. Stentava a crederci. Era stato più facile di quanto sperava. Si girò verso Soval. «Grazie.» gli disse, abbracciandolo.
Soval alzò un sopracciglio. «Va bene, va bene. Ora siete al sicuro.»

«Avanti.» Afhel alzò lo sguardo su T’Mir, che aveva il polso destro fasciato. «Ciao. Come va il tuo polso?»
La ragazza si sedette accanto a lui. «Bene, il dolore è ormai passato. Mi dispiace di aver perso il tuo regalo. Certo che non potevi scegliere un momento migliore per darmelo.»
Risero assieme.
«Come ti senti?»
Afhel scrollò le spalle. «Bene.... ma non so cosa faremo ora....»
«Soval sta tornando sulla Terra. Tu dove vuoi andare?»
«Non lo so. Non so nemmeno chi sono i miei parenti.»
«Il medico di bordo sta facendo una ricerca genetica per vedere se ha qualcosa di tuo nel database.»
«E tu, resterai sulla Terra?»
T’Mir abbassò lo sguardo. «Be’.... Soval mi ha detto che quando sono stata rapita i miei genitori sono stati entrambi assassinati.» Tirò su col naso. «E come se non bastasse, mentre mi cercavano, Malcolm è stato ferito a morte. Phlox, Travis e Hoshi sono chissà dove in missione su altre navi. Mi rimane solo Jonathan Archer da andare a trovare....» Rise amaramente. «Credo che me lo farò bastare come motivo per tornare sulla Terra.»
Afhel le mise un braccio intorno alle spalle. «Se trovo qualche parente.... potresti venire a stare con me.»
Quant’era dolce quel ragazzo....
«Grazie, ma voglio tornare sulla Terra.»
L’interfono trillò. Il medico, dallo spiccato accento vulcaniano, parlò: «Afhel, buone notizie.»
Corsero in infermeria: i suoi genitori erano ancora vivi!
«E cosa ci fanno su Triaxa?» chiese lui.
T’Mir chiuse gli occhi. Non era riuscita a scendere su Triaxa, quella volta. Suo padre le aveva portato un vestitino di seta rossa, con cui aveva sfilato più di una volta davanti a un ignaro Malcolm Reed, che le aveva sorriso come avrebbe fatto con la propria figlia.
«Sono entrambi scienziati.» spiegò il medico. «Stanno conducendo degli studi.»
«Vuoi che ti portiamo lì?»
Afhel guardò T’Mir, che gli diede il “pollice in su”. Lui annuì. «Credo che sia la cosa giusta da fare.»

«T’Mir?»
....
«T’Mir?»
....
«Sono Soval. Sei qui?»
....
«T’Mir, apri.»
La ragazza sospirò. Si alzò in piedi e andò ad aprire. «Ciao.» disse. «Che c’è?»
Soval la guardò alzando un sopracciglio. «Cos’è successo ai tuoi capelli?»
«Li ho tagliati.» Erano almeno quaranta centimetri più corti.
«Se avevi bisogno di tagliarteli nello stile vulcaniano potevi chiedere....»
«No.» lo interruppe lei. «Li preferisco così.» Erano corti, sì, ma decisamente più spettinati. «Sei venuto per dirmi qualcosa?»
«Stiamo per arrivare sulla Terra. Pensavo che avresti voluto vederla. Sei certa che non vuoi che contattiamo i tuoi nonni o tuo zio?»
Lei scosse leggermente la testa. «No, non voglio. Andrò a trovarli di persona, ma credo che prima andrò da Archer.»
«Ti manca Afhel, vero?»
Lei annuì. Era stupita che Soval se ne fosse accorto. «Abbiamo passato assieme gli ultimi sei anni.» Gli sorrise leggermente. «Ci vedremo ancora, se riuscirò a viaggiare.»
«A tal proposito....» Soval le passò un sacco. «Credo che potrebbe farti piacere indossarla, quando andrai a trovare Archer. In fondo sei per metà Umana.»
T’Mir alzò un sopracciglio e aprì il sacco. Rise. Era un’uniforme della nave di Soval. «Grazie.» disse. «Ho già i gradi di tenente su questa nave?»
«Reputo che tu te li sia meritati. Sei già una brava ingegnere. Devi solo studiare ancora un po’.»

«Ammiraglio Jonathan Archer?» T’Mir si infilò nella folla di persone che avevano assistito al suo discorso.
«Sono io.» disse lui, senza tralasciare una vena di ironia. C’erano molte persone che gli passavano accanto e interrompevano quella conversazione appena iniziata.
«Bellissimo discorso.» disse lei. Attese qualche istante, poi gli sorrise. «Non mi riconosci?»
Lui la fissò. «Scusi.» disse, mentre un collega si fermava per chiedergli qualcosa. Poco dopo tornò a guardare la ragazza. «Mi sfugge qualcosa?»
Lei sorrise. «Sì. Sono Elizabeth T’Mir Tucker IV. Ora ti ricordi di me?»
L’espressione tranquilla e rilassata svanì di colpo dal volto di Archer. «T’Mir?»
Lei annuì.
«La.... la figlia di T’Pol e Trip?»
«Sì, proprio io.»
Archer le sorrise. «Io....» Scosse leggermente la testa. «E’.... Come.... oh caspita.... è incredibile.... Vieni, andiamo a parlare nel mio ufficio, staremo più tranquilli.»
Sul percorso non parlarono tra di loro, ma molte persone cercarono di fermare Archer. Lui era sempre cordiale con tutti, ma fece in modo di congedarli in fretta. Le fece cenno di entrare, quindi chiuse la porta a chiave. «Sei davvero la.... piccola T’Mir?»
«Sì, vuoi la prova del DNA?!» lei rise.
Archer scosse la testa e l’abbracciò, stringendola a sé. «E’ incredibile.... sono passati.... quanti anni? Sette! T’Mir.... Io...»
Lei gli sorrise. «Mi sei mancato tanto....»
«Ma dov’eri? Dove sei stata in tutti questi anni? Sai.... sai quanto ti abbiamo cercata?»
«E’ una storia lunga.... mi hanno rapito perché sono un ibrido.... ero interessante, per loro.»
Archer sospirò. «Lo sai.... dei tuoi genitori?»
T’Mir annuì e andò verso un divanetto. «Posso sedermi?»
«Ma certo, vuoi qualcosa da bere?» Lui pensò di averne bisogno.
La ragazza scosse leggermente la testa. «Ho saputo anche di Malcolm.» Sospirò. «Non l’ho mai dimenticato.»
«Già.... ricordo che eri innamorata di lui.» Archer le si sedette accanto. «Ma chi lo sa, magari se la caverà.»
«Come? Soval mi ha detto che ha ricevuto una ferita mortale.»
«Sì, infatti è in sospensione vitale.»
T’Mir sorrise. «Be’, meglio dei miei, allora.»
«Hai già incontrato Soval, quindi?»
«E’ stato lui a salvarmi. E’ atterrato nella colonia dov’ero tenuta prigioniera. Io sono riuscita a liberarmi e lui mi ha portata via.»
«Ma guardati.... sei diventata tenente!» Archer allungò la mano per accarezzarle la guancia, poi la ritrasse. «Scusa, lo facevo spesso quando eri piccola.»
T’Mir rise. «Non mi dispiace, figurati.» Sentì un leggero tocco sulla gamba. Abbassò lo sguardo e vide un gatto che la stava annusando. «Ehi, ciao bello!» Allungò la mano per accarezzarlo. «Ma lui non è Athos. Ha le macchie diverse.»
«No, lui è.... è Trip.»
«Trip?»
«Sì, l’ho chiamato così.... Athos è morto poco dopo che siamo tornati sulla Terra.»
«Dove sono sepolti i miei?»
«In Florida.» rispose Archer. «Entrambi. Anche tua madre.»
T’Mir sospirò e rimase in silenzio per qualche istante. «Andrò a trovarli mentre vado in Italia.»
«In Italia? Perché vai in Italia?»
«Soval andrà a insegnare all’Accademia della Flotta Astrale di Milano. Mi ha chiesto di seguirlo e visto che ho già fatto addestramento sulla sua nave sarò avvantaggiata.»
«Potrei mettere una buona parola per te anche qui.»
T’Mir chiuse gli occhi. «Non credo.... non credo che ce la farei, Jon. Qui con te, ma senza Trip e T’Pol....»
Lui annuì. «Sì, posso immaginare.» Le mise una mano sulla spalla. «Non ho mai avuto la possibilità di dirti quanto mi dispiace.»
La ragazza lo abbracciò, tenendosi più stretta possibile. «Lo so.... lo so.» Appoggiò la fronte alla sua spalla, come quando era piccola e Archer le raccontava le loro avventure. «Tornerò a trovarti spesso, te lo giuro.... l’Italia è qui a due passi, a differenza di Triaxa!»
Jonathan rise, accarezzandole la schiena. «Chissà, magari un giorno avrai una nave tutta tua.»
«Mi basterebbe diventare capo ingegnere.»

«Tira su il muso.» ordinò T’Mir.
«Non darmi ordini, Vulcaniana!» esclamò lo Xindi rettile seduto accanto a lei.
«Se non tiri su il muso finiremo per schiantarci a terra.»
«La pianti di rompere le palle?»
«Be’, fai come vuoi, tanto stai guidando tu.» T’Mir si lasciò andare contro la poltrona. Il suo precedente compagno di volo all’Accademia si era diplomato e quindi le era stato assegnato un nuovo collega. Non le mancava molto a diplomarsi, dopo di che aveva già pensato che sarebbe partita al più presto. Era una spaziale, soffriva di mal di terra.
Il muso della navetta iniziò a puntare quasi in verticale verso il suolo.
T’Mir non disse nulla, semplicemente adottò lo sguardo di sufficienza vulcaniana che aveva imparato da sua madre.
Presero velocità in caduta, scattò un allarme che indicava che il motore di dritta era fuso. La navetta iniziò a vorticare su sé stessa, finché si schiantò col suolo. Dall’oblò frontale, ora, non potevano più vedere nulla.
«Che cosa cavolo hai fatto, Dofftzxp?!» L’istruttore aprì il portello della navetta di simulazione. «Vi siete schiantati a quattrocento chilometri all’ora!» Poi indicò T’Mir. «E mi spieghi perché tu hai smesso di dargli aiuto?»
«Ha sentito come mi parlava?» replicò lei.
«Sentite, è il quarto giorno che lavorate assieme e non state facendo alcun progresso. Adesso scambiatevi di posto. Sarà T’Mir a guidare e tu, Dofftzxp, vedi di darle una mano e non impedirle il lavoro. Vi avverto, non accetterò un’altra caduta libera.»
La ragazza gli lanciò uno sguardo duro, quindi si scambiarono i posti. L’istruttore chiuse il portello. T’Mir portò in alto la navetta simulata. «Ti avverto, Dofftzxp. Al momento nella Flotta ho un curricolo perfetto. Non ho intenzione di farmelo rovinare da te.»
Lo Xindi soffiò quello che sembrava un insulto e si sedette alla sua destra.
«/Anche tu non mi sei particolarmente simpatico./» disse T’Mir.
Dofftzxp la guardò stupito. «/Tu parli xindi rettile?!/»
T’Mir portò la navetta ancora più in alto, poi scese lentamente verso terra. «/Sono cresciuta sull’Enterprise./»
Il rettile lesse sullo schermo: «30° e 12 est, c’è un picco.»
«Ok, lo schivo.» La manovra fu perfetta.
«/L’Enterprise di Archer?/»
T’Mir annuì. «/E’ stata Hoshi Sato a insegnarmi lo xindi, era il nostro codice segreto./»
«/La prima interprete umano-xindi./» disse lui.
La ragazza appoggiò con grazia la navetta a terra.
L’istruttore aprì il portello. «Ottimo atterraggio, T’Mir.»
Lo Xindi la guardò male, ma non disse nulla.

T’Mir si tolse il maglione e si sedette al tavolino sul balcone.
«Senti così caldo?» le chiese Soval, seduto di fronte a lei.
«Sono in pieno pon farr.» Prese il piatto di melanzane che c’era in centro tavola. «Buon appetito.» disse con tono piatto, servendosene una porzione abbondante, poi passò il piatto a Soval.
«C’è qualcosa che non va?» le chiese.
«Sì. Certo. E dovresti saperlo bene.» T’Mir iniziò a inforcare nervosamente le melanzane.
«Qualcosa mi sfugge.» replicò lui.
«Mi sono diplomata all’Accademia un anno fa. Hai presente?»
Soval iniziò a mangiare tranquillamente. «Mi sembra che tu abbia voluto fare una festa per la quale ti ho dato un aiuto.»
T’Mir sbatté la forchetta sul tavolo. «Tu pensi che io sia un’Umana cretina che pensa solo ai vestiti e alle feste?»
Soval sospirò pesantemente. Lo faceva raramente, solo quando era proprio necessario. «Spiegati meglio, per favore.»
«Ho sentito del tuo progetto. Quello che c’entra la Guerra Fredda Temporale. Insomma, il progetto Verne.»
Soval proseguì a mangiare tranquillamente. «Da chi l’hai sentito?»
«Il tuo dipendente Tevel diventa molto loquace a letto, lo sai?»
Soval chiuse gli occhi. I precedenti pon farr di T’Mir non lo avevano preoccupato. Nei quattro anni in cui avevano vissuto a stretto contatto, semplicemente T’Mir svaniva per quattro notti ogni tre mesi e tornava tranquillamente come se nulla fosse successo. Qualche volta era nella stanza accanto, qualche altra in giro, ma Soval ci si era abituato e non se ne preoccupava.
Invece l’ultima attivazione era stata disastrosa.
Il primo giorno l’aveva aggredito a parole.
Il secondo fisicamente.
Avrebbe dovuto fare un discorsetto a Tevel, comunque.
«La missione è ancora in forse e di certo non se ne può parlare in giro.»
T’Mir prese una fetta di melanzana con le dita e la mangiò. «Forse Archer aveva ragione, avrei dovuto stare con lui a San Francisco.»
«Che differenza ci sarebbe stata? Hai passato là ogni momento libero.»
«^Ma va’ a cagare.^» T’Mir aveva imparato l’Italiano talmente bene - con le basi che Hoshi le aveva dato da piccola - che ormai anche quando parlava in inglese e vulcaniano aveva un’inflessione milanese. Si alzò e andò ad aprire il frigorifero.
Soval si chiese cosa stesse cercando, dato che la cena era stata servita per intero a tavola. Ma non le disse nulla.
T’Mir prese un contenitore piatto e tornò a tavola. Si mise a mangiare la bresaola direttamente dal contenitore usando le mani.
Lui pensò che lo stava facendo apposta per irritarlo, ma da buon vulcaniano ignorò la cosa.
«Sono cresciuta sull’Enterprise. Ho imparato a conoscere la Guerra Fredda Temporale.»
«Non sai di cosa stai parlando.»
T’Mir fece una risata amara. «So che hai contatti con Daniels. So che un agente segreto temporale xindi tornerà indietro nel tempo, in un altro universo, per bloccare la nascita di un Vulcaniano-Umano che dovrebbe aiutare a porre fine alla guerra tra Xindi e Umani di quell’universo.»
Soval alzò un sopracciglio: fino a quel momento era tutto corretto.
«E stranamente questo ibrido si dovrebbe chiamare Lorian.» Si batté il palmo sul petto. «Il nome vulcaniano che avrei avuto io se fossi stata un maschio. Stranamente il nome di mio nonno.»
Lui non rispose. Tevel avrebbe finito la sua carriera appena T’Mir avesse finito la sfuriata.
«Stai facendo una selezione per i piloti e nemmeno mi hai accennato la cosa!»
«Hai finito?» chiese Soval, calmo.
T’Mir sbuffò. «Sei uno stronzo.»
«Tevel non avrebbe dovuto parlarti di questa cosa.»
«Oh, no. No, non provarci nemmeno a scaricare le tue colpe su Tevel. Lo fai troppo spesso.»
«Non sto scaricando le mie presunte colpe su Tevel.» replicò lui. «La missione è ancora in fase di studio.»
«E perché non hai pensato di parlarmene?»
«Perché avrei dovuto?»
T’Mir rise e buttò il contenitore sul tavolo. «Forse perché stai mandando indietro nel tempo e in un altro universo un agente temporale per salvare i miei genitori.»
«Non sono i tuoi genitori.» replicò Soval. «Sono i genitori di Lorian Tucker.»
T’Mir si alzò di scatto da tavola. «^Vai a farti fottere.^» Raccolse velocemente il maglione e uscì di corsa.
Soval sospirò. Era molto difficile avere a che fare con una mezza Umana. Avere a che fare con una mezza Umana Tucker e mezza Vulcaniana in periodo di pon farr era praticamente impossibile.
T’Mir camminò a lungo per le vie dei sobborghi di Milano, vicino a dove sorgeva l’Accademia. S’infilò in un locale aperto e si sedette al bancone.
«Ehi T’Mir, butta male, stasera?»
«Sì, parecchio. Limoncello, per favore.» disse alla barista. L’Andoriana le sorrise e le porse un bicchiere pieno di liquido giallo. T’Mir lo trangugiò velocemente, sentendo il profumo dei limoni di Sicilia e l’alcool che le bruciava la gola. «Un altro per favore.»
«Sei sicura di reggere così tanto alcool?» le chiese la barista.
«Tu versa.» disse lei. Iniziò a bere più lentamente. «Spiegami perché ti sei sbattuta a fare tutti quegli anni luce di viaggio da Andoria a qui per fare la barista....»
«Mi piace questo posto e questo lavoro.» sorrise lei.
«Se ne bevi un terzo offro io.»
T’Mir si girò e vide un umanoide alto, dalle spalle larghe, con barba e baffi scuri. «Un signor Klingon.» disse lei. L’alcool iniziava già a farle effetto.
La sua fronte era liscia perché Phlox, anni prima, per salvare la vita ai Klingon, aveva creato un vaccino che aveva il “leggero” effetto collaterale di spianargli le creste frontali.
«Una signora vulcaniana.» replicò lui.
La ragazza gli sorrise. «Sono terrestre per metà.» Finì il limoncello. «Vai col terzo! Offre il signor.... Come ti chiami?»
Da lì in poi T’Mir non ricordava praticamente nulla.
Aveva vaghi ricordi di essere uscita dal bar dopo qualche altro bicchiere, con il Klingon, che le aveva detto di essere un interprete.
Un interprete klingon? Bah.
Si risvegliò all’alba. Sentiva dolori in tutto il corpo e l’erba zeppa di rugiada le aveva bagnato i vestiti che probabilmente lui le aveva reinfilato. Si mise a sedere cercando di capire se avesse qualcosa di rotto. Soppresse a stento un urlo quando sentì un dolore lancinante alla spalla sinistra. Quando ritrasse la mano notò che era sporca di sangue.
«^Fanculo....^» sussurrò.
Si tirò in piedi a fatica. Le strade erano deserte, all’alba. Camminò appoggiandosi ai muri fin sotto il suo palazzo, quindi entrò in casa cercando di non fare rumore. Non aveva voglia di vedere Soval. S’infilò velocemente sotto la doccia, cercando di distendere i muscoli doloranti.
--Almeno per tre mesi sono a posto.-- pensò.
Si guardò allo specchio. «^Porca merda!^» esclamò, quando vide un tatuaggio bluastro dietro la spalla sinistra. «Quel figlio di Klingon.... -Ek’wak puksu- per sempre guerriera.... Che stronzo.» Rise. Ma la spalla non le faceva male per il tatuaggio. Le sembrava quasi che fosse slogata.
«T’Mir?»
Alzò gli occhi al cielo quando sentì la voce di Soval dietro la porta.
«Cosa cazzo vuoi?»
«Possiamo parlare un minuto?»
«No.» replicò lei.
«Tra quanto potrò avere la tua attenzione?»
T’Mir iniziò a vestirsi, cercando di nascondere gli innumerevoli lividi. «Tra due, trecento anni....»
«Riguarda la Verne.»
T’Mir s’infilò una tuta velocemente e si pettinò, con le dita, in avanti i capelli bagnati, in modo che coprissero, almeno in parte, i lividi sul viso. Aprì la porta. «Vuoi parlarmi *ora* della Verne?»
«Che cosa ti è successo?» chiese Soval.
T’Mir uscì dalla camera, ignorando la domanda: tanto l’aveva fatto anche lui. Si infilò in cucina e premette il pulsante sul distributore di bevande. «Latte. Caldo. Con cacao, polline, zucchero, meritene.» Aspettò che la tazza si riempisse, quindi raccolse una scatola di biscotti e si sedette al tavolo. «Be’?»
Soval si mise di fronte a lei. L’aveva sempre stupito quel che la piccola T’Mir riusciva a mangiare per colazione.
«Non ti ho parlato della Verne perché penso che sarebbe doppiamente doloroso per te perdere di nuovo i tuoi genitori.»
T’Mir inzuppò nel latte un biscotto alla crema di riso. «Il pilota della Verne non deve salvarli?»
«Sì, ma poi deve assolutamente tornare in questo universo, ammesso che sopravviva. E questo è l’altro punto.»
«Una missione kamikaze?»
«Qualcosa del genere.»
«Perché?» T’Mir si alzò e prese delle fette di pane, del burro e un vasetto di marmellata dal frigo.
«Perché è improbabile che riuscirà a trattare con gli Xindi. Quindi dovrà far esplodere la nave.»
T’Mir si risedette al tavolo e iniziò a spalmare abbondante burro sul pane. Soval le aveva detto una volta che una colazione così abbondante le toglieva l’appetito per il pranzo. Per ripicca lei si era messa a mangiare anche i biscotti. «Esistono modi di fare esplodere la nave senza andarci di mezzo.»
«Non con gli Xindi e non utilizzando una bomba che non viene tracciata dai loro rilevatori. Dobbiamo usare una bomba Garth.»
«Cos’è?» chiese T’Mir.
«Una bomba V miniaturizzata.»
Lei sospirò. «Miniaturizzata? Dimmi, fino a che secolo nel futuro sono arrivati i tuoi scagnozzi?»
«Non ti interessa saperlo. Garth sarà un capitano della Flotta Astrale. Verrà esiliato su Elba II per problemi mentali. Là inventerà un esplosivo così potente che ne basterà un granello per far saltare in aria la massa equivalente di una persona. Per la nave xindi ne basterà un centimetro cubo, più, naturalmente, la parte di innesco. Tevel ha pensato di inserire anche una minigranata a stordimento, in modo che chiunque sia nel suo raggio di azione non senta dolore durante la denotazione.»
T’Mir finì di bere il latte. «Quindi lo scopo è salire sulla nave, innescare la bomba V e farsi saltare in aria.»
«Lo scopo sarebbe quello di tentare di negoziare con gli xindi.»
«Sono già partiti?!»
Soval annuì. «Sì, ma la loro tecnologia dei viaggi interuniversali e temporali non è avanzata come la nostra. Daniels ha calcolato con la sua controparte dell’altro universo che avremo ampio raggio d’azione, se partiamo entro una settimana.»
Già, il problema nasceva nel loro universo e quindi era loro compito sistemarlo.
«Quando ho riletto la tua scheda, questa notte....» Soval esitò un istante. «So che avevi ragione ieri, quando dicevi che saresti indicata.»
T’Mir alzò un sopracciglio.
«Conosci bene l’Enterprise, sei motivata a questa missione. Sai pilotare e sai anche parlare lo xindi rettile.» Fece una breve pausa. «E non ultimo, conosci il capitano di quella missione.»
«Lo conosco?»
«Dofftzxp. Avete fatto un corso di volo assieme all’Accademia.»
«^Quel figlio di puttana....^» sussurrò lei, in italiano. «Devo andare proprio io, allora.»
«T’Mir, potresti morire durante la missione. E il tuo coinvolgimento con i comandanti Tucker e T’Pol potrebbe essere d’intralcio.»
“Coinvolgimento”?
Essere loro figlia lui lo chiamava “coinvolgimento”?
«E inoltre la bomba V deve essere infilata sotto pelle, per passare inosservata ai rilevatori.»
T’Mir sospirò. Aveva sentito che altri ibridi erano nati, anche da genitori vulcaniani e umani, e non avevano il suo stesso problema con le anestesie. «Però....» Si alzò in piedi e corse a frugare tra i vestiti che aveva la sera prima. Un vago ricordo di qualcosa che le aveva detto il Klingon stava riaffiorando alla sua memoria.
«Vuoi sballare un po’?» E le aveva messo tra le labbra una pastiglia bianca. «Tienila per domani, questa.» le aveva detto infilandogliene una in tasca. A quel punto ricordava vagamente di non aver sentito più dolore. Era stordita, ebbra più che per l’alcool.
«Cos’è?» chiese Soval, raggiungendola.
T’Mir scosse la testa. «Non lo so, ma mi aveva tolto il dolore.»
Il Vulcaniano sospirò leggermente. «Andiamo a farla analizzare dalla dottoressa Luzzi.»
Scesero nel laboratorio medico dell’Accademia.
«Che cos’hai fatto?!» chiese il medico, quando vide T’Mir entrare.
«Ho bisogno di sapere cos’è questa.» disse lei, ignorando la domanda.
Luzzi prese la pastiglia dalla sua mano e la mise sotto un microscopio. «E’ ecstasy. Dove l’hai trovata?! E’ illegale da secoli.»
Soval scosse la testa. «E tu ne hai presa senza sapere nemmeno cosa fosse?»
«Ma sei pazza?!» esclamò il medico.
«E’ colpa sua.» disse T’Mir, elusivamente, indicando Soval. «Che cosa dell’ecstasy potrebbe essere un anestetico per me?»
La dottoressa si alzò dal microscopio e prese un tricorder. «Probabilmente la formula stessa. Quella che.... ti ha rovinato una buona manciata di neuroni. Non devi più prenderne.»
«Allora dovrete trovare un altro modo di infilarmi la bomba Garth.»
«Tu sei pazza!» Soval scosse la testa. «Non manderò al macello la figlia di T’Pol!»
T’Mir si rivolse al medico. «Quanto in profondità va infilata?»
«Basta sotto pelle.»
«Allora è semplice.» Alzò il braccio sinistro e indicò la cicatrice. «Questa me la sono fatta da piccola, rompendomi un braccio. Me l’hanno riaperta per infilarmi l’attivatore che mi provoca un sacco di problemi. Mentre me lo togli, m’infili quello.»
Luzzi sospirò e controllò il braccio. «L’attivatore è molto più in profondità, avvolto intorno a un nervo. E’ rischioso operare senza anestesia.»
«E non possiamo aspettare troppo per la guarigione di una cicatrice così profonda.» Scosse la testa. «No, T’Mir, dovrò scegliere un altro pilota.»
«^Ma allora sei proprio stronzo!^» esclamò lei. «Dottoressa, m’infili quel congegno sotto pelle e basta. All’attivatore penseremo poi.»
«Forse non hai capito.» replicò lei. «Questa missione non contempla nessun *poi*.»
«Forse sì o forse no.» disse T’Mir. «Se riesco a incontrare i miei genitori, con loro forse potrò avere il coraggio di farmelo togliere. Quando mi sono rotta il braccio, la neuropressione di T’Pol mi aveva aiutato molto col dolore. E una volta che ho il braccio aperto e non ancora cicatrizzato, sulla nave xindi posso sfilarmi da sola la bomba.»
I tre si guardarono in silenzio per qualche istante.
«Va bene.» disse alla fine Soval. «Facciamo questa pazzia.»

«Ricapitoliamo.» disse Soval, mentre andavano verso l’hangar di lancio. «Siamo davanti al punto di fenditura. Appena si aprirà dovrai infilare la Verne là dentro. Dovrai percorrere la rotta d’intercettazione con l’Enterprise a curvatura 7. Stai attenta agli Xindi. Quel posto, in quel periodo, è pieno di gente che ci odia.»
T’Mir annuì. «Non ricordo una cosa.»
A queste parole, Soval dovette sopprimere una leggera ondata di panico. «Cosa?»
«Questo piano me l’hai ripetuto ottomilacinquecentoquarantasette volte o ottomilacinquecentoquarantotto?»
«Non mi sembra il momento di scherzare.» disse lui. «Ti sto mandando a morire e la cosa non mi piace.»
«Vedrai che sopravvivrò.»
«Lo spero. In questo caso, appena Daniels mi darà l’ok, ti contatterò.»
Lei annuì.
«Ricordati la Prima Direttiva Temporale, sei in missione....»
A quel punto T’Mir prese la maniglia del portellone della Verne e lo chiuse di botto, quasi in faccia a Soval. Guardò fuori dall’oblò e gli fece un veloce “ciao” con la mano. Quindi si sedette al timone. «Ottomilacinquecentoquarantanove!» esclamò.

Per alcuni, brevi istanti avevano creduto che avrebbero viaggiato nella Distesa, almeno per qualche ora, senza incontrare particolari problemi.
Quei pochi istanti di pace avevano quasi il sapore del panico.
“Nessun problema?!
E ora, che facciamo?!”
L’atmosfera era tesa. Dov’era la fregatura?
Tutti si aspettavano che la momentanea pace sarebbe stata spezzata da un momento all’altro.
Non sentivano quella calma da mesi.
Era tutto troppo tranquillo.
Poi, finalmente, fu il tenente Malcolm Reed a sbloccare la situazione di tranquilla stasi. «Capitano! Una nave sta uscendo dalla curvatura. Proprio di fronte a noi.»
Un piccolo cilindro dorato apparve appena superò il lampo azzurrognolo che lo precedeva. La navetta stava procedendo in diagonale, inclinata sul lato rispetto alla traiettoria, che, a sua volta, era decisamente irregolare.
«Sta sparando.» proseguì Malcolm.
«Polarizzi le corazze.» Il capitano Archer si sporse leggermente in avanti sulla sua sedia, guardando la navetta sconosciuta sullo schermo, dalla quale partiva un raggio giallognolo perpendicolare alla rotta dell’Enterprise. «Ma a chi sta sparando?»
L’ufficiale tattico scosse la testa. «Non ci sono altre navi in vista.»
Un altro raggio partì dalla navetta, passando a un centinaio di chilometri sotto la carena dell’Enterprise.
Archer si girò verso il suo ufficiale scientifico. «T’Pol, riconosce la nave?»
La vulcaniana scosse leggermente la testa.
«Ci sparano addosso!» esclamò Reed.
Il raggio giallo, questa volta, sfiorò una gondola di curvatura.
«Non devono avere una buona mira.» notò Archer. Si rivolse a Hoshi. «Li chiami.»
«Stanno sparando a casaccio.» notò poi Reed, la sua voce bassa appena percepibile.
«Ci sono segni di vita, a bordo?» chiese Archer.
T’Pol controllò per qualche istante il suo visore. «Non riesco ad agganciarlo.» disse, poi qualche secondo dopo aggiunse. «Sì.... un segno di vita....» Alzò lo sguardo verso il capitano. «È umano.»
«Umano?» La voce di Jonathan era incredula. Come poteva esserci un umano là fuori?
«No, mi correggo.» replicò lei. «È.... vulcaniano.»
Archer sospirò. «Si capisce perché naviga in quel modo.» Probabilmente era dovuto alla quantità di Trellium-D sparso nella Distesa: il Vulcaniano a bordo era impazzito, come quelli della Seleya.
T’Pol controllò di nuovo i sensori. «Capitano, ho letture discordanti. Ora rivelo di nuovo un segno di vita umano.»
«Si decida, subcomandante.» le disse.
«Stanno rispondendo alla chiamata.» disse Hoshi.
«Sullo schermo.» disse il capitano. L’immagine della navetta dorata dispersa contro il cielo nero venne sostituita da quella del suo interno. In primo piano appariva una consolle di guida, dietro la quale si muoveva scompostamente una sedia vuota.
«Qui parla il Capitano Jonathan Archer della nave stellare Enterprise. Vi chiediamo di disattivare le armi e identificarvi.»
Una mano apparve sulla consolle. «Grazie al cielo!» si sentì.
Gli ufficiali sul ponte di comando della Enterprise rimasero a fissare la giovane donna si sollevava nel loro campo visivo. Aveva i capelli corti, poco più lunghi dello standard vulcaniano, ma pettinati in modo decisamente più disordinato, e dai ciuffi neri spiccavano inequivocabili due orecchie a punta. «Sono il capitano T’Mir della navetta Verne.» Gli sorrise. «Meno male che avete ricevuto il mio SOS!»
«Non abbiamo ricevuto nessun SOS.» replicò Jonathan. «E se non disattiva le armi, saremo costretti a contrattaccare!»
«Capitano Archer, purtroppo i sistemi di navigazione e armamento di questa nave sono andati a farsi friggere.» Controllò qualche istante i suoi strumenti. «Sto sparando?»
Archer lasciò andare un leggero sospiro e guardò Reed, che gli rispose: «Spara senza mirare, l’intensità non sembra pericolosa con le corazze polarizzate. Forse nemmeno senza.»
Il capitano si rivolse di nuovo alla donna sullo schermo, che stava lavorando freneticamente sulla consolle luminosa. «Sta sparando in giro a bassa intensità.»
La donna sospirò. «Merda!» esclamò ad un tratto, tirando un deciso pugno sulla consolle. «Ha smesso?»
Archer scosse la testa. «No.»
T’Mir diede un altro colpo alla consolle, quindi svanì di nuovo sotto di essa.
«Capitano.» chiamò T’Pol. «Il supporto vitale della navetta e il sistema di navigazione sono in grave avaria. Non ha più di un’ora di aria.»
«Capitano T’Mir. Mi ascolti.»
La donna riapparve nel campo visivo, esponendo appena la casacca gialla della divisa. «Sì?»
«Il suo supporto vitale è in avaria.»
«Mi chiedo cosa *non* sia in avaria!» fece lei, scostando col gomito un pezzo di cavo che era appena caduto sul timone.
«Vorrei abbordarla, ma non posso farlo in sicurezza se la sua nave continuerà a sparare a casaccio.»
T’Mir tornò a sedersi sulla sedia di comando. «Potete sparare al phaser della mia nave e farlo fuori?»
Malcolm annuì. «Sì, i suoi scudi sono in avaria.»
«Pure quelli!» esclamò T’Mir, riprendendo a digitare freneticamente sulla consolle luminosa.
«Si regga.» disse Archer. «Stiamo per sparare.»
Il raggio rosso partì preciso dall’Enterprise fino alla carena della navetta Verne.
T’Mir perse l’appiglio sulla sedia e cadde di nuovo fuori dal campo visivo.
«Capitano T’Mir?» chiamò Archer.
«Armi fuori uso, signore.» comunicò l’ufficiale tattico.
«Capitano, il nostro colpo ha ulteriormente leso il supporto vitale della Verne.» comunicò T’Pol. «Rimangono diciotto minuti di aria.»
Archer annuì. «Capitano T’Mir.» chiamò di nuovo. «Sta bene?»
«Forse sono riuscita a stabilizzare la traiettoria.» comunicò la vulcaniana, non ancora tornata nel campo visivo.
Malcolm annuì. «La Verne sta iniziando un corso più regolare.»
T’Mir riapparve alla consolle. Si era ferita sulla tempia: dal taglio scendeva sangue decisamente rosso. «Come vado?»
«Molto meglio....» disse Archer, lentamente, fissando il sangue. «Ha.... Ha meno di diciotto minuti di aria. Se riusciamo a posizionare la sua navetta sotto l’Enterprise la raccoglieremo.»
«Ci tento più che volentieri.» replicò lei. «Sempre che la Verne collabori....»
«Mi perdoni la domanda, ma per motivi di sicurezza è necessario saperlo. Dal suo nome e dalle.... orecchie, pensavamo che lei fosse vulcaniana.»
T’Mir alzò brevemente lo sguardo sullo schermo a quindici pollici dove appariva l’immagine di Archer. «Sì.»
«Ma il suo sangue è rosso.»
La donna si portò una mano alla tempia. «Caz....» sussurrò, poi riportò l’attenzione sulla consolle. «Sono vulcaniana solo per metà, capitano. Per l’altra metà sono terrestre.»
Archer si girò con un sogghigno bastardo verso T’Pol, che si limitò ad alzare un sopracciglio. «Non credevo che vulcaniani e umani si fossero già.... incrociati.»
T’Mir mantenne l’attenzione sui comandi, facendo scorrere la mano su una barra luminosa. «No, infatti è così.» Alzò lo sguardo e sorrise al capitano. Giusto: sorrideva troppo per avere sangue verde. «Le analisi quantiche sulla Verne vi confermeranno che io e il trabiccolo veniamo dal futuro....» Fece una breve pausa. «....di un altro universo.»
Jonathan non poté fare a meno di rabbrividire e sorridere allo stesso tempo. Un altro agente temporale, questa volta ancora più strampalato di Daniels. Ma questa cosa avrebbe fatto impazzire T’Pol.
«Un altro universo?»
T’Mir annuì e poi spostò lo sguardo sull’oblò frontale. «Mi piacerebbe continuare a discutere di queste amenità, capitano Archer. Possiamo farlo dopo l’attracco? Sono quasi sotto l’Enterprise.»
«D’accordo. Archer chiudo.» Fece segno a Malcolm di seguirlo e insieme scesero nell’hangar. La navetta dorata Verne era adagiata sul portello di apertura. Vista dal vivo si potevano constatare meglio gli ingenti danni. Era un miracolo che non ci fosse una breccia nello scafo. Reed guardò sul sensore che teneva nella mano sinistra, mentre nella destra teneva pronta la pistola phaser. «Perché non è ancora uscita?»
«Starà aspettando il mio ok.» Archer abbassò il sensore ed estrasse dalla tasca sulla manica il comunicatore. «Capitano T’Mir, può scendere.» disse.
«Ci sto tentando!» Si sentì la voce acuta della vulcaniana. «Ma ‘sta cavolo di porta s’è bloccata!»
«Linguaggio scurrile, per un capitano vulcaniano.» disse Malcolm.
«Vulcaniana solo per metà.» puntualizzò Jonathan. «E di un altro universo.» Nemmeno lui sapeva se le sue parole fossero ironiche.
Reed osservò da vicino al portello. «Sembra si sia fuso.»
«T’Mir, mi ascolti.» disse Archer. «Si allontani dalla porta, proveremo ad aprirla con un phaser.»
Malcolm sapeva che quello era un lavoro per lui. Mirò all’apertura e dopo meno di un minuto lo sportello cadde sul pavimento dell’Enterprise. Un attimo dopo il volto sorridente di T’Mir apparve sulla soglia. «Grazie, ragazzi.» disse, saltando fuori. «‘Sta navetta era diventata una trappola.»

T’Mir appoggiò il gomito alla mensola davanti alla finestrella della stanza di decontaminazione e il mento sulla mano.
Il sorriso tra le creste del dottor Phlox accolse la giovane. «Così è lei la umano-vulcaniana che viene dal futuro di un altro universo?»
Lei sorrise. «Paese piccolo la gente mormora....» disse. «Siete di mente molto aperta o semplicemente accettate il fatto finché non avete prove?»
Phlox le sorrise. «È pulita. Può uscire dalla decontaminazione, così potrò medicarle quella ferita sulla tempia....» Quando si trovò davanti la ragazza proseguì: «E quel taglio sulla mano.... ha altre ferite?»
«Sono stata sballottata un po’, ma non credo di aver nulla di rotto.» Si sedette sul lettino ergonomico nero. «Immagino che quello che troverà su di me rimarrà confidenziale. Rapporto medico-paziente.»
Phlox alzò lo sguardo dal tricorder medico che aveva in mano. «A meno che non sia un pericolo per l’equipaggio.»
La Vulcaniana sospirò. «Non lo sarà, ma potrei chiederle di informare solo il capitano Archer?»

«Ha già nostalgia della Verne?»
Sentendo la voce di Archer, T’Mir guardò fuori dal portello. «No, sto solo recuperando i miei vestiti.»
Archer indicò la navetta. «In questo stato credo che sia difficile che riuscirà a ripartire in breve.... soprattutto perché non abbiamo la possibilità di darle pezzi di ricambio utili, qui nella Distesa.»
La donna sospirò. «È messa malaccio, eh?»
Jonathan entrò nella navetta, guardando T’Mir che prelevava e osservava alcuni capi di abbigliamento da un armadietto ai piedi di quello che doveva essere il suo letto. «Sì, ma se incrociamo un pianeta dove recuperare qualche pezzo di ricambio, ho un paio di uomini che sanno fare miracoli.»
Lei sorrise. «Grazie.»
«Nel frattempo, sarà ospite sull’Enterprise.» Archer le sorrise. «Cosa ci fa nella Distesa?»
«Un volo sperimentale, tra due universi e due tempi diversi.»
Jonathan sentiva di dover essere scettico, ma quello che la giovane stava dicendo lo affascinava. «Spero che non abbia fretta di riprendere la missione.»
T’Mir scosse la testa. «Se potessi fare a meno di tornare a pilotare la Verne.... credo che lo farei.»
«Chi l’ha attaccata?»
«Xindi rettili.» rispose lei. «E devo anche aver beccato una valanga di anomalie. Ho fuso il motore a curvatura appena un attimo prima di incrociarvi.» Alzò un vestitino azzurro dalle dimensioni minime che, anche indossato dalla piccola vulcaniana-umana, doveva lasciar poco all’immaginazione. «Questo l’avevo comprato a Parigi, porca vacca....» Infilò la mano in un buco al centro della stoffa. «M’hanno bruciato un sacco di roba.»
Archer sorrise, immaginandosela in quel vestito. «Non mi dica che metteva quegli abiti nella sua Flotta Astrale del futuro.»
T’Mir rise. «Sì, ma solo per fare arrabbiare Soval.»
«L’ambasciatore Soval?»
«Ammiraglio.» rispose lei. «Nel mio universo è un ammiraglio. Mi ha affidato questa missione e non credo che sarà molto felice quando vedrà come ho conciato la Verne....» Sorrise. «Evvai, questa è intera!» Alzò una T-shirt nera, su cui era stampata una scritta in bianco.
“Logic is my poetry:
2 b V - 2 b
This is a tautology.”
Archer la guardò con aria interrogativa.
«“To be or not to be.” Ero la prima del mio corso in Logica.»
Lui rise. «Non lo metto in dubbio.»
La voce di Phlox dall’interfono interruppe il loro dialogo. «Phlox a capitano Archer. Può venire in infermeria?»

Aveva avuto un piccolo alloggio centrale sul ponte E, senza vista sullo spazio, ma ben più confortevole della parte notte della Verne. Si era fatta una doccia e aveva indossato un’uniforme pulita miracolosamente scampata alle bruciature.
«Avanti.» disse, quando sentì il campanello.
Archer apparve sulla soglia, con in mano un PADD. «Ciao.» disse.
Lei si girò, un po’ stupita. «Ciao.»
«Posso entrare?»
«Certo, questa è la tua nave.»
Jonathan lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle. Alzò il PADD. «Phlox mi ha informato.»
T’Mir gli rivolse un sorriso insicuro.
«È un po’.... dura da digerire, nel senso.... farci l’abitudine.» Mosse il PADD, come se servisse a sostenere le informazioni sconcertanti che aveva appena ricevuto. «Certo è una.... buona prova di quello che dici di essere.»
Lei annuì. «Lo so. Ho solo detto la verità.»
Il capitano annuì. «Allora è più opportuno che ti dica.... bentornata.»
T’Mir sorrise e corse ad abbracciarlo. «Grazie.... mi sei mancato!» Tenne l’abbraccio a lungo. Poi si allontanò di un passo. «Posso fare un giro sul ponte di comando?»
Lui rise. «Volentieri. Pensavo che la tua prima meta sarebbe stata un’altra.» Le porse il braccio e lei lo prese. «Queste sono le uniformi del futuro del tuo universo?»
Lei annuì. «Ho salvato pochissimi vestiti.... quegli stronzi di Xindi me li hanno bruciati quasi tutti nell’attacco....»
«Non penso che fosse il loro intento primario.» Il turbo-ascensore si aprì, dando l’accesso al ponte di comando. «Immagino che sarà opportuno presentarti.» disse Archer. «Hai già conosciuto il nostro ufficiale tattico, il tenente Malcolm Reed.»
T’Mir gli sorrise.
«Al timone abbiamo Travis Mayweather.»
«Capitano T’Mir.» salutò Travis.
«Ah, solo T’Mir. Su questa nave sono un’ospite.»
«E il mio ufficiale scientifico, T’Pol.»
T’Mir le rivolse un sorriso quasi timido, alzando la mano nel saluto vulcaniano. T’Pol si limitò ad annuire. La giovane abbassò la mano e sospirò leggermente.
«In questo momento non abbiamo sul ponte Hoshi Sato, il nostro ufficiale alle comunicazioni, ha appena finito il turno ed è andata a pranzo.»
T’Mir spostò lo sguardo da T’Pol ad Archer. «Penso che.... la raggiungerò. Le razioni sulla Verne facevano ca.... erano pessime.»



La sala mensa era quasi vuota, ma tutte le persone presenti avevano l’uniforme blu dell’Enterprise. T’Mir si sentì a disagio, la sua uniforme gialla spiccava come il Sole in mezzo al cielo azzurro. Se i suoi vestiti non fossero andati bruciati, avrebbe almeno potuto mettersi in abiti civili, ma gli unici che si erano salvati non erano esattamente adatti al suo primo giro sull’Enterprise.
Aprì uno scomparto della mensa ed estrasse un piatto di pasta al sugo di pancetta e rosmarino, quindi andò diretta verso un tavolo in fondo alla mensa, vicino a un oblò. Quando Hoshi alzò lo sguardo e le sorrise, T’Mir le fece il saluto vulcaniano. «-Mene sakkhet ur-seveh.-» (Lunga vita e prosperità.)
La giovane le sorrise e ricambiò il saluto.
«-Se el-shi?-» (È libero questo posto?)
«-Ah. Sanosh, Hoshi Sato.-» (Sì. Piacere, Hoshi Sato.)
«-Sanosh. T’Mir.-» La vulcaniana si sedette vicino all’interprete. «Parli vulcaniano splendidamente, Hoshi.»
«-Shaya tonat.-» (Grazie) Hoshi guardò curiosamente la vulcaniana. «Non hai un’inflessione vulcaniana. Ma nemmeno americana.» Restò un istante a pensare e poi disse. «Si direbbe quasi.... italiana.»
«^Hai un orecchio incredibile, Hoshi.^» disse T’Mir, in italiano.
Lei sorrise. «Lo parli correntemente?»
«Quasi meglio del vulcaniano e dell’inglese. Ho passato gli ultimi quattro anni in Italia. Prendo molto facilmente le inflessioni del luogo.»
«Dove vivevi?»
«Stavo all’ambasciata vulcaniana, ho studiato all’Accademia della Flotta Astrale di Milano.»
Hoshi sorrise. «Sono stata a Milano, qualche anno fa.... a studiare Italiano. È una bella città.»
«È enorme!» esclamò T’Mir. «Ho faticato ad abituarmi al suo caos. Sono cresciuta sull’En.... su una nave grande come l’Enteprise. Ottantaquattro anime, contando anche il gatto del capitano.»
«Il nostro capitano invece ha un cane.»
T’Mir fissò Hoshi leggermente stupita, ma lei non sembrò farci caso. Indicò il piatto di T’Mir. «Pensavo che voi vulcaniani non mangiaste carne.»
T’Mir annuì. «Sì, ma io sono vulcaniana solo per metà.»
«È vero, quasi scordavo. Vieni dal futuro di un altro universo.»
La vulcaniana le sorrise: «Infinite diversità in infinite combinazioni.»

Uscita dalla doccia, frugò nel piccolo cumulo di vestiti che aveva salvato. Sarebbe dovuta tornare a Milano e a Parigi per ricomprare gli altri. Sempre che fosse riuscita a tornare a casa. Indossò una veste turchese, che aveva dei ricami dorati sul risvolto. Si sedette a terra, a gambe incrociate. Chiuse gli occhi e ispirò profondamente.
Era stata sua madre ad insegnarle la meditazione.
Riusciva, in quel modo, a riequilibrare i suoi due lati, quello vulcaniano e quello umano, che molto spesso, come quel giorno, tendeva a salire in superficie e, sgomitando furiosamente, prevaleva sull’altro. Dopo l’attacco, la fuga in curvatura coi motori che urlavano pietà e la corsa furiosa verso l’Enterprise, le emozioni forti che mettere piede su quella nave aveva scatenato in lei, aveva proprio bisogno di andare là, nel suo luogo preferito, in meditazione.
Una spiaggia. La sabbia era bianca, il mare turchese come la sua veste.
C’era anche una palma, dietro di lei.
Tutto tranquillo, tutto perfetto.
Aprì gli occhi lentamente. Si sentiva decisamente meglio. Si alzò in piedi e si stirò.
«È ora.» sussurrò. Uscì dal suo alloggio e camminò lentamente, con sicurezza, attraverso i corridoi in metallo grigio, illuminanti dai neon. Suonò a una porta ed entrò quando sentì il permesso.
«Disturbo?»
T’Pol alzò un sopracciglio, squadrando la ragazza da capo a piedi. «No.»
«-Possiamo.... Mi chiedevo se possiamo parlare per qualche minuto.-» disse T’Mir, in vulcaniano.
L’ufficiale scientifico rimase a fissare ancora per qualche istante la giovane. Non le piaceva. Le dava un senso di disagio, come quando era stata in presenza di Tolaris, e tra tutte le emozioni che aveva potuto sperimentare fino ad allora, quella non le era piaciuta minimamente. T’Pol sbatté le palpebre velocemente. «Mi è stato espressamente indicato di parlare inglese, durante questa missione. Apprezzerei che lei facesse lo stesso.»
T’Mir annuì. «Va bene.... posso?»
«Sarebbe meglio andare in sala mensa, dove ci sono sedie, qui non ho posto per farla sedere.»
«È una cosa che vorrei trattare in privato.» La sua voce era bassa, quasi timida. «Possiamo sederci a terra, come durante la meditazione.» T’Mir si abbassò a gambe incrociate e T’Pol si sedette, di mala voglia, davanti a lei.
«Pensi che io sia una V'tosh ka'tur, vero?» (vulcaniana illogica)
T’Pol alzò un sopracciglio. «Non credo che sia importante cosa io penso di te. Siamo sulla stessa nave, tu hai bisogno di riparazioni alla tua, possiamo convivere civilmente finché tu non potrai riprendere il tuo viaggio.»
«Ignorandoci?» T’Mir scosse la testa. «Non è un’idea che mi piace.»
«Non vedo ragione....»
«Lo so. Vorrei fartela vedere, ma non voglio nemmeno forzarti.»
«Venga al punto, *capitano*.» T’Pol calcò sulla qualifica dalla ragazza, come a voler rimarcare la distanza tra di loro.
«-Kash-nohv.-»
T’Pol s’irrigidì di colpo, ma cercò di non darlo a vedere. «Devo chiederle di andarsene.»
T’Mir sospirò. «Temevo che avresti avuto questa reazione. Mi dispiace davvero tanto. Io.... non è un caso che il mio nome sia T’Mir. Quello della prima vulcaniana sulla Terra.»
La donna si mosse a disagio. «Continuo a non vedere il punto.»
«Ho preso il nome da lei. È stato mio padre a darmelo.»
T’Pol scosse leggermente la testa. --Padre? T’Mir non ha discendenti maschi, anzi, a dir la verità io sono l’unica discendente di T’Mir....--
«Ma so che è difficile convincerti» proseguì la ragazza. «e quindi io preferirei che vedessi tu stessa.»
«Capitano, se insiste su questa linea sarò costretta a chiamare la sicurezza.»
T’Mir sorrise dolcemente. «Ti prego.... Ti sai difendere da sola. Ti chiedo solo di appoggiare le dita al mio volto per una fusione. Lo farai tu, potrai staccarti quando vuoi. Devo dirti una cosa, ma non ne sono in grado. Se lo vedi con i tuoi occhi tu....»
«Non ho la capacità di fondermi e non lo posso fare. Ho...»
«La sindrome di Pa’nar non è una vera malattia, lo scoprirete in breve.» rispose T’Mir. «E in ogni caso sono per metà terrestre, non posso essere infettata.»
T’Pol scosse la testa, sentiva la rabbia e la paura affiorare sotto la sua pelle. E quelle sensazioni non le piacevano. «E queste cose tu le sai perché vieni dal futuro di un altro universo?» C’era scetticismo nella sua voce.
«La fusione mentale non è un potere. È solo una disciplina.» T’Mir attese ancora qualche secondo, sotto lo sguardo fisso di T’Pol. Poi sciolse le gambe incrociate, piegando la sinistra sul pavimento per mettersi in piedi.
«No.» T’Pol la fermò. «D’accordo.»
T’Mir la guardò leggermente stupita. Era strano che avesse cambiato idea così, ma era meglio approfittare. «Sai come si fa. E sai che puoi interrompere quando vuoi.»
T’Pol annuì. Alzò lentamente la mano, era ancora incerta, indecisa. Poteva ancora dare una spinta alla V'tosh ka'tur e scappare verso il ponte di comando, riparandosi dietro Malcolm Reed. Ma ormai la sua mano era appoggiata al viso di T’Mir e sentiva la sua voce pronunciare la formula per la fusione mentale. E quell’idea di nascondersi dietro Reed era davvero priva di logica.
Quando riaprì gli occhi, era seduta alla mensa dell’Enterprise e stava leggendo dei dati su un PADD. Niente di strano, in fondo, tutto regolare, tranquillo. Si aspettava quasi di vedere entrare il comandante Tucker che avrebbe cercato in tutti i modi di farla sorridere.
«-Sono buone.-» Si girò sgranando gli occhi verso la voce. C’era una bambina, di non più di sei anni, dai capelli neri e gli occhi castani, seduta vicino a lei. Stava mangiando delle fragole. Aveva le orecchie a punta.
Sentì la propria voce. «-Sì, e fanno molto bene.-»
T’Pol riprese ad analizzare i dati sul PADD.
La bimba finì le fragole e accennò un leggero sorriso a T’Pol. Lei annuì. «-Vieni.-» Sollevò la bambina e la prese in braccio. La piccola le diede un bacio sulla guancia e si appoggiò alla sua spalla. «-M'aih, ti voglio bene.-» (Madre)
La vulcaniana socchiuse gli occhi, appoggiando delicatamente la guancia ai capelli della piccola. Poi sentì una voce da dietro, una voce che non fece in tempo a riconoscere. Sentì solo che diceva: «Ecco le mie donne!»
T’Pol si ritrasse di scatto, scostandosi da T’Mir, e cadde indietro a terra. Il suo respiro era affannoso.
«-M’aih!-» esclamò la ragazza, sporgendosi in avanti. «Stai bene?»
T’Pol alzò lo sguardo e riconobbe in quelli di T’Mir gli occhi della bambina della visione. «Pe-perché hai interrotto?»
«Non ho interrotto io, sei stata tu....»
T’Pol la fissò a lungo. «Che cos’era ciò che mi hai fatto vedere?»
La giovane l’aiutò ad alzarsi e le mise un braccio intorno alle spalle. «Il futuro di un altro universo.»
Lei scosse la testa. «No. Mi stai ingannando.»
T’Mir chiuse gli occhi. «No.... non lo farei mai. E non potrei nemmeno, non si può nella fusione mentale.» Le prese delicatamente il volto tra le mani. «Guardami e lo vedi da te.... Ho i tuoi occhi.... e soprattutto le tue orecchie.»
T’Pol la fissò. Era vero. «Tu....»
T’Mir le sorrise e l’abbracciò, baciandola sulla guancia. «M’aih, mi sei mancata così tanto....»
La vulcaniana rimase ferma per qualche secondo, poi appoggiò le mani sulle spalle della ragazza. «Io.... io ti ho sognata.»
«Lo so.» T’Mir non accennava a sciogliere l’abbraccio. «Me lo dicevi, che quando eri piccola e qualche volta giocavi, sognavi di avere una figlia....»
T’Pol scosse leggermente la testa. «Non solo.... io ti ho sognata.... due giorni fa.»
La ragazza si ritrasse leggermente. «Quando sono uscita dalla fenditura interuniversale.»
La nave si spostò di colpo sotto di loro. T’Pol strinse a sé T’Mir, abbracciandola forte come per volerla proteggere, finché l’Enterprise si stabilizzò.
«Ci stanno sparando?»
«No, non credo.» T’Pol si tirò in piedi. «Aspettami qui.» Uscì dalla stanza e corse sul ponte.
«Un’anomalia.» la informò Archer. «Ma per fortuna piccola. Controlli che non ce ne siano altre più grandi.»
T’Pol riprese subito la sua postazione, sostituendo l’ufficiale scientifico di turno. «Non se ne vedono.» Alzò lo sguardo dal sensore. «Stiamo uscendo dalla curvatura.»
Jonathan premette un pulsante sui comandi della poltrona. «Archer a sala macchine. Che succede laggiù?»
La voce veloce e quasi dialettale del comandante Tucker rispose: «L’anomalia ha deviato i cavi di calibrazione superiori. Ci vorrà un po’ per sistemarli, dobbiamo restare a impulso.»
«Ricevuto.» sospirò Archer.
«Capitano.» La voce di T’Mir arrivò inaspettata sul ponte.
T’Pol si girò verso di lei, lanciandole uno sguardo più che eloquente: “Ti avevo detto di restare nel mio alloggio!”
La ragazza ibrido la ignorò deliberatamente, proseguendo a parlare con Archer. «Ho una buona esperienza sui motori a curvatura. Col tuo.... aehm! Suo permesso, vorrei scendere in sala macchine a dare una mano.»
Archer si lasciò sfuggire un sorriso consapevole, che non passò inosservato a T’Pol. «Permesso accordato.»
La ragazza gli sorrise. «Grazie!» esclamò e corse via.
Mentre il capitano si girava nuovamente verso il timone, T’Pol lo fissava, pensando. Cercava di ricordare se la voce che aveva sentito alla fine della fusione mentale con T’Mir potesse essere quella di....
«T’Pol?»
La vulcaniana trasalì.
«T’Pol, sta bene?»
«Sì, capitano. Non ci sono altre anomalie in vista, per ora.»
Archer annuì, guardando interrogativamente il suo primo ufficiale. T’Pol riportò l’attenzione sui sensori, finché Archer non si voltò. Alzando gli occhi leggermente, guardò di nuovo il capitano.
T’Mir non aveva le sue mani. Assomigliavano, in piccolo, più a quelle di Archer e il modo in cui lei si era comportata con lui sul ponte.... Si scrollò l’idea di dosso: sì, T’Mir sarà anche stata il frutto della sua unione con un umano, ma nel futuro di un altro universo.

T’Mir si fermò appena fuori dalla porta della sala macchine e riprese fiato. Si passò una mano tra i capelli, cercando di pettinarli a qualche modo, poi si raddrizzò l’uniforme, controllando che non ci fossero pelucchi. Si mise ben dritta e aprì la porta. «Wow....» disse, entrando. «Adoro questo posto.»
Prese sicura la scaletta che portava sopra il motore a curvatura e guardò verso il fondo.
Il comandante Tucker era seduto con una gamba piegata in verticale e l’altra in orizzontale, un gomito appoggiato a terra, la mano sinistra in un groviglio di fili e nella destra teneva uno strumento per sistemarli.
«Comandate Tucker?» La sua voce prese un’inflessione quasi ubriaca e lei tacque subito.
Trip alzò lo sguardo e la fissò. «Che cosa ci fa qui?»
«Il capitano Archer mi ha chiesto di venirle a dare una mano.» --Che ballista!--- pensò tra sé. «Sono abbastanza brava coi motori.»
Trip la guardò non troppo convinto. «Abbiamo ottimi meccanici, qui, e lei è un’ospite. Sarebbe scortese farla lavorare.» Quella Vulcaniana doveva avere meno di trent’anni, ma lui non aveva mai saputo dare l’età ai Vulcaniani. Già, a proposito, quanti anni aveva T’Pol?
T’Mir sorrise. La gelosia di certi maschi verso la tecnologia l’aveva sempre meravigliata. Ad Archer non si poteva toccar la nave, a Tucker il motore. Soval “se la prendeva”, naturalmente da Vulcaniano, se lei gli tocchettava il comunicatore. Era anche vero che aveva rotto diversi comunicatori a Soval, mentre li “esplorava”.... Si sedette accanto a lui, aprendo un portello. «Molti cavi sono fusi. Per cambiarli tutti ci vorrà un bel po’, se uno non sa crimpare i cavi bene come lei.»
Trip si bloccò e appoggiò il crimper al piano, fissando l’ospite. «Non le conviene riparare la sua navetta?»
T’Mir tirò fuori i cavi dalla sede e iniziò a spostare sotto quelli che si erano salvati. «Non posso farlo perché il motore è completamente fuso. Ci vogliono pezzi di ricambio.» Poi tirò un cavo rovinato. «Mi metta alla prova. Questi cavi non hanno nulla da perdere.»
«D’accordo, come vuole.»
«Devo pur pagarmi il rancio.»
L’ingegnere rise. Pensava di essere l’unico a conoscere quell’espressione sull’Enterprise.
«Mi passi un cavo. Sono dietro di lei.»
T’Mir si girò e lanciò un’occhiata a diversi pezzi di filo di rame coperto da guaina nera. «Da dieci o tredici?»
«Tredici.»
La ragazza gli passò il cavo che aveva richiesto.
«Ha occhio.» sorrise Trip. Sì, forse avrebbe potuto sopportare che mettesse le mani nel suo motore, giusto per riparare i cavi di calibrazione superiori. Solo quello, non di più. Che tenesse le mani lontane dagli iniettori di curvatura....
T’Mir gli sorrise e recuperò un paio di forbici spesse, con i manici inguainati. «Sono cresciuta in un ambiente come questo.» disse, mentre iniziava a tagliare i cavi fusi. Raccolse un cavo. «Usate elettrosaldature o saldature al laser?»
«Laser.» Trip le passò un saldatore. «Immagino allora che non ci sia bisogno di avvertirla di tenere le mani lontane dal raggio.»
T’Mir sorrise e alzò appena la manica destra dell’uniforme, mostrandogli la linea diagonale di una cicatrice che attraversava il polso. Sembrava piuttosto vecchia, doveva essersela fatta svariati anni prima.
«Ahi. Dev’essere stato doloroso.»
«Ho visto le stelle e non ero vicina a un oblò.»
Il comandante rise. «Ha troppo senso dell’umorismo per essere una Vulcaniana. Deve essere vero che è per metà umana.»
T’Mir appoggiò il saldatore. «Paese piccolo....» disse.
«....la gente mormora.» completò Trip. Le passò un crimper. «Le spiace?»
«No, anzi, è la cosa che mi piace di più fare.»
«A che curvatura va la sua nave?» chiese lui, mentre riprendeva a saldare.
«Andava a curvatura sette.»
«Sette!» esclamò Tucker. «Mi lascia dare un’occhiata ai motori?»
«Si accomodi. Sempre che ci possa trovare ancora qualcosa di buono.» T’Mir pensò che se fosse tornata a casa, dopo aver mostrato la navetta a un umano, Soval l’avrebbe fatta a pezzi. Ma l’avrebbe fatto con tutta la flemma vulcaniana.
«Che tecnologie monta?»
T’Mir chiuse il crimper per attaccare la spina e ripose il cavo nello scomparto, collegandolo alla presa. «Be’.... aveva un motore a curvatura e uno a impulso.... aveva un cannone phaser, un bioscanner a distanza.... Aveva un supporto vitale a replicazione di aria e acqua.»
Trip la guardò: «Aveva?»
«Tutto andato a quel tal paese. Pare che l’unica cosa rimasta sia il sistema di comunicazioni.» Riprese a saldare.
«Come faceva per le razioni?»
«Tutte schifezze confezionate. La mia missione doveva durare solo sette o otto giorni.»
Tucker sorrise. «Il capitano mi ha detto che è un volo di prova. Forse vi conveniva tentarlo in un posto al di fuori della Distesa delfica. Ha subito attacchi dagli Xindi e ha beccato diverse anomalie.»
«Sì, ma le anomalie mi hanno solo sballottato un po’ qua e là. Le armi Xindi mi hanno fatto fuori quasi tutti i vestiti e ora posso girare solo con questa uniforme....» Le bruciava più di aver perso i vestiti che aver distrutto la Verne. Ma, in fondo, i vestiti erano suoi, la Verne di Soval. Be’, avrebbe messo la navetta assieme al cumulo di comunicatori rotti.
«Questa è l’uniforme del futuro?» chiese Tucker.
«Qualcosa del genere.»
Trip abbassò lo sguardo sul cumulo di cavi che T’Mir stava sistemando. Era andata molto veloce, non quanto lui, ma decisamente più degli altri ingegneri che c’erano a bordo. Restò a fissare le mani di T’Mir che saldavano e crimpavano i cavi. C’era qualcosa che non andava.
T’Mir si accorse che lui la stava fissando, si girò e gli sorrise. «Comandante? La sto distraendo?»
«No.... è solo che....»
«È per le orecchie a punta?»
Trip sgranò gli occhi, guardandola. «Come?»
«Le trova sexy, vero?»
Lui sobbalzò. «Eeeeh?!»
T’Mir rise. «No, sul serio, non sto facendo un buon lavoro?»
Trip abbassò di nuovo lo sguardo sulle mani della ragazza. «No, anzi. Solo che.... usa una tecnica ottima, che.... pensavo di aver inventato io.»
Sentirono dei passi sulla scaletta e poco dopo apparve T’Pol. «Comandante Tucker, il capitano mi ha mandato qui per....» Si fermò, fissando T’Mir e Trip seduti entrambi con una gamba piegata in verticale, l’altra a terra, con un gomito appoggiato e le mani che crimpavano sapientemente i cavi.
Tucker, al silenzio improvviso, alzò lo sguardo su di lei. «Subcomandante, sta bene? Mi sembra pallida....»
T’Mir la guardò. «-M’aih?-»
T’Pol spostò lo sguardo su T’Mir. Era il momento d’infrangere una regola e sfruttare una mancanza di Trip a suo favore. «-Es tu sa-mekh?-» chiese, in vulcaniano a T’Mir. Trip era negato per le lingue e a T’Pol, all’inizio della missione, era stato espressamente richiesto di parlare in inglese.
T’Mir lanciò un’occhiata a Tucker. «-Uf tu ken-tor?-»
«-Vesh’ svi’ kash-nohv pra'la?-»
«-Ah.-» rispose la giovane.
Trip le guardò interrogativamente. «Perché ho la netta sensazione che stiate parlando di me?»
T’Mir si girò verso di lui: «Perché *è* così.» Poi si rivolse nuovamente a T’Pol: «-Ra i’?-»
Tucker le guardò entrambe a bocca aperta. «Così sfacciatamente?!»
«-Ma ka el’ru.-» disse T’Pol. «-Var-tor?-»
«-Glazhau uf taran.-»
«Diglielo e basta.» concluse T’Pol, in inglese.
«-Olozhikaik!-» esclamò T’Mir, ridendo.
«Dirmi cosa?!» chiese Trip, che si sentiva leggermente esasperato: due Vulcaniane nel raggio di due metri!
T’Mir si girò verso di lui. «Sono una Vuhlkansu-komihn. Mezza vulcaniana, mezza umana.»
Lui scrollò le spalle. «Sì, questa voce è girata. Ma....?»
La ragazza si sporse avanti e lo abbracciò. Trip, d’istinto, si ritrasse leggermente, ma lei tenne la presa. «Ti voglio bene, papà.» gli sussurrò all’orecchio. Questa volta Tucker spinse più forte, staccando da sé la giovane e si alzò in piedi di scatto. «Eh?!» Inciampò nei suoi stessi passi e cadde indietro, scivolando giù dal motore a curvatura.
«Trip!» urlarono assieme T’Mir e T’Pol.




«Ecco fatto!» disse Phlox, ritraendo l’hypospray. «Va meglio?»
«Fa ancora male!» esclamò Trip.
«Su, su, non faccia scene. Come dite vuoi umani, “il sedere non porta pena!”.... non che abbia mai capito molto questo detto, dato che una botta è pur sempre una botta....» Si girò verso la porta, dalla quale T’Mir e T’Pol stavano entrando. «Oh, ecco le sue donne! Vi lascio soli.»
Trip alzò gli occhi al cielo. “Le sue donne”.... Phlox l’aveva saputo prima di lui.
T’Mir gli sorrise e si sedette sul lettino accanto a lui, non troppo vicina per lasciargli fiato. «Come va?»
«Sono....» Iniziò lui, ma si bloccò. Dopo una pausa, disse: «Non lo so.»
«Non lo sai?» T’Pol alzò un sopracciglio.
«Intendo la botta.» sottolineò T’Mir.
«Oh, per quella Phlox mi ha dato....» Indicò il suo collo. Scosse la testa e fissò la giovane. «Ma parli sul serio?»
T’Mir inclinò il capo, sorridendogli. «Phlox non ti ha fatto vedere le analisi del mio DNA?»
«Sì, ma....» Guardò T’Pol, che naturalmente non gli stava offrendo il minimo aiuto. No, avrebbe trovato più appoggio da parte di.... sua figlia. «Ho capito perché crimpavi i cavi come me!» esclamò, ridendo.
T’Mir gli risolve un sorrisone. «Tutto quello che so sui motori a curvatura me l’hai insegnato tu.»
«O meglio» intervenne T’Pol. «il comandante Tucker di un altro universo.»
Trip lanciò uno sguardo di traverso alla Vulcaniana, ma fu T’Mir a dare voce ai suoi pensieri: «Come togliere tutta la poesia.»
«Si tratta comunque, evidentemente, del futuro di un altro universo.»
«M’aih, dai, adesso son qui!» la bloccò T’Mir. «Siamo comunque geneticamente legati.»
Trip poté giurare di aver visto l’ombra di un mezzo sorriso sul volto di T’Pol. Stava per farci una battuta, ma dalla porta dell’infermeria entrò Archer.
«Come va?» gli chiese.
«Bene, capitano. Mi rimetto subito al lavoro.»
«Aspetta.» Jonathan gli mise una mano sulla spalla, per fermarlo. «Phlox mi ha detto che hai avuto un giramento di testa.»
«Sì, ma....»
«Per colpa mia.» disse T’Mir, poi aggiunse sussurrando: «Lui ha un debole per le orecchie a punta....»
Tucker si girò di scatto verso di lei: «LA SMETTI?!»
T’Mir gli sorrise.
«Voglio che ti riposi.» Archer sottolineò: «È un ordine.»
Trip sospirò.
«Posso finire io il lavoro sui cavi, non manca molto.» propose T’Mir.
«Ti aiuterò io.» concluse T’Pol.
«Va bene, andate. Dobbiamo tornare a curvatura al più presto.» Quando le due vulcaniane uscirono dall’infermeria, Archer tornò a guardare il suo capo ingegnere. «T’Pol mi ha detto che stavate parlando e tu hai perso l’equilibrio.»
Tucker scrollò le spalle, annuendo. «Sì, è andata così.»
«Trip, tu non cadi dalla copertura di un motore a curvatura solo per quattro chiacchiere.» Gli batté una mano sulla spalla. «Resta in infermeria, ci penseranno le due Vulcaniane a finire il lavoro. T’Pol controllerà che T’Mir faccia tutto correttamente.»
Tucker alzò le spalle. «Non servirà.»
«No?»
«No, T’Mir....» Poteva dirlo? Ma certo. «....è un genio del cablaggio. Crimpa da dea.»
Archer rise, mentre usciva dall’infermeria. «Avrà avuto un buon maestro.» Fece qualche passo nel corridoio, quando percepì un’accelerazione: --Stiamo entrando in curvatura.-- pensò. «Un ottimo maestro.» si corresse.

«Avanti.» disse T’Pol quando sentì il campanello. Era seduta a terra, in pigiama, in posizione di meditazione.
Trip entrò lentamente, vestito in abiti civili. «Ti disturbo, stai meditando?»
«No. Ho finito.» Si alzò per spegnere le candele. «Come stai?»
«Phlox ha detto che sto bene. T’Mir mi ha chiesto di venire qui....»
«Sì, lo so. Mi ha appena chiamato ha detto che tarderà cinque minuti. Non trova una cosa.»
«Cosa?»
T’Pol scosse leggermente la testa. «Non lo so.» Gli indicò il letto. «Siediti.»
«Cosa ne pensi?»
«Riguardo?»
«T’Mir.»
T’Pol tardò a rispondere. «Non me ne sono fatta ancora un’idea.»
«Dal futuro di un altro universo.» Trip rise. «È da impazzire.»
«Ci sono varie ipotesi che suggeriscono che il nostro universo non sia l’unico, ma solo una parte di un più ampio multiverso.»
Lui scrollò le spalle. «Ma T’Mir non è una teoria.»
T’Pol si sedette accanto a lui. «Credo che quello che dice sia vero.»
Tucker la fissò per qualche istante. «Sul serio?»
«Sì. È una possibilità.»
«Potrebbe anche venire dal futuro di *questo* universo.»
T’Pol alzò un sopracciglio. «Non vedo perché mentirci su questo.»
«Forse per inquinare il meno possibile la linea temporale. Ricordi cosa dice il capitano riguardo i suoi incontri con Daniels.» Sospirò. «Ma.... della ragazza.... cosa ne pensi?»
Lei scrollò leggermente le spalle. «È evidente che non segue la disciplina vulcaniana.»
«È simpatica.» disse lui, sorridendo. «Un po’ fuori di testa e con una manualità grandiosa.» Guardò T’Pol. «A me piace.»
Il campanello suonò. «Avanti.» disse T’Pol, tagliando il discorso con Trip. Lui sogghignò: tipico.
«Scusate il ritardo.» disse T’Mir, entrando con un cesto. «Non trovavo la tovaglia a quadretti.» Si sedette terra e spiegò una tovaglia rossa. «Ho trovato solo questa.»
Trip scoppiò a ridere. «Un pic-nic sul pavimento dell’alloggio di T’Pol?!»
«Perché no?» sorrise la ragazza.
«Grande!» Già, perché no? Soprattutto se il loro scopo era quello di far impazzire T’Pol. Trip si sedette a terra, con la schiena contro il letto. Poi si girò verso T’Pol. «Non vieni?»
Lei si sedette, poco convinta, di fronte a T’Mir. «Un pic-nic?»
«Nel mio universo dovevamo farne uno, ma non abbiamo fatto in tempo. Vorrei recuperare almeno in parte. Purtroppo non sono riuscita a organizzare più di tanto.» Tirò fuori piatti e bicchieri, due bottiglie e un contenitore circolare. «Versi tu da bere, papi?»
Trip trasalì.
«Scusa.» disse T’Mir. «Io.... ci ero abituata, ma credo che ora sia meglio che ti chiami “Trip”, anche per evitare le domande degli altri.»
«Non è che mi dia fastidio.» Versò tè freddo per T’Pol e latte per sé e T’Mir, che gli porgeva il bicchiere. «Ma, sai.... trovarsi da un momento all’altro una figlia non è esattamente una cosa che si prova tutti i giorni. Soprattutto se ti si presenta a.... Quanti anni hai?»
«Ventisei. Nascerò tra due anni.»
Trip si girò verso T’Pol: «Ciò vuol dire che tu l’avrai.... a che età?»
T’Pol gli lanciò uno sguardo di sussiego.
«Perché hai questa fissazione con la sua età?» chiese T’Mir.
«In che senso “fissazione”?»
«Continui a cercare di scoprirlo.»
Trip scosse la testa. «Ma non è vero!»
T’Mir lo guardò ben sapendo che era il contrario. «Be’, ho portato una cosa che so che piace a tutti.» Aprì il contenitore circolare. «Torta di noci peacan.»
«Ah, sì, T’Mir, ti adoro.» Trip si sporse avanti e la baciò sulla tempia.
Lei sorrise. «Quanto mi siete mancati....»
«Ma che è successo?» chiese Trip.
«Be’....» La Prima Direttiva si stava replicando come un nastro nella sua mente, letta con la voce severa di Soval. «Io....»
«#T’Mir, non devi dire nulla della tua natura.#» La voce di Soval la stava avvertendo.
«Quando....»
«#T’Mir, sei lì per una missione.#»
«Cioè....»
«#T’Mir, ricordati che i voli interuniversali non servono per il bene di uno....#»
«Il....»
«#....Ma per il bene di molti!#»
--^Ma vaffanculo! Sta’ zitto, rompipalle!!!!^-- «Io sono nata e vissuta qui sull’Enterprise, atterrando qua e là sui pianeti che esploravamo, tu m’insegnavi a lavorare sui motori e T’Pol la disciplina vulcaniana. Quando avevo quattordici anni dovevamo scendere a festeggiare su un pianeta con un enorme mare blu, e terra verde.... assomigliava un po’ alla Terra, ma con molta più acqua. E.... la nostra navetta è scomparsa, con voi dentro. Io sono stata ritrovata da Soval sei anni fa. La navetta è stata ritrovata distrutta.»
Trip ebbe un brivido di terrore pensando che sua figlia fosse stata a così stretto contatto con Soval.
«Quindi, niente pic-nic.» T’Mir sospirò e sorrise. «Ma l’abbiamo recuperato.» Si alzò e velocemente sistemò tutto.
«Cosa dovevamo festeggiare?»
T’Mir spinse la tovaglia dentro il cesto. «Be’....» Alzò lo sguardo su T’Pol. «Stavate per darmi una sorellina.»
T’Pol si sentì torcere lo stomaco. Doveva essere stato un universo splendido fino a quel punto. «Dove sei stata da quando la navetta è andata distrutta a quando Soval ti ha ritrovato?» chiese T’Pol.
«Io sono una rarità, anche nel mio universo. La gente che ha abbattuto la nostra navetta mi ha rapita per avermi con loro.»
«Per far che?» chiese Trip.
T’Mir scrollò le spalle. «Perché sono unica.» Gli sorrise.
«Tu non sei qui per caso.» disse Trip.
«No. Soval aveva bisogno di un pilota per il test della Verne. Io ho potuto scegliere la destinazione. Volevo rivedervi.»
L’interfono tintinnò. «Archer a Tucker.»
Lui si alzò, leggermente di malavoglia, e premette il pulsante di comunicazione. «Qui Trip.»
«Ho bisogno di te in sala macchine.»
«Arrivo.»
Trip sorrise alle due donne e uscendo disse: «Ci vediamo dopo.»
T’Mir si scostò di lato, mettendosi come quando stava lavorando sopra il motore.
«Quella posizione l’hai imparata da tuo padre.» constatò T’Pol.
T’Mir rise. «Sì, lo so. Non ti andava che mi mettessi così.»
«Hai mal di schiena.» disse lei.
«Sì. Non sono mai riuscita a nasconderti niente.» Le sorrise. «Ma non è per la posizione scorretta. Sono le botte prese sulla Verne.»
«È stato pericoloso venire nella Distesa, avresti potuto scegliere un altro luogo. Un altro momento.»
T’Mir scrollò le spalle. «Son qui con voi due, sto bene.»
«Possiamo provare a chiedere al dottor Phlox se ha qualche rimedio per il tuo mal di schiena.»
La ragazza scosse la testa. «No, il Phlox del mio universo e un’altra decina di medici hanno già provato di tutto. Gli anestetici non hanno effetto su di me. Nemmeno quelli che si scopriranno tra trent’anni.» Tornò a sedere diritta. «Se vuoi che me ne torni nel mio alloggio puoi dirmelo.»
T’Pol scosse leggermente la testa. «No. Abbiamo mai provato la neuropressione vulcaniana?»
La ragazza sorrise. «Sì, certo. È l’unica cosa che funziona un po’.»
Lei annuì. «Allora è logico. Sdraiati, ti farà bene contro il mal di schiena.»
«Non sei stanca?»
«Non ti preoccupare. Con il commandante Tucker faccio tre sessioni alla settimana.»
T’Mir si sdraiò sul letto prona. «Lo so. Ho ringraziato Phlox più di una volta, per avervi spinto a farla.»
T’Pol premette delicatamente le dita ai lati della colonna vertebrale della figlia. «Perché?»
Lei rise leggermente. «Perché se non aveste fatto neuropressione, probabilmente io non sarei nata.»
La Vulcaniana spostò le mani più in alto. «Non capisco cosa intendi.»
«Ma sì che lo capisci. Solo che non vuoi ammetterlo.» Si girò leggermente. «Nemmeno con te stessa.»
T’Pol le mise le mani sulle spalle. «Devi rimanere dritta.»
T’Mir si rigirò, sorridendo. «Appunto.»

Quando il campanello suonò, T’Pol saltò in piedi e andò ad aprire. Trip le sorrise sulla soglia e lei si portò un dito davanti alle labbra.
«Che c’è?» sussurrò Trip.
T’Pol guardò verso il letto. «T’Mir sta dormendo.»
Lui guardò la figlia, addormentata, con le mani vicino al viso, dormiva come una neonata. «Non ha preso da me....» sussurrò. «E perché sta dormendo nel tuo letto?»
«Le ho fatto neuropressione, aveva mal di schiena. E si è addormentata lì.»
Tucker si girò verso di lei. «Abbiamo fatto un buon lavoro.» le sussurrò e il suo fiato le scostò leggermente i capelli dalle orecchie. T’Mir aveva ragione: le trovava sexy.
«In un altro universo.» rispose lei.
Trip le mise una mano sul fianco e si avvicinò a lei tanto da sfiorarla. «Perché allora non proviamo a farla anche qui?»
T’Pol si lasciò tentare per alcuni istanti. Certo, aveva voglia di ripetere l’esplorazione di qualche giorno prima.... Gli diede una spinta leggera sul petto, per allontanarlo. «Non davanti a nostra figlia.»
Questa volta lui non poté darle torto. «Allora lei ti piace.»
T’Pol lo fissò. «Certo, è mia figlia.»
Tucker rise sottovoce. «Logico.»
«Nooooooooo!»
T’Pol e Trip si girarono di scatto verso di T’Mir. La donna corse accanto a lei e la prese per le spalle. «T’Mir. Svegliati. È solo un sogno.»
La ragazza aprì gli occhi e si mise a sedere di colpo sul letto. «Dove sono?»
«Sull’Enterprise.» La vulcaniana si sedette accanto a lei.
«Loro dove sono?»
«Calma. Sei al sicuro.» T’Pol la strinse a sé, facendole appoggiare la testa alla sua spalla così come nella visione della loro fusione mentale.
«Loro chi?» chiese Trip.
T’Mir scosse la testa. «No.... niente....»
Lui abbracciò entrambe le donne. «Stai tremando.» sussurrò, baciando la figlia sui capelli.
«Possiamo restare così per un po’?»
«Certo.» sussurrò T’Pol.

«Archer a T’Pol.»
....
«Archer a T’Pol.»
....
«Subcomandante, risponda.»
....
«T’Pol?!»
....
T’Mir aprì gli occhi. Era stesa sul letto di T’Pol, leggermente girata sul fianco sinistro, con la fronte appoggiata alla spalla di lei, che dormiva contro la parete. Sentiva calore dietro di sé e immaginò che anche Trip si fosse addormentato sullo stesso letto, con lei in mezzo.
Mise una mano sulla spalla della vulcaniana. «-M’aih.-» disse. «Ehi.... T’Pol.»
La donna si svegliò di soprassalto. «Sì? Che c’è?»
«Jonathan ti sta chiamando.»
T’Pol si girò sul fianco per alzarsi e rimase ferma quando vide Trip che dormiva, come un bambino, sul lato esterno del letto.
«Mi tolgo?» chiese T’Mir.
«No.» Scosse la testa. «Non voglio svegliare.... tuo padre. Vi scavalco.» Si alzò lentamente, mise un piede sulla sponda del letto e....
«T’POL?!»
....scivolò, cadendo completamente sopra Tucker.
«T’Pol, non qui con la bambina!» esclamò Trip, svegliandosi di soprassalto. T’Pol si tirò in piedi di scatto e corse alla porta.
T’Mir tirò un pugno, non troppo forte, sulla spalla di Trip.
«Cosa ho fatto?!» esclamò lui.
«Non sono una bambina!»
Nel frattempo T’Pol aveva aperto la porta ad Archer, che l’aveva chiamata facendola scivolare e che ora la fissava stranamente. «Sta bene? Sono quasi cinque minuti che la chiamo.»
«Sì.... capitano....»
Archer notò un’inflessione di imbarazzo nella sua voce e non poté fare a meno di trarne una piccola soddisfazione personale.
«Mi scusi, dovevo essere addormentata profondamente.»
Sentendo parlare in sottofondo - e soprattutto avendo riconosciuta la voce maschile - Archer si sporse leggermente all’interno dell’alloggio. «Ho interrotto qualcosa?»
T’Mir si tirò su e appoggiandosi sopra Tucker, si sporse dal letto ed esclamò: «Sì, stavamo dormendo benissimo!»
«T’Mir!» Trip ebbe la tentazione di tapparle la bocca con una mano.
Archer guardò la ragazza e rise. «Spiacente, ma ho bisogno del mio ufficiale scientifico.»
T’Mir scrollò le spalle e si ritirò sul letto, appoggiando la fronte al braccio di Trip. «Se hai bisogno solo di lei, io vado avanti a dormire.»
«Mi vesto e arrivo subito, capitano.»
Archer annuì. «Certo, l’aspetto sul ponte.» Si girò e prima di uscire. Aggiunse: «Scusate se ho interrotto la vostra riunione di famiglia. Ma è un caso di forza maggiore.»
«Lui lo sa?!» chiese Trip.
T’Mir annuì, ma prima che il capitano si allontanasse gli gridò dietro qualcosa che né lui, né gli altri due ufficiali presenti capirono. Il tono sembrava scherzoso, quindi Archer si allontanò ridendo. Arrivato sul ponte di comando, si avvicinò a Sato e, quasi sottovoce, le chiese: «Hoshi, what does the word ^rompipalle^ mean?»
L’ufficiale alle comunicazioni lo guardò stupita. «It’s.... it’s an Italian word.» rispose lei, cercando di divagare. Al momento Hoshi sapeva che sull’Enterprise c’erano solo due persone che sapevano l’italiano: lei e T’Mir.
«And it means....?» chiese lui.
«Trust me. You don't want to know.»

Rimasta sola con Trip nell’alloggio di T’Pol, T’Mir si appoggiò al petto del padre e lo baciò sulla guancia. «Ti dà fastidio se sto qui?» chiese, appoggiando la testa proprio sopra il cuore.
«No.» disse lui, cingendole le spalle con un braccio.
«Stavo spesso così.... sentendo il tuo cuore battere.»
Trip sorrise leggermente. «Il tuo è qua sotto.» disse, sfiorandole appena il fianco attraverso le coperte. «Giusto?»
Lei annuì. «Cuore vulcaniano, sangue umano.»
«Manualità di tuo padre.»
T’Mir rise. «Smettila di prendere in giro T’Pol.» Sospirò. «Lei non voleva che stessi qui così.»
«Perché?»
«Diceva che così mi viziavi.»
Lui rise. «E l’ho fatto?»
«Oh, certo, che l’hai fatto.» Anche T’Mir rise. «Avevamo un alloggio tipo quello di Archer.... non so se qui abbia un alloggio uguale. Ma era abbastanza grande e all’inizio c’era un porta che dava sulla mia cameretta, più piccola di questa.... ma molto carina. Mi portavi un souvenir da ogni pianeta dove dovevi sbarcare senza di me.... Un peluche, un vestito.... la mania dei vestiti m’è rimasta. Una volta mi hai portato a bordo un tribolo.»
«E.... cos’è?»
«Un animaletto che si riproduce all’infinito.... Nel giro di un giorno avevano infestato la nave, per fortuna Phlox aveva sguinzagliato i suoi animali e Archer il suo gatto.»
«Archer ha un gatto nel tuo universo?» Suonava molto strano. Forse era un gatto da combattimento.
«Sì, un bellissimo micio squama di tartaruga.» Sospirò. «Quando T’Pol iniziava il turno prima di te, io mi alzavo e m’infilavo a letto a giocare con te. Mi chiamavi “la mia Lizzy Vizi”.»
«Lizzy?» chiese Tucker.
«Lizzy. Diminutivo di Elizabeth. È il mio nome terrestre, l’ha scelto T’Pol. Elizabeth T’Mir Tucker IV, capitano della Verne.»
«Tua madre doveva impazzire a vivere con due Tucker.»
Scoppiarono a ridere insieme.
Ma poi lui tornò serio, lasciando uscire un lento sospiro. «Sai.... chi era Elizabeth?»
T’Mir annuì. «Sì, lo so.»

«Oh, è già occupato?»
Travis sentì la voce musicale venire da sopra la sua testa e alzò lo sguardo. T’Mir aveva una mano appoggiata al portello e lo stava guardando “a testa in giù”.
«C’è posto per entrambi.» le sorrise. «Vieni.»
T’Mir si diede una spinta e cominciò a galleggiare nell’aria verso il timoniere. Arrivata a pochi centimetri da lui si girò a testa in giù e si sedette con grazia accanto a lui. «Ti disturbo?»
Travis scosse la testa. «Sembra che io sia l’unico su questa nave ad apprezzare il “punto felice”.» Le sorrise. «È così che chiamo questo posto.» Il timoniere si riferiva a un punto circa a metà strada fra il generatore di gravità e la piastra di prora, dove la gravità scompariva per qualche metro, per poi invertirsi.
«Termine appropriato.» disse T’Mir.
«Si direbbe che piaccia anche a te. Sei arrivata qui senza fatica.»
Lei annuì. «Fin da piccola vengo in un posto come questo. Nella Verne non c’è.» Nella mano con cui non si era spinta aveva un contenitore. Lo aprì e lo porse a Travis. «Vuoi?»
«Fragole?» Lui sorrise. «Grazie. Buonissime.... Hoshi mi ha detto che hai fatto l’Accademia a Milano.»
«Sì, ma in realtà ho fatto molto più direttamente sulla nave dove sono nata. Come te, d’altra parte, no?»
Travis sorrise. «Il privilegio di noi figli dello spazio. Era una nave da carico?»
«No, esplorazione.»
«Il comandante Tucker mi ha detto che la Verne andava a curvatura sette. Com’è pilotare una nave così veloce?»
T’Mir finì di mangiare una fragola. «È maledettamente difficile evitare gli asteroidi.»
Mayweather le sorrise.
«A proposito,» T’Mir richiuse il contenitore, dato che avevano finito le fragole. «è vero che una volta il capitano Archer ti ha minacciato di licenziarti se prendevi una buca?»
Travis scoppiò a ridere, T’Mir si unì a lui. Che scusa poteva trovare per riuscire a rimanere sull’Enterprise?

«Ehilà, bel ragazzo.»
Trip si girò quando sentì la voce di T’Mir che stava salendo la scaletta che portava ai comandi dei motori.
«Ehilà, bella ragazza.» replicò lui. Il suo sorriso svanì leggermente quando vide com’era vestita. Indossava un paio di stivali neri al ginocchio, pieni di lacci, sopra collant coloratissime. Il vestito nero era minimo lasciava intravedere una maglietta bianca. «Sei vestita un po’.... voglio dire....»
«Che cos’ha che non va questo vestito?» fece lei.
«Be’, è un po’ corto. Chiunque passi sotto questa piattaforma ti....» Si schiarì la gola e poi aggiunse a bassa voce: «Ti vede le mutande.»
T’Mir rise leggermente. «Sono collant. Arrivano fino alla vita. Le mutande non si vedono.» fece una breve pausa. «Non sarai geloso....» Poi sussurrò: «....Papà.»
«No, ma vestita così farai girare tutti i marinai. E io non voglio che....»
Lei si avvicinò maggiormente ai comandi, guardando lo schermo di controllo. «Non è mai stato un problema per voi. Le tutine di T’Pol non sono meno sexy di questo vestito, per non parlare della tua biancheria intima....»
Trip rise leggermente. «Comunque stai molto bene vestita così.» disse lui. «Guardati.... Dovevi essere grande....» Mise le mani a circa cinquanta centimetri di distanza. «....così.»
«Sì, più o meno.»
«E ora sei il capitano di una nave interuniversale a curvatura 7.»
T’Mir gli sorrise. «Ho vissuto la mia infanzia in un luogo come questo. A sette anni conoscevo già i motori a curvatura meglio delle fiabe.»
«La tua carriera dev’essere stata davvero veloce.»
«Ho avuto l’occasione di fare questo volo sperimentale e quindi ho fatto un balzo in avanti di parecchio.» Ometteva molti particolari. Purtroppo non aveva scelta.
«Avresti dovuto scegliere un periodo più tranquillo per venire a trovarci.»
«I nostri viaggi interuniversali hanno ancora una finestra di tempo limitata.» Ecco un’altra bugia. Non le piaceva raccontare bugie a suo padre. A T’Pol qualche volta ne aveva dette, ma con Trip.... era tutt’altra cosa.
L’interfono trillò. «Archer a T’Mir.»
«Tutti ti vogliono.» disse Trip.
Lei sorrise. «Qui T’Mir.»
«Vorrebbe unirsi a me per cena, questa sera?»
T’Mir guardò il padre sorridendo. «Con l’ingegnere capo e l’ufficiale scientifico?»
«Naturalmente.»
«Arriviamo.»

«Grazie.» disse T’Mir quando il cameriere le portò un piatto di penne al sugo di rosmarino e pancetta, piatto che servì anche al capitano e all’ingegnere.
T’Pol ricevette il suo piatto di verdure mentre guardava quello della figlia con un sopracciglio alzato.
«M’aih, il mio sangue è a base di ferro, se non mangio carne divento anemica.»
«Mi piace questo piatto.» disse Trip.
«Lo so.» T’Mir gli sorrise. «Il giorno in cui sono nata l’hai mangiato anche tu.» disse a T’Pol.
«Pancetta compresa?» chiese Trip, stupito.
«Sì. Qualche giorno dopo Phlox dovette confermare la tua idea che era stata la pancetta ad anticipare la data del parto di due settimane.»
«Evidentemente,» disse lei, con voce piatta. «non avrei assolutamente dovuto mangiarla. Forse ti ho passato questa cattiva abitudine.»
T’Mir le lanciò un largo sorriso. «Facile dirlo quando si ha il sangue di rame.»
T’Pol non poteva darle torto e le lanciò uno sguardo che i due uomini non notarono, una fugace occhiata d’intesa tra madre e figlia.
«Mi hai detto che sei stata a Milano per diversi anni.» disse Archer. «Avrai mangiato italiano.»
«Sì, ottima cucina. Soval cercava di farmi mangiare solo cucina vulcaniana, ma non c’è riuscito.»
Trip rise leggermente. T’Pol lo fulminò con lo sguardo.
«Ecco, questa cosa la facevate sempre quando si parlava della mia alimentazione.» sorrise T’Mir.
Archer li guardò sorridendo giusto per non scoppiare a ridere. Poi chiese a T’Mir: «E’ molto diverso il tuo universo da questo?»
«Sostanzialmente no.»
«Immagino che la rotta di intercettazione con l’Enterprise non fosse casuale.»
«E’ un volo di prova. Soval mi ha permesso di scegliere le coordinate in questo universo a patto che non vi dicessi chi sono.»
Trip rise.
«“Naive”.» disse T’Mir.
«Come farai a tornare indietro, se la Verne è distrutta e noi non abbiamo ancora la tecnologia per ripararla?» chiese T’Pol.
Se non l’avesse conosciuta bene, Archer avrebbe potuto giurare che dalla sua voce trapelasse un pensiero poco vulcaniano: “Non puoi tornare nel tuo universo e sei bloccata qui, vero?! Che bello!”
«Soval verrà a prendermi con un’altra nave. Forse.» Fece una breve pausa e poi aggiunse: «Spero di no.»

Dopo cena T’Pol e Archer erano tornati sul ponte, Trip era libero, quindi propose a T’Mir di andare in un “posto speciale”.
«Intendi il “punto felice”? Ci sono stata a mangiare fragole con Travis.»
«No, pensavo a un altro posto.... nessuno sa che per me è un posto speciale.»
T’Mir gli lanciò uno sguardo interrogativo. «Ho capito, intendi l’oblò posteriore del ponte G?»
«Come lo sai?» [Già, come lo so?]
«Sono tua figlia. Mi ci ha portato un migliaio di volte.»
Lui rise. «Giusto.»
Scesero fino al ponte più inferiore della nave, quindi presero un piccolo cunicolo stretto e basso e alla fine sbucarono in una stanza con un grande oblò da cui potevano vedere le stelle allontanarsi dalla prua della nave.
«Archer, una volta scrivendo una lettera in risposta a una classe di bambini sulla Terra, aveva detto che sulla nave due innamorati hanno moltissimi posti per guardare le stelle.» T’Mir si avvicinò al vetro.
«Sì.... ricordo quella lettera.... mi fece....» Trip esitò.
«Parlare dei cessi.» concluse lei. «Mi hai detto che questo sarebbe stato il nostro posto per guardare le stelle.» Si girò andò verso il fondo della stanza e aprì un portello. «Così potevamo anche ascoltare musica.»
Trip rise. «Ho nascosto quello stereo durante la revisione finale dell’Enterprise.»
«Lo so.» replicò lei. «Non lo sa nessuno che è qui. Nemmeno T’Pol, né Jonathan.»
Partì una musica lenta, dolce. T’Mir prese la mano del padre. «Balliamo?»
Lui annuì. In fondo quei giorni passati ad allenarsi nel ballo con suo fratello non erano stati del tutto sprecati. Anzi.
Quando la musica finì, T’Mir lo abbracciò, appoggiandosi al suo petto. «Questo è uno dei momenti più belli della mia vita....»

I suoi genitori erano entrambi in servizio e lei non voleva star loro tra i piedi, impedendogli di fare il normale dovere e, magari, facendoli cadere da un motore.... Aveva recuperato i suoi oggetti personali, dopo che erano passati al vaglio della sicurezza.
Si era infilata un paio di calzamaglie coloratissime e un vestitino nero piuttosto corto, si era buttata prona sul letto a leggere, con le gambe piegate indietro e le caviglie incrociate, sollevata sui gomiti.
«Avanti.» disse, quando sentì il campanello. Sorrise a Malcolm Reed, quando lui entrò.
«La disturbo, capitano?»
«Se mi parli formalmente sì.» fece lei. Gli sorrise. «Chiamami T’Mir.»
Reed fece un sorriso impacciato. Tendeva ad essere molto timido con le donne. Indicò vagamente il dispositivo sui cui T’Mir stava leggendo. «È un PADD del futuro?»
La ragazza lanciò un’occhiata all’oggetto che aveva in mano. «Questo? Oh, no.... È un iPod.» Si tirò in piedi e Malcolm poté constatare quanto fosse corto il vestito. T’Mir gli porse l’iPod. «Non è niente di particolare, ne vendevano di simili anche centocinquanta anni fa.»
Malcolm scorse velocemente il menù. «Sì, li conosco. Ne avevo uno quando ero piccolo.» Glielo rese.
«Ci ascolto musica e leggo libri. Si può fare poco di più.»
«E stavi leggendo?»
«Sì, “Notturno” di Asimov e Silverberg. Dovresti leggerlo, credo che ti piacerebbe.» Gli sorrise, poi gli lanciò uno sguardo interrogativo.
«Oh!» Malcolm fece un passo indietro, imbarazzato. «Volevo chiederti se posso dare un’occhiata alla Verne. Non capita tutti i giorni di avere una nave che viene.... dal futuro di un altro universo.»
Lei annuì. «Sei fuori servizio?»
«Sì.»
«Vengo con te.» T’Mir spense l’iPod e si avviò verso la porta.
«Ehm....» Malcolm si fermò prima di uscire dall’alloggio, guardando verso terra.
«Che c’è?» T’Mir seguì il suo sguardo e notò che lei non indossava scarpe. «Ops.» fece. «Aspetta, mi metto un paio di stivali.»
«È meglio che ti metti anche qualcosa sopra, nell’hangar fa più freddo che qui.»
T’Mir annuì. «Sì.... m’è rimasto ben poco.» Prese un maglione nero a rete e se lo infilò, quindi seguì Malcolm nel corridoio. Non era esattamente quello che lui aveva immaginato per “coprirsi”. Le maniche scendevano allargandosi dopo il polso, coprendole il dorso delle mani. La maglia stessa era più lunga del vestito e le scendeva fin dietro le ginocchia. Ma il fatto che fosse a rete e che T’Mir non l’avesse chiusa sul davanti - Malcolm comunque non aveva visto bottoni o lacci - vanificava in pratica il suo scopo.
Reed, però, doveva ammettere che il contrasto tra le calze coloratissime e il vestito minimo nero, gli stivali pieni di lacci e la maglia, rendevano la piccola Vulcaniana-Umana molto graziosa. Inoltre - notò - aveva la stessa andatura di T’Pol.... o meglio, aveva qualcos’altro di T’Pol, qualcosa che lui aveva notato subito nell’ufficiale scientifico.... Distolse gli occhi da lei e scese dalla rampa per raggiungere la Verne.
T’Mir salì all’interno e Malcolm ebbe la tentazione di dirle di stare attenta a non impigliarsi con il maglione, ma poi si trattenne. La ragazza sembrava saper perfettamente come muoversi in quei vestiti.
«Provo ad accendere i sistemi, ma temo che troverai ben poco di utile.» T’Mir premette vari pulsanti. I sistemi della Verne si accesero vibrando leggermente, ma pochi secondi dopo la nave tornò silenziosa.
«Credo che dovrebbe darle un’occhiata il comandante Tucker.» disse Reed. «Probabilmente lui riuscirebbe a sistemartela. L’ha già vista?»
«No.» rispose T’Mir, uscendo. «Ma io non ho fretta. Mi dispiace che non mi abbiano lasciato tenere a bordo il “manuale d’istruzioni”, ve l’avrei lasciato volentieri.» Diede un’occhiata veloce allo scafo semidistrutto. «Il mio lo chiamavo il libro di “Ok, d’accordo, ma come sparo i phaser?”.»
Reed rise. «Eloquente.» Indicò una parte che aveva un colore diverso, attaccata sullo scafo. Aveva una forma semisferica leggermente schiacciata ed era di un grigio violaceo. «Che cos’è?»
T’Mir si sporse in avanti. «Non lo so....» sussurrò. «Non me la ricordo come parte della Verne....»
Lui allungò la mano, cercando di vedere se l’oggetto si muoveva, ma di colpo si aprì, liberando una spruzzata di una sostanza liquida maleodorante che inondò entrambi.
«^Ma che schifo!^» esclamò T’Mir in italiano, poi, contemporaneamente a Reed, iniziò a tossire.
Un allarme partì e l’hangar venne automaticamente sigillato.
T’Mir si allontanò dalla Verne, continuando a tossire. «Ma che succede?»
«C’è una contaminazione biologica. Era un’arma quella cosa?»
T’Mir si sedette sulla scaletta. Cercando di riprendere fiato, mentre la tosse lentamente passava. «Non ne ho idea. Non era della Verne, credo che me l’abbiano appioppata durante il viaggio, ma non so dirti né quando né chi.»
«Phlox all’hangar di lancio.»
Lui andò a rispondere alla chiamata.
«Dovete passare nella sala di decontaminazione. Pare che ci sia una spora contagiosa con voi.»

T’Mir si precipitò all’oblò della sala di decontaminazione quando apparve Phlox: «Allora?»
«Tutto bene, la spora verrà eliminata da una combinazione di onde e gel. In breve sarete fuori di qui, state tranquilli!»
La ragazza lasciò andare un sospiro di sollievo. Non avrebbe mai potuto perdonarsi se una sua negligenza sul controllo dello scafo avesse provocato danni a qualcuno.
«Il gel decontaminante è nello scomparto B.» disse Phlox, lanciando loro un sorriso, prima di oscurare l’oblò.
T’Mir andò a colpo sicuro, passando un contenitore a Malcolm.
«T’è mai capitato di esser chiusa in sala di decontaminazione?»
«Sì, qualche volta.» disse lei. «Non è uno dalle migliori esperienze, ma rompersi un braccio è peggio.»
A quelle parole, Reed non poté fare a meno di lanciare un’occhiata alle braccia nude della ragazza. Aveva già notato una cicatrice sul polso destro che sembrava da saldatore laser, ma ora che era in biancheria intima si poteva vedere distintamente un’altra cicatrice lunga circa dieci centimetri che percorreva la parte inferiore del braccio sinistro e terminava là dove ne iniziava una perpendicolare. Si chiese se nel suo universo Phlox non avesse un metodo per evitare le cicatrici, ma il pensiero fu sviato velocemente da un segno blu scuro sulla spalla della ragazza. Stava per chiederle se avesse sbattuto da qualche parte, dato che di sfuggita gli sembrava un livido.
T’Mir, sentendosi osservata, alzò lo sguardo su di lui, smettendo di spalmarsi il gel. Il fiato le si bloccò in gola e una vampata di calore l’avvolse di colpo. Si costrinse a forza a rilassare i muscoli, cercando di andare con la mente, anche se per solo un attimo, sulla spiaggia della meditazione. Ma non ci riuscì. Seguì lo sguardo di Malcolm e rise nervosamente. «È un tatuaggio.»
Reed distolse lo sguardo, imbarazzato. «Scusa. Non era mia intenzione fissarti....»
«No, non fa niente.» disse lei, ma la sua voce non era più sicura e calma come prima. Sentiva un leggero tremito nelle sue parole. «È vulcaniano.» disse lei. «-Ek’wak puksu- “per sempre guerriera”.»
«Non sapevo che i tatuaggi fossero in voga tra i Vulcaniani.»
«No....» T’Mir lanciò un’occhiata veloce a Reed. «Non lo sono. Me lo sono fatta sulla Terra.» Respirò a fondo. «È stato un.... colpo di testa.» disse velocemente, prima di andare, quasi correndo, nella saletta attigua. Si appoggiò con le braccia contro il muro, respirando lentamente, cercando di calmarsi.
Forse avrebbe dovuto tentare di nuovo di entrare in meditazione.
--Possibile che a noi succeda sempre qui dentro?-- si chiese.
«T’Mir, stai bene?»
La voce di Reed, che l’aveva seguita, le mandò brividi su per la schiena.
«Sì.» disse lei, troppo sbrigativamente. «Ho solo un po’ caldo.» Si girò e gli sorrise nervosamente. --Caspita, com’è giovane.--
«Forse è meglio avvertire il dottor Phlox, se è un sintomo....»
«No!» esclamò lei, con la voce più acuta del solito. «Ehm.... No, no, sto bene.»
Reed non sembrò molto convinto, ma lasciò cadere la cosa. «Dobbiamo metterci il gel sulla schiena.» disse, alzando la mano in cui teneva il barattolo.
«Ah, uh, sì, già.» disse lei. --Ci manca solo questo!--
Malcolm le fece cenno di girarsi.
T’Mir si girò sollevandosi la canottiera quel poco che bastava per scoprire la parte di schiena che lei non riusciva a raggiungere da sola. Quando Reed iniziò a spalmarle il gel sul schiena, T’Mir trasalì. Il suo tocco era leggero e soffice come la sua voce.... chiuse gli occhi e cercò di immaginare di essere sulla spiaggia bianca della meditazione, ma il suo respiro divenne più difficile e i suoi pensieri non vagavano nel senso giusto. --Sì, ok.... la sabbia chiara.... come la pelle di.... No! La palma.... è verde.... è.... è un simbolo fallico, non ci avevo mai pens.... no! Il mare... l’acqua fredda.... i liquidi....--
«Fatto.» La voce di Malcolm la riportò alla realtà, porgendole il barattolo: era il suo turno. Lei si girò lentamente, cercando di non guardarlo, ma era impossibile. Soprattutto perché nel suo fianco batteva un cuore vulcaniano. Prese il gel e iniziò a spalmarlo lentamente sulla schiena di Reed. Forse se ci metteva abbastanza tempo, si sarebbe calmata.
Invece peggiorava.
Gli appoggiò le mani sulle spalle e strinse delicatamente. Si alzò sulla punta dei piedi e premette il suo corpo contro la schiena di Malcolm, dandogli un bacio, aperto e bagnato, sul lato del collo.
Malcolm urlò dalla sorpresa, fece un balzo avanti e si girò. «Capitano T’Mir, cosa sta facendo?!»
Lei gli lanciò uno sguardo languido. «Un bel ragazzo come te, Malcolm.... dovresti avere donne a ogni porto.»
Lui scosse leggermente la testa, arrossendo. «No, non.... non è così.»
«Appunto.... dopo tanti mesi in giro, senza distrazioni....» Gli mise le braccia intorno al collo. «Sfoghiamoci ora....» Gli cinse i fianchi con una gamba e lo baciò sulle labbra mentre lo spingeva indietro sul lettino della stanza di decontaminazione.

«Posso?»
Il comandante Tucker alzò lo sguardo e vide Phlox con in mano un piatto. «Prego.» gli fece cenno di sedersi al tavolo della mensa con lui. «Come stanno T’Mir e Malcolm?»
«Bene, bene. Potranno uscire dalla stanza di decontaminazione....» Il medico sorrise. «....tra due minuti!»
«E me lo dice così?» sorrise Trip. «Posso andare ad avvertirli io?»
Phlox annuì. «Ma certo.»
L’ingegnere si alzò. «Grazie Doc.» gli batté la mano sulla spalla e uscì, quasi di corsa, dalla mensa. Ci volevano giusto due minuti per arrivare alla sala di decontaminazione senza fretta. Aveva scoperto da meno di due giorni che T’Mir era sua figlia, ma già l’amava. Voleva passare più tempo con lei, le avrebbe proposto di andare insieme in sala macchine. E avrebbe parlato a Jonathan, forse c’era un modo per farla restare sull’Enterprise.
Si diresse sicuro verso la stanza di decontaminazione.
--Cosa facciamo stasera, T’Mir? Serata cinema? Giochiamo a basket? Torta di noci guardando le scie delle stelle a curvatura? Coccole nel letto di T’Pol?--
«Ehi, ragazzi!» esclamò entrando. «Siete liberi di usc....» Le parole gli morirono in gola, sostituite da un urlo. «TU GRAN FIGLIO DI PUTTANA!»
Malcolm e T’Mir erano ancora mezzi addormentati, sdraiati assieme sul lettino. Tucker sollevò Reed di peso. «Con tutte le donne su questa nave, perché proprio lei?!»
Lui fece un paio di passi indietro, cercando di capire di cosa stesse parlando Trip, ma prima che potesse parlare, l’ingegnere lo spintonò contro il muro.
«Smettila!» urlò T’Mir.
Malcolm si sporse in avanti, cercando di difendersi, ma l’altro riuscì a schivarlo. «Non sapevo che stava con te!» urlò.
«Smettetela tutti e due!» gridò la ragazza.
Reed cercò di scostarsi di dosso Tucker, ma lui riuscì a tirargli un pugno sul viso.
T’Mir mise le braccia intorno alle spalle di Trip, stringendosi contro la sua schiena, e lo bloccò: «Basta, padre, smettila! È stata colpa mia!»
Malcolm fece un passo indietro e si scontrò contro il muro, guardando gli altri due con uno sguardo sconcertato.
Trip abbassò le mani e si girò lentamente verso T’Mir, che sospirò. «Non mi piace quando litigate tra di voi. Siete.... così ottimi amici.» Si morse il labbro. «E poi lui non c’entra, è colpa mia.... del pon-farr.» aggiunse. Guardò oltre la spalla di Trip. Malcolm aveva un’aria particolarmente sconvolta. «Fate pace, per favore.»
Tucker sospirò.
«Papi, per favore.» ripeté lei.
Trip chiuse brevemente gli occhi: come poteva resistere a quella ragazza? Si girò e guardò Malcolm.
Il tenente scosse leggermente la testa. «Mi dispiace, io non.... non avrei mai immaginato....»
«Dai.» T’Mir diede una gomitata a Trip, che finalmente porse in avanti la mano in segno di pace. «Scusa, Malcolm.» disse.
Lui annuì. «Certo, è comprensibile.... io.... credo che avrei.... avuto la stessa.... reazione.»
T’Mir lasciò andare un sospiro di sollievo. «Così va meglio.» disse. Poi si rivolse al padre. «Mi lasci un attimo da sola con Malcolm?»
Trip le rivolse uno sguardo di traverso.
«Due minuti!» replicò lei.
«D’accordo.» rispose lui, infine, non molto convinto. Avrebbe chiamato T’Pol all’interfono, solo per dirle che T’Mir stava bene e stava uscendo dalla sala di decontaminazione, poi sarebbe andato a farsi una doccia fredda.
T’Mir aspettò che Trip uscisse, quindi guardò Malcolm. «Scusa.... io....»
Lui scosse la testa leggermente, poi fece un sorriso imbarazzato. «Non c’è problema.... non è la prima volta che io e Trip litighiamo.... Ma... se lui è....» Si fermò.
«Mio padre.» completò T’Mir.
«Allora vuol dire T’Pol è tua....»
«Madre.»
Reed prese un profondo respiro. Era nei guai. In guai molto grossi.
«Ma stai tranquillo.... li tengo a bada io.»
Lui lasciò andare una risata nervosa.
T’Mir si chinò in avanti, avvicinandosi a lui. «Solo che.... devo chiederti un piacere.... un altro.»

Archer si girò quando sentì il turbo-ascensore aprirsi. Il suo ufficiale tattico uscì e lo salutò.
«Tutto bene, signor Reed?»
«Sissignore, grazie. Sono pronto a rimettermi al lavoro.»
Il capitano annuì e lui andò alla sua postazione. Stava per girarsi, quando notò un livido abbastanza grosso sulla mandibola di Malcolm. «Che cosa s’è fatto?»
Lui alzò gli occhi lentamente e Archer poté notare il panico passare nel suo sguardo. «Ah....» Indugiò. «Quando siamo stati investiti da quella spora, credo di essere caduto e di aver battuto da qualche parte.»
Jonathan sentì odore di “palla clamorosa”, ma lasciò in pace Reed. Si alzò e si diresse verso il suo alloggio. Una volta lì, dopo una carezza a Porthos, il suo cane beagle, premette l’interfono. «Archer a T’Mir. Può venire nel mio alloggio?»

«Avanti.»
Quando T’Mir entrò, Porthos corse a farle le feste. Non l’aveva mai vista, ma faceva sempre così con chiunque.
«Eeeeeek!» urlò T’Mir, colta di sorpresa, e saltò sul letto, nascondendosi dietro ad Archer, seduto sulla sponda.
«Scusa. È innocuo, ma ha questa mania di fare le feste.» Poi si rivolse la cane. «Stai giù, Porthos! Vai a cuccia.» Si girò verso T’Mir. «Non ho un cane nel tuo universo?»
«No, hai un gatto.»
Archer rise. «Non posso immaginare la mia vita senza un cane.»
«Sì, certo, nel mio universo dici la stessa cosa del gatto.»
«Devi restare seduta dietro la mia schiena?» chiese lui.
Lei scosse leggermente la testa e molto lentamente andò a sedersi sulla sponda.
«Tranquilla, è a cuccia.»
«Mi hai chiamato per qualche motivo speciale?» T’Mir indossava i pantaloni dell’uniforme e la maglietta “Logic is my poetry”. Era tutta in nero e Archer pensò che erano vestiti troppo scuri e sembrava ancora più piccola.
Anche i suoi capelli erano neri. «Da chi hai preso i capelli?»
«Da T’Les, mia nonna. Mi hai chiamato per questo?»
Lui scosse la testa. «No. Ho notato che il tenente Reed ha un livido sul viso.»
T’Mir ebbe la tentazione di saltare in piedi e correre all’impazzata fuori dall’alloggio. Fu bloccata dal solo pensiero di un cane che la rincorreva. «Ah.... e....?»
«Mi chiedevo....» Archer si alzò in piedi. «....se per caso è successo qualcosa di cui è meglio che io sia messo al corrente.»
La ragazza deglutì a fatica. --Che cavolo gli dico, adesso?!-- Scrollò forzatamente le spalle. «No.... io non credo....» Insomma, *questo* Jonathan Archer non la conosceva dalla nascita. Questo Archer sapeva quanto fosse impulsivo suo padre, non quanto lo fosse lei.
Il capitano sospirò. «Te lo chiedo esplicitamente, T’Mir. Reed ha fatto qualcosa di sconveniente, qualcosa per cui tu ti sei dovuta difendere e ora.... non me lo vuoi dire per motivi tuoi?»
«No!» esclamò lei. «No, no, figurati, Malcolm?! Non è proprio il tipo, dai.»
Archer annuì, sollevato. Certo, T’mir aveva ragione, Reed non era il tipo. «Sai come s’è fatto quel livido?»
T’Mir fece per sparare la prima bugia che le veniva in mente ma si bloccò. «Che cosa t’ha detto Malcolm?»
Lui rise. «Non è caduto, vero?»
La ragazza sospirò. «È stata colpa mia.»
«Ovvero?» T’Mir faceva riferimento a un’altra Flotta Astrale, in un luogo e in un tempo lontani, ma ora era pur sempre sulla sua nave.
«Lui e Trip hanno litigato, a causa mia. Per favore, non far pagare loro delle conseguenze per una cosa che ho fatto io.»
Archer rimase qualche secondo in silenzio, poi disse: «Va bene. Ma.... è stato qualcosa di grave?»
Lei scosse la testa. «No. Insomma....» Prese un profondo respiro. Da ragazza era abituata a dire tutto a Jonathan, ma da allora erano passati dieci anni e molte cose erano cambiate. «Diciamo che Trip è un padre molto protettivo.»
«E tu mi assicuri che Reed non ha fatto nulla....»
Lei annuì. «Dai, lo conosci. È stata solo un’incomprensione. Ti prego, lascia cadere la cosa.»
Archer le sorrise e tornò a sedersi accanto a lei. «D’accordo.»
«Posso chiederti due favori?»
Il capitano annuì. «Dimmi.»
«Io.... io non sicura se in questo universo nascerò o no.... ma se dovessi esserci....» T’Mir s’interruppe per qualche istante, distogliendo lo sguardo da lui, e Archer poté notare un leggero rossore sul suo volto. Già, il suo sangue era rosso.
«Sì?» la incitò.
T’Mir alzò lo sguardo e gli sorrise. «Promettimi che mi insegnerai a flirtare.»
Archer rise: «A flirtare? E perché proprio io?»
Lei alzò gli occhi al cielo. «E dai, sei un flirtatore di prima categoria!»
«Be’, questo è tutto da vedere....»
«Ma certo che lo sei, sei il miglior seduttore che io conosca.» (Infatti T’Mir non conosceva Kirk.)
«Perché dovrei insegnartelo?»
Lei sospirò. «Perché io non sono minimamente capace. Non ce l’ho nei geni. O prendevo la freddezza di T’Pol, o l’approccio diretto di Trip. Ed è quest’ultimo quello che ho preso....» Lo abbracciò, ridendo, ma Archer notò che, in effetti, era più un abbraccio da bambina che da donna in cerca di marito. «E non sempre mi va bene.»
Archer le accarezzò la schiena come avrebbe fatto con una figlia. «Sei comunque molto dolce.»
«Anche T’Pol lo è, solo che finge.»
«E il secondo favore?» chiese Archer.
«Ho finito i vestiti, quelli che avevo prima sono finiti in decontaminazione. Mi sono rimaste solo un paio di divise sporche, questa maglietta e una vestaglia da meditazione.» Gli lanciò uno sorriso enorme. «Posso avere un’uniforme?»
Archer le sorrise e ribatté: «Reparto macchine?»

Tucker era davanti alla porta dell’alloggio di T’Pol. Esitò un istante a suonare, poi entrò quando sentì il suo permesso.
«T’Mir?» chiese subito lei.
«Sta uscendo dalla decontaminazione. Credo che vada a lavarsi e poi ci raggiunga.»
T’Pol lo osservò per qualche istante: «C’è qualcosa che non va?»
Trip alzò lo sguardo di scatto. «No no.... pe-perché me lo chiedi?»
Lei gli rivolse uno sguardo di sussiego. «Bene, perché domani dovremo probabilmente ricalibrare gli iniettori. La diagnostica completa è appena finita. Pensavo di chiedere a T’Mir di darci una mano.»
Tucker annuì. «Sì.... è una buona idea.»
Il campanello suonò e T’Mir entrò sorridendo e andò ad abbracciare la Vulcaniana. «Come stai?» le chiese T’Pol.
«Bene.» Guardò Trip. «Gliel’hai già detto?»
Lui scosse leggermente la testa.
«Detto cosa?» chiese T’Pol.
T’Mir rimase qualche secondo in silenzio, poi scrollò le spalle. «Ho avuto un incontro sessuale con Malcolm.»
«Malcolm - il tenente Reed?»
La ragazza annuì. «Nella stanza di decontaminazione, quando eravamo dentro solo noi due.»
T’Pol annuì leggermente. «È stato piacevole?»
La giovane sorrise. «Il miglior rapporto sessuale che io abbia mai avuto.»
«Bene.» replicò T’Pol.
«BENE?!» urlò Trip.
T’Mir corse a nascondersi dietro T’Pol.
«Tua figlia ti dice di aver fatto sesso con un uomo che ha.... trent’anni in più di lei e tutto quello che le dici è “bene”?!»
T’Pol alzò un sopracciglio, mantenendo la sua flemma vulcaniana. «Voi umani attribuite troppa importanza al sesso.» disse T’Pol. «E lo concepite in modo troppo puritano. È una funzione fisiologica. Un semplice atto fisico. Inoltre T’Mir è maggiorenne sia come umana che come vulcaniana. Se l’atto è stato piacevole, questo è un bene.»
Trip alzò le mani coi palmi in alto. «Io non credo che riuscirò mai a capirvi del tutto. Voi e il pon-farr.»
T’Pol si girò verso T’Mir. Il modo in cui si era nascosta dietro di lei le aveva ricordato quell’assurda immagine di sé che si nascondeva dietro a Reed. «Il pon-farr?»
La ragazza sospirò e annuì leggermente.
«Hai ventisei anni, è troppo presto.» La voce di T’Pol si tinse una leggerissima vena di preoccupazione.
T’Mir lasciò la sua postazione protetta dietro di lei e andò a sedersi di fianco a Trip. «Sei arrabbiato con me?»
Lui la guardò e la disapprovazione svanì dalla sua mente. «No.» Le sorrise. «No, e poi in effetti se dovessi pensare a un possibile partito per mia figlia.... non potrei pensare di meglio che a Malcolm.» Per lo meno era un uomo leale, gentile, pieno di buona volontà e senso del dovere.
T’Mir ricambiò il sorriso. «E poi lui *qui* non ha trent’anni in più di me.»
Trip scrollò le spalle. «Forse potrei dire che è fin andata bene che ci fosse lui con te.»
Lei rise. «Ma era anche ovvio, io sono sempre stata innamorata di Malcolm.»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Di Malcolm?»
«Sì, anche se ho avuto anche una cotta per Jonathan e Travis. Dai, papi, sono cresciuta sull’Enterprise, li vedevo sempre.... è normale!»
T’Pol interruppe quello che le sembrava un discorso senza senso. «È perché sei metà umana? Intendo, il pon-farr alla tua età.»
La ragazza sospirò. «No. È.... per questo.» Alzò la manica sinistra della maglietta e mostrò la cicatrice che Reed aveva notato poco prima.
«Cos’è?» chiese Trip, prendendole la mano.
«Un attivatore.» Sussurrò lei. «Provoca il pon-farr quattro volte ogni due giorni, tre volte all’anno. Avrebbe dovuto attivarmelo il mese prossimo, ma immagino che il viaggio spazio-temporale abbia sfasato il ciclo.»
T’Pol si abbassò davanti alla figlia e le prese la mano sinistra tra le sue. «Perché?»
«Sono una Vuhlkansu-komihn, comprendo i lati umani e vulcaniani. Chi ha ucciso voi e rapito me voleva creare altri ibridi, con altre razze. Questo attivatore gli ha risparmiato il problema di convincermi.»
Trip, di scatto, abbracciò sua figlia. «Mi dispiace.....»
T’Mir rimase appoggiata alla sua spalla, non che avesse bisogno, in quel momento, di essere consolata. Ormai quella parte della sua vita era passata. Ma stare attaccata a suo padre era uno degli scopi per cui aveva fatto quel viaggio. «Avete fatto tutto il possibile.»
«Non puoi togliere quell’attivatore perché le anestesie non funzionano.» disse T’Pol.
T’Mir annuì. «E poi mi divertiva far impazzire Soval.» Rise. «Ogni tanto sparivo per cercarmi un maschio e lui non poteva nemmeno sgridarmi.... questione di biologia.»
«Come hanno fatto a inserirtelo?» chiese T’Pol.
«Mi hanno tenuta ferma.» rispose lei, semplicemente. Sospirò. «Però voglio essere libera. E ora che sono qui con voi.... se ve la sentite di aiutarmi, vorrei chiedere a Phlox di togliermelo.»
«La stretta vulcaniana non funziona?» chiese Trip.
«No.»
«No?» chiese T’Pol.
«Da piccola mi sono rotta questo braccio. Frattura esposta. Avete tentato di tutto per cercare di togliermi il dolore, anche facendomi perdere i sensi.»
«Abbiamo?» chiese Trip. «Vuoi dire che ti ho.... sparato con una pistola phaser?» Era l’unica cosa che lui poteva pensare di usare....
Lei annuì. «Sullo stordimento mi provoca dolore e ustioni, più alta.... non voglio provarci.»
«Però la neuropressione può aiutarti.»
T’Mir annuì. Sorrise.

Phlox indicò sullo schermo. «Eccolo lì.» disse. «È avvolto intorno al nervo.»
«Sì, è quello il bastardo.» T’Mir sospirò.
«E questo sopra, cos’è?» Il medico denobulano, nonostante la sua enorme esperienza, non aveva mai visto due congegni come quelli.
«È uno stimolatore osteogenico. Me l’hai impiantato tu quando mi sono rotta il braccio da piccola. Quello va lasciato, la struttura ossea del mio braccio è tendenzialmente fragile.»
«Non sarà facile togliere l’attivatore.» costatò Phlox. «Dovrei praticare un’incisione profonda nel braccio, spostare di lato il muscolo, togliere l’attivatore facendo attenzione a non rompere il nervo e richiudere. Senza anestetico è.... immorale.»
«Ma il capitano può darti il suo consenso a farlo.» Si girò verso Archer. «Vero?»
Jonathan rimase per qualche secondo in silenzio. «Sì, questo sì, anche se credo che sia un’atrocità.»
«È un’atrocità anche essere costretta all’accoppiamento dodici volte l’anno.» ribatté lei. «Forza.» Si stese sul fianco sinistro sul lettino. «Dai, doc, taglia e togli.»
«Aspetta!» esclamò lui. «Non possiamo trovare un altro metodo? Ad esempio disattivarlo dall’esterno.»
T’Mir si alzò sul gomito sinistro. «Sottovaluti il tuo alter ego del mio universo.»
«Dovrò bloccarti il braccio.» disse Phlox, non ancora convinto.
«Possiamo iniziare, così la facciamo finita in fretta?»
Phlox si decise e le bloccò il braccio con due fasce nere. «Non sarà piacevole.»
«Lo so.» disse lei. «Quando me l’hanno impiantato ho sentito molto male, ma sono convinta che tu sarai più delicato.»
«Non contarci troppo.»
T’Mir gli sorrise. «Phlox, ci sono qui i miei genitori e Jonathan. Non potrei pretendere di meglio. Apri e non fermarti finché non l’hai tolto.... nemmeno se te lo chiedo.»
T’Pol si sedette dietro di lei e le appoggiò delicatamente le mani sulle spalle, mentre Tucker si mise davanti a lei e le prese la mano destra, la portò alle labbra e le diede un bacio sulle nocche.
Quando Phlox iniziò ad incidere, T’Pol sentì il corpo della figlia che si irrigidiva. Allentò la tensione sulle sue spalle. «So che è difficile, T’Mir, ma cerca di stare più rilassata, o rischio di farti male.»
«Più di quello che sta facendo Phlox?» sussurrò lei. Senza attendere una risposta chiuse gli occhi, si concentrò sul tocco delicato della Vulcaniana e sulla dolce stretta di mano di Trip. --La spiaggia....-- si disse. --Vai sulla spiaggia.-- Ma il dolore si stava facendo troppo forte.
Cercò di mettersi a sedere.
«No, stai giù.» Trip la spinse contro il lettino.
«Voglio andare via!» urlò lei.
«No, non vuoi andartene. Vuoi liberarti.» proseguì lui. Si avvicinò a lei e la baciò sulla guancia. «Mia figlia non è una che se ne va a metà dell’opera.»
Phlox pensò che erano ben sotto la metà, ma non disse nulla.
T’Mir strinse la mano di Trip. «Fa troppo male.»
«Ma sarai libera.»
La ragazza scosse la testa. «Ci ho ripensato!» Si tirò su di scatto, spingendo via Trip. Ma il braccio sinistro era ancora legato e urlò per il dolore.
«Abbiamo quasi finito!» esclamò Phlox, mentendo spudoratamente.
«Voglio smettere!» urlò T’Mir, cercando di divincolarsi.
Archer e Tucker, senza nemmeno mettersi d’accordo, la spinsero assieme sul lettino, bloccandola.
«^LASCIATEMI!!!!^»
«Dottore, veloce.» disse il capitano. La sua voce era appena percepibile sotto le urla in italiano di T’Mir.
«Sto facendo più in fretta che posso, ma se faccio uno sbaglio, rischio di tagliare il nervo!»
T’Pol alzò lo sguardo su Trip. «Vieni qui tu a farle neuropressione.»
«Sei impazzita?» chiese lui.
«No, dammi il cambio, in fretta!»
Trip scosse la testa. «No!»
«Comandante Tucker, mi dia il cambio! È un ordine!» urlò lei.
«No!!»
«Trip, dalle il cambio!» disse Archer. «Te lo ordino anch’io!» Non aveva idea di cosa avesse in mente T’Pol, ma se loro due si fossero messi a litigare, sarebbe stato molto peggio per T’Mir.
Lui sospirò e corse intorno al lettino, mentre T’Pol faceva il percorso inverso. «Per favore, dottore, si sbrighi.» sussurrò, mentre passava dietro Phlox. Si abbassò accanto a T’Mir. Poi le mise una mano sul volto. «T’Mir, ascoltami, cerca di rilassarti, solo pochi secondi....»
«Fa troppo male!»
«Lo so.» T’Pol si chinò in avanti. «Dobbiamo provare una fusione mentale.»
Passarono pochi secondi, poi T’Mir si ritrovò di colpo in uno spazio bianco, una leggera nebbiolina confondeva i contorni, ma la sua mente era più lucida di prima. Riusciva ancora a sentire il dolore, ma poteva quasi razionalizzarlo.
Chiuse gli occhi. «-M’aih?-»
«-Sono qui.-» le rispose T’Pol.
«-Che succede?-»
«-Credo che Phlox ormai abbia quasi finito.-»
«-Il braccio mi fa molto male.-»
«-Lo so.-» disse T’Pol. «-Ma tu non vuoi essere schiava di quell’attivatore. Te ne vuoi liberare.-»
«-Sì.-»
«-Vuoi essere libera di scegliere. Come è giusto nella tua natura umana.-»
«-Ah, m’aih.-» (Sì, madre.)
«-Allora devi essere forte, ancora una volta, ancora per qualche istante.-»
«Ho finito.» disse Phlox, appoggiando la mano sulla spalla di T’Pol. Lei si ritrasse di scatto, prendendo di colpo un respiro. Cercò di rimanere in piedi, ma era troppo stanca. Archer la prese prima che cadesse a terra e l’aiutò a sedersi.
T’Mir aprì gli occhi lentamente e lanciò un’occhiata al suo braccio, ormai fasciato. «Grazie a tutti....» sussurrò, con poche forze. «Phlox, l’attivatore....»
«Sì, è fuori.»
«Tienilo da parte....»
I quattro presenti le lanciarono uno sguardo interrogativo.
«Voglio romperlo a martellate....» spiegò lei.

Trip scostò leggermente la tenda e lanciò un’occhiata alle sue due donne, stese entrambe nello stesso letto. T’Mir stava dormendo, appoggiata alla spalla di T’Pol, che con una mano le teneva la sinistra, con l’altra le stava accarezzando i capelli.
Tucker entrò nel piccolo vano dell’infermeria a loro riservato e T’Pol smise quasi di colpo di accarezzare la figlia.
«Potevi proseguire.» sussurrò Trip. Si sedette accanto al letto. «Come sta?»
«Dorme abbastanza tranquillamente.»
«Vuoi che ti dia il cambio?»
T’Pol scosse leggermente la testa: «No, se mi muovo ora la sveglio.»
«Sei stata molto coraggiosa a fare quella fusione mentale con lei.»
La donna abbassò lo sguardo sulla figlia. «Aveva bisogno di aiuto.»
«Ti sei presa una parte del dolore che provava, vero?»
«Per una figlia si fa questo e altro.»
Trip si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lei. «Sei stata fantastica. Siete state fantastiche.» Si chinò in avanti e la baciò sulle labbra. T’Pol chiuse gli occhi, ricambiando e assaporando il bacio.
«Come siete carini....» La voce mezza addormentata di T’Mir li colse alla sprovvista e Trip si tirò di scatto indietro.
«Tu non stavi dormendo?» Lui sorrise, imbarazzato.
«Mi son svegliata....» sussurrò lei, richiudendo gli occhi. «Non volevo interrompervi....»
«Sì, be’, comunque....» balbettò Trip.
«Padre, non devi giustificarti. Lo so che fate sesso, altrimenti io da dove sarei venuta?»
Trip arrossì.
T’Pol alzò un sopracciglio, guardandolo. «-Olozhikaik-» disse.
«Appunto.» rispose T’Mir, sempre con voce addormentata.
«Olo-che?» chiese lui.
«-Olozhikaik.-» ripeté T’Mir. «È una delle più importanti parole in vulcaniano.» spiegò. «Significa “logico”.» Aprì gli occhi e gli sorrise.
«Allora, già che sei sveglia, ti spiace se do il cambio a tua madre, così lei può riposare un po’?»
«Ho riposato fino adesso.» obiettò T’Pol.
T’Mir si spostò leggermente e le diede un bacio sulla guancia. «Ciao, ci vediamo dopo.»
T’Pol si alzò dal letto, non troppo convinta. Mentre passava di fianco a Trip, lui le sfiorò la mano, sorridendole.
«Be’, devo aver detto delle cose assurde, prima....» disse T’Mir.
«Credo che stessi maledicendo qualcuno.» rispose Trip. «Urlavi in italiano e non avevamo un traduttore automatico a portata di mano....»
T’Mir rise. «Meglio così.» Fece una smorfia di dolore.
Tucker si sedette sul letto e la prese tra le braccia. «Così va meglio?»
Lei annuì.
Trip si chinò in avanti e la baciò sulla tempia. «La mia coraggiosissima T’Mir....»
«Ti voglio bene....» disse lei, poco prima di riaddormentarsi.

Malcolm era seduto a un tavolo della mensa, quasi deserta.
«E' libero?»
Alzò lo sguardo quando sentì la voce di T'Pol. Annuì leggermente, sentendo il suo stomaco che si chiudeva.
La Vulcaniana si sedette davanti a lui, con una tazza fumante. «Immagino che abbia saputo che T'Mir è mia figlia.»
«S-sì...»
«Mi ha detto che avete fatto sesso nella camera di decontaminazione.»
Malcolm si mosse a disagio sulla sedia. Era vero, era stata T'Mir a saltargli letteralmente addosso, e per quel che lui ne sapeva, T'Mir rischiava la vita, se non si accoppiava. Ma era pur sempre vero che anche lui si era divertito. «S-s.... sì....»
T'Pol, con la sua tipica tranquillità vulcaniana, lo fissò: «Se la fai soffrire, ti uccido con un colpo di pistola phaser.» Detto questo si alzò dal tavolo. «Ci vediamo sul ponte.» Uscì, sempre calma, dalla mensa.
Malcolm rimase a fissare la porta per qualche minuto, poi si alzò e scese nella sala armamenti. Lavorò a lungo, cercando di calmare i nervi.... finché sentì la porta aprirsi e vide Trip entrare. Il comandante lo salutò con nonchalanche, poi gli si appostò di fianco. «Tutto regolare qui?»
«Sì, ho appena finito la diagnostica.» rispose Reed.
«Senti, Malcolm, riguardo a quello che è successo oggi.... mi dispiace averti preso a pugni, T'Mir ha il diritto di fare ciò che vuole....»
Reed annuì nervosamente. Sentiva che c'era un "ma" grosso come l’Enterprise alla fine di quella frase.
E difatti arrivò. Trip si appoggiò con una mano alla consolle, mettendosi l'altra in vita e lo guardò serio. «Ma se la fai soffrire, ti uccido lentamente. Ti stacco un pezzo di pelle alla volta e ti lascio rigirarti nel tuo sangue per almeno due settimane.» Poi gli batté una mano sulla spalla. «Non avrei potuto chiedere un genero migliore. Ci vediamo alla serata cinema?»

Accanto a lei, sul letto, l’uniforme che Archer le aveva promesso, un tronchese, un paio di forbici e una benda a velcro (questa me la sono inventata io, assomiglia al bracciale di uno sfigmomanometro automatico).
Non riusciva a decidersi.
Alzò leggermente la mano in cui teneva l’iPod.
Era uno strumento antico, ma il suo era stato modificato. Premette “play” per accedere al menù dell’orologio, poi cercò una funzione nascosta che nessuno avrebbe trovato. Un conto alla rovescia, che in quel momento segnava quarantasette minuti.
Sospirò.
Non poteva aspettare oltre.
Si tolse il bendaggio che le aveva fatto Phlox. Trasalì quando il sangue secco si strappò dalla pelle. Prese il tronchese e iniziò a tagliare i punti che chiudevano l’incisione. Uno per volta, perché la sua manualità era da tecnico, non da medico. Uno alla volta e sentiva un tale dolore che avrebbe, di nuovo, imprecato in italiano.
Cercò d’imporsi di non piangere, ma le lacrime iniziarono a scorrere senza che lei potesse farci nulla.
Non piangeva per la ferita che lei si stava, da sola, riaprendo sul braccio.
Piangeva perché, quella sera, quando aveva dato la buona notte a T’Pol e Trip, Archer e Reed e tutti gli altri della nave, sapeva che non era un “arrivederci a domattina”, ma un addio.
E sapeva che le sarebbero mancati da morire non solo i suoi genitori, ma anche gli altri.
Jonathan, quando lei era piccola, la teneva sulle ginocchia a farla giocare, le raccontava le loro avventure passate e come i suoi genitori si erano sempre distinti, sia nel loro senso del dovere, sia nelle stranezze, come quella volta che Trip aveva salvato la nave in mutande. Stessa occasione in cui T’Pol l’aveva minacciato di lasciarlo ammanettato a una porta.... il suo amato capitano Jonathan.
Travis le aveva insegnato a pilotare e con lui giocava nel “punto felice”, Hoshi le aveva insegnato a scrivere e a leggere.
E soprattutto Malcolm: lei lo amava fin da quando aveva otto anni, non l’aveva mai dimenticato nei suoi anni di prigionia né quando aveva vagato per lo spazio con Soval, e nemmeno quando aveva incontrato altri maschi, di ogni razza, a Milano. E ora aveva condiviso con lui un’intimità che non aveva mai sperimentato. Chiuse gli occhi. Non era mai stata con un maschio così dolce. Aveva toccato il fondo, quando, in preda al pon-farr e dopo una litigata con Soval, si era fatta trascinare a letto da quell’interprete klingon.... a “letto” non era l’espressione giusta, dato che si erano accoppiati sull’erba dei sobborghi milanesi, sotto le stelle. Era così ubriaca che non ricordava nemmeno di aver detto che le andava bene farsi fare un tatuaggio. Sempre che gliel’avesse chiesto. Si era ritrovata la mattina dopo, da sola ancora sull’erba, dolorante e con il sangue che le colava dalla spalla sinistra dove, chissà chi, le aveva inciso “per sempre guerriera” scritto in vulcaniano. E del klingon nemmeno l’ombra.... né il nome nella sua memoria. Con Malcolm era stato completamente diverso. Ricordava le sue carezze incerte, i suoi baci timidi, il curioso e discreto sfiorare le sue orecchie a punta, cosa che le piaceva estremamente, il suo carattere introverso anche nel fare l’amore con una Vulcaniana in calore.
Si morse le labbra per non urlare quando strappò l’ultimo punto. Si lasciò cadere sul letto, respirando affannosamente. Faceva così male che avrebbe voluto provare a spararsi da sola con un phaser ad alta intensità per togliersi il dolore.
Ma non poteva. Doveva sopravvivere, perché aveva da portare a termine una missione. Si tirò a sedere, tamponando il sangue che aveva ripreso a uscire. Poi s’infilò la benda a velcro sul braccio e strinse.
Sospirò quando prese in mano la divisa. La prima cosa che doveva fare era strappare la manica sinistra della T-shirt nera. Esitò un istante, poi tirò finché la cucitura si ruppe. Se la infilò sopra la biancheria intima, quindi prese la divisa. No, quella non poteva strapparla. Praticò un taglio, lentamente e con precisione, nella parte inferiore della manica sinistra.
Si mise in piedi e si infilò lentamente l’uniforme strappata, facendo attenzione a non rovinarla ulteriormente.
Si sistemò guardandosi allo specchio, cercando di ignorare il taglio sulla manica, che faceva intravedere la benda a velcro. Era cresciuta con quelle divise. Le adorava, la facevano sentire a casa.
Sospirò.
Guardò il conto alla rovescia sull’iPod. Mancava troppo poco tempo per indugiare davanti allo specchio.
Uscì dalla stanza e camminò nei corridoi quasi deserti. Conosceva la nave alla perfezione, non aveva bisogno di seguire le indicazioni che Soval aveva insistito a darle.
Arrivare alla sala del teletrasporto fu semplice. Si mise ai comandi, digitò velocemente e immise i dati che aveva imparato a memoria.
Lanciò un’altra occhiata all’iPod e sincronizzò il tempo con quello dell’avvio. Deglutì a fatica. Aveva paura. Paura di fallire.
Ma soprattutto di deludere i suoi genitori.
Lasciò l’iPod sulla consolle del teletrasporto e andò a posizionarsi sulla piattaforma luminosa.
Chiuse gli occhi per concentrarsi sul conto alla rovescia e, quando mancavano solo dieci secondi, li riaprì. «M’aih, padre, perdonatemi.» sussurrò. «Quattro, tre, due, uno, energia.»
Il corpo di T’Mir svanì appena prima che un forte colpo scuotesse l’intera Enterprise.

Il capitano Archer e gli ufficiali superiori corsero verso il ponte di comando, svegliati dall’improvviso allarme tattico.
T’Pol e Trip s’incrociarono nei corridoi, mentre T’Pol correva sul ponte e Trip verso la sala macchine.
«Dov’è T’Mir?» chiese subito Trip.
«Nel suo alloggio. Era molto stanca.» Il discorso cadde quando le loro strade si divisero.


Appena T’Mir si rimaterializzò, iniziò a camminare lungo il corridoio di acciaio violaceo che si trovava di fronte a lei.
Sentì l’innesco di due fucili phaser e si girò. «/Fermati, vulcaniana./» Era la lingua degli Xindi rettili.
Lei si girò e fissò uno Xindi che le puntava contro l’arma. «/Sono io/» rispose in Xindi rettile, poi aggiunse in italiano: «^idiota^.»

Archer arrivò velocemente sul ponte con passo sicuro. «Rapporto, tenente.»
«Una nave sconosciuta.» disse Reed.
«Sullo schermo.»
«È uscita dalla curvatura e ha aperto il fuoco contro di noi. Nessun danno, per ora.»
«Non riconosco la nave.» disse T’Pol.
«Hoshi, li contatti.»
Sato mosse velocemente le mani sulla consolle di comunicazione. «Non rispondono signore.»
«Invii un messaggio. Abbassino le armi o saremo costretti a mirare alle loro.»

«/Potresti anche essere Soval in persona./» disse lo Xindi, mantenendo l’arma puntata verso di lei. «/Le armi non le abbassiamo./»
T’Mir camminò verso di lui con sicurezza. «/C’è un accordo tra di noi./»
«/Te lo ripeto, ibrido. Nemmeno se tu fossi Soval./»

«Signore, hanno ancora i cannoni phaser puntati.» comunicò Malcolm.
«Puntiamo i nostri.»
L’Enterprise venne scossa da un secondo attacco.
«Tenente Reed, miri alle armi e spari.»
«Sissignore.»
Sullo schermo apparve il raggio phaser rosso dell’Enterprise. Come sempre la mira era perfetta, ma il raggio, arrivato a pochi metri dalla nave nemica, s’infranse e quelle che sembravano schegge di luce inondarono lo schermo.
La nave venne percossa da tremiti, come se fossero entrati senza polarizzare le corazze in un campo di asteroidi.
«Rilevo cinque segni vitali a bordo.» disse finalmente T’Pol. «Quattro sono Xindi.»
«E il quinto?»
T’Pol rispose, la sua voce leggermente incerta. «Umano.»
«Umano?»
«Signore.» chiamò Reed. «C’è stato un trasferimento di energia.»
«Dove?»
«Dalla sala di teletrasporto.»
«Hoshi, comunichi di controllare.»
T’Pol alzò lo sguardo dallo scanner di biosegnali. «Capitano. Ho....» Dove dirglielo? Deglutì nervosamente.
«Subcomandante?!» chiese Jonathan, innervosito dall’esitazione. Da quando in qua T’Pol esitava?
«Ho letture contrastanti. Ora il segno vitale appare.... vulcaniano.»
Archer si girò di scatto verso di lei e la fissò.

T’Mir arrivò sul ponte, alle sue spalle uno Xindi rettile la scortava con il fucile phaser puntato e uno, accanto a lei, la teneva stretta per il braccio destro.
«/Chi non muore si rivede, comandante T’Mir./»
La ragazza tirò il braccio per liberarsi. «/Adesso sono capitano./» disse seccata. «/Tra umani e Xindi c’è un patto./»
Il capitano Xindi si alzò e si avvicinò a lei. «/Umani e Xindi. Non mi pare che tu/» Si chinò su di lei. «/appartieni a uno di questi gruppi./»
«/No, ma la nave a cui state sparando è terrestre./»

Archer si avvicinò a T’Pol. «T’Mir ha lasciato l’Enterprise tramite il teletrasporto pochi secondi prima che ricevessimo il primo colpo.»
La vulcaniana scosse leggermente la testa. Sentiva che i danni che le aveva provocato il trellium-D minacciavano di far venire in superficie i sentimenti contrastanti che provava. Lei amava T’Mir, era sua figlia. Era possibile che li avesse traditi? Sentiva i suoi muscoli tremare impercettibilmente.
«Ora T’Mir è su quella nave Xindi!» Archer pensò che stava dicendo una cosa che tutti sapevano alla perfezione. Forse non voleva crederci e doveva convincere anche sé stesso. Forse era stata portata via a forza.
Le porte del turbo-ascensore si aprirono e uscì Tucker.
«Comandante, dovrebbe essere in sala macchine.» notò Archer.
Trip alzò la mano e mostrò a lui e a T’Pol l’iPod di T’Mir. «Era sulla consolle di teletrasporto.» sussurrò. Era visibilmente sconvolto.

«/Basta sparare/, ^figlio di puttana^!» T’Mir balzò in avanti, ma la sua corsa verso il capitano Xindi venne interrotta dalla guardia che le puntava il fucile alla schiena. T’Mir urlò, sentendo il phaser che la colpiva in piena schiena, il dolore bruciante e penetrante che le pervadeva il corpo.
Non era stato così, anni prima, quando era stato suo padre a spararle, lui aveva mirato alla spalla sinistra, con un raggio sottile, giusto quel che doveva bastare per stordirla. E non essendoci riuscito, l’aveva presa tra le braccia e coccolata per quasi un giorno intero. Ricordava ancora la voce, di Phlox, in sottofondo, che criticava il metodo usato e fallito.
Quella volta il dolore era forte e sentiva la pelle bruciare là dove era stata colpita. Dovette restare a terra, sul pavimento della nave Xindi, cercando di riprendere fiato, mentre sentiva in sottofondo il capitano che contattava l’Enterprise.

«Signore.» chiamò Hoshi. «Stanno chiamando.»
Sullo schermo apparve il terribile volto di uno Xindi rettile. «Nave Enterprise, ogni tentativo di resistenza è inutile. Arrendentevi e non vi sarà fatto alcun male.»
Archer si girò verso lo schermo. «Ci crediamo proprio!» esclamò, sarcastico. «I nostri due popoli sono in guerra!»
Lo Xindi proseguì, con un sorrisetto da biscia sul volto: «Si sbaglia, capitano. Voi non siete in guerra con noi. Ma con gli Xindi di questo universo.»
Tucker pensò che stava per vomitare. Non aveva mai avuto mal di spazio, ma in quel momento gli sembra che l’Enterprise stesse collassando su di lui.
T’Mir....
La sua T’Mir!
«Non è possibile.» disse.
«Tra dieci minuti distruggeremo la vostra nave. Avete tempo per arrendervi.» La trasmissione finì.
«Capitano.» chiamò Reed e anche la sua voce appariva incerta. «Sembra che stiano calibrando le armi sulle.... frequenze della nostra polarizzazione.»
«Maledizione!» Si girò verso Hoshi. «Li contatti. Dica che voglio parlare con T’Mir.»

«^Quanto sei stronzo!^» urlò T’Mir, in italiano.
«/Non capisco cosa stai dicendo./» disse il capitano Xindi. «/Ma non mi sembra molto amichevole./» Alzò la sua pistola phaser.
T’Mir alzò le braccia in segno di resa. Sentiva che la ferita si era di nuovo aperta, probabilmente in conseguenza alla fucilata. Sentiva il sangue scorrerle fino al gomito e inzuppare la divisa. Sangue rosso. Sangue umano, come il suo temperamento. Scherzosamente, Phlox aveva detto che sangue umano e sangue vulcaniano erano esattamente dello stesso colore.... agli occhi di un daltonico. T’Mir cercò di trarre forza da quei ricordi. Si alzò in piedi. «/Avete fatto un patto di alleanza con gli umani. E quindi anche con i vulcaniani./»
«/È qui che ti sbagli, *capitano*./» sottolineò il grado. «/Noi Xindi abbiamo un patto con gli umani nel nostro universo. Non con questi. E solo il fatto che tu sia qui, è indicativo che anche i vulcaniani sono mancati a quel patto./»
«/Io non ho sparato alla vostra nave./»
«/Ti trovi al di fuori della giurisdizione vulcaniana del nostro universo./»
«/Anche voi mi sembra. Io facevo un viaggio di piacere, qual è la vostra scusa?/» replicò lei. «/Cessate l’attacco. Questi umani non verranno mai nel nostro universo a darvi fastidio. Inoltre conoscono il vostro punto scoperto./»
Il capitano Xindi rise. «/Sei così ingenua. È uno scambio tra “fratelli” Xindi di universi diversi. Loro fanno un favore a noi, e noi a loro./»
«/Siete più avanzati di trent’anni. Cosa mai potrebbero avere di così importante per voi?/» In realtà lei lo sapeva. Materiali che nel loro universo non c’erano, come ad esempio distese di trellium-D con cui marcare confini che non volevano fossero oltrepassati da ficcanaso vulcaniani. Nel suo universo e nell’epoca da cui veniva, T’Mir sapeva che era uno elemento molto raro. Soval aveva scoperto che carichi di trellium-D venivano fatti passare nel loro universo, rischiando di mettere a repentaglio l’equilibrio del multiverso.
«/Sono cazzi nostri./» Lo Xindi alzò di nuovo la pistola phaser e sparò.

«Non posso credere che T’Mir gli abbia dato le nostre frequenze!» disse Tucker. «Non è possibile!»
«Signore.» Sato alzò lo sguardo sul capitano. «Stanno chiamando ancora.»
Lo Xindi riapparve sullo schermo.
«Avete deciso per la resa, capitano Archer?»
Lui lo fissò. Sembrava fin troppo civile. «No.»
«Se ci sparate, ucciderete una di voi.»
T’Mir apparve sullo schermo, intrappolata tra due Xindi. Era viva, ma aveva molte più ferite della prima volta che l’avevano vista. Sembrava sfinita e il fucile phaser puntato alla testa non migliorava il suo aspetto.
«Non è una di noi.» disse Archer.
T’Mir chiuse gli occhi. Avrebbe voluto svanire.
«Certo che lo è.» rispose l’altro. Doveva stare molto attento. Aveva immaginato che gli umani conoscessero il punto debole della sua nave, così come T’Mir aveva insinuato. E difatti poteva ben essere così, dato che lei lo aveva sfruttato proprio per teletrasportarsi. «Risolviamo la cosa pacificamente.»
Archer lasciò andare una risata sardonica. Proprio loro parlavano di “pace”?!
«Stiamo crackando il codice della vostra polarizzazione, abbiamo armi più nuove di trent’anni. Non ci teniamo a uccidervi tutti. Vogliamo solo che ci consegnate il comandante Charles Tucker e il subcomandante T’Pol. Gli altri potranno andarsene senza problemi.»
T’Mir alzò la testa, puntando lo sguardo verso la parte più a sinistra dello schermo. «Malcolm, ricordati....!» Un colpo sul fianco la fece tacere.
Archer scosse la testa. «No.»
«Allora mi sa che la piccola Tucker IV farà una brutta fine.» Si rivolse alla guardia. «Diamogli un assaggio. Sparatele.»
«No!» urlò Trip. «Lasciatela stare!»
T’Mir cacciò un urlò peggiore di quelli che avevano sentito in infermeria e cadde a terra.
«Allora, cosa vogliono fare mammina e papino?»
Hoshi e Travis si girarono verso Trip. Anche nella disperazione di quella situazione non potevano far a meno di essere profondamente stupiti.
«Verrò io.» disse Trip.
«No.» Archer si girò. Ok, ora era abbastanza chiaro che T’Mir non fosse una spia, ma rimanevano comunque molti dubbi.
«Vogliamo entrambi.» disse lo Xindi.
«Capitano.» disse T’Pol, alzandosi.
«Restate ai vostri posti. È un ordine.»
T’Mir si tirò faticosamente a sedere. «/Fatemi parlare con loro./» disse. «/Senza bloccarmi. Mi ascolteranno./»
«/No./» rispose secco il rettile.
«T’Mir parla Xindi rettile?» sussurrò Sato.
«È una delle tante cose che dovrà spiegarci.» replicò Archer. «Cercate di agganciarla col teletrasporto.»
Malcolm scosse la testa. «È sotto gli scudi.»
«/C’era un accordo tra di noi./» proseguì T’Mir, parlando con il rettile. Si tirò in piedi, appoggiandosi alla consolle. Dietro di lei, le guardie spianarono di nuovo le armi.
«Allora, capitano Archer. Avete deciso? L’intera nave più questo ibrido, o solo i due?»
Lui scosse la testa. «La sua proposta non è accettabile.»
T’Mir, chiuse gli occhi e, senza farsi notare dagli Xindi, infilò la mano nel taglio della divisa. Le bastava una semplice, veloce mossa.... Era molto più difficile sopportare il dolore che doveva procurarsi da sola. Aveva sempre la tentazione di ritrarre la mano. Ma finalmente ce la fece. Alzò di colpo il braccio, mostrando quello che aveva detto a Phlox essere uno stimolatore osteogenico.
Le guardie fecero per sparare, ma il capitano li fermò. Si alzò in piedi, tenendo la pistola puntata contro di lei. «/Reinfilatela da dove l’hai tolta./»
«-Ponfo mirann.-» Sorrise. «/No, stronzo. Ed è quello che pensi. Una bomba V miniaturizzata./»
«/Non è ancora attivata./»
«/Credi che sia così idiota da portarmi a dietro una bomba che sarà creata tra solo quarant’anni?/»
Il capitano rettile sembrò agitarsi.
«/Le incursioni temporali degli scagnozzi di Soval arrivano ben oltre il 2194. Questa la chiamano bomba Garth./» T’Mir rise. «/Potevo semplicemente farmela esplodere nel braccio, attivandola. Ma ho preferito darvi una chance: esploderà in due minuti, da quando non sarà più a contatto con me. Forse, se vi affrettate e ci premete sopra tutti e quattro assieme, avrete tempo di disinnescarla./»
«/Disattivala tu./» disse lui.
«/E perché mai? Volete uccidere i miei genitori. Non ho comunque speranze di uscire da qui. O esplodo con la bomba, o mi uccidete voi. Ma avete tempo di pensarci, finché l’ho in mano./» La alzò più in alto. «/C’è un altro problemino. Dopo che l’avrò lanciata, in dieci secondi esploderà una microgranata a stordimento, abbastanza forte per impedirvi di sentire dolore dopo./»
«/Disinnescala subito!/» urlò lo Xindi.
«^Provaci tu, testa di cazzo!^» esclamò T’Mir in italiano e la lanciò il più distante possibile, sul fondo del ponte di comando. Tutti e quattro gli Xindi mollarono le armi e la sorveglianza su di lei per correre verso la bomba. T’Mir si girò e si mise a correre verso il punto debole della nave. Forse, se faceva in fretta, qualcuno dell’Enterprise, avrebbe potuto riteletrasoprtarla indietro, per lo meno solo per il gusto di convocarla davanti a una corte marziale.
Ma la microgranata a stordimento esplose. T’Mir urlò e cadde a terra, priva di sensi.
Archer vide gli Xindi cadere al suolo storditi. «Al teletrasporto!» ordinò e Trip, T’Pol e Malcolm non se lo fecero ripetere due volte.
«Deve esserci un punto debole nei loro schermi.... ma lei ne è fuori, merda!» urlò Tucker. «Non posso agganciarla. Teletrasportatemi là.»
«Andrò a prenderla io.» disse T’Pol, correndo verso la piattaforma.
«No!» Malcolm salì per primo. «Forza, in fretta, mandate me!»
Trip lo prese per un braccio, mentre con l’altro fermò Archer. «È *mia* figlia, è mio dovere andare a prenderla!»
Reed gli diede uno spintone. «Scusa Trip, ma T’Mir mi ha fatto promettere di difendervi. Tutti e due. Quindi tocca a me.»
T’Pol e Trip si scambiarono uno sguardo meravigliato.
«Veloci!» urlò Malcolm.
Tucker annuì. «Riportamela indietro.» disse, mentre dava energia.
Malcolm, riapparso sotto il punto debole della nave Xindi, guardò in fondo al corridoio. T’Mir era stesa a terra a meno di dieci metri da lui. Corse avanti e la girò sulla schiena. «T’Mir?» La ragazza non rispose. La prese in braccio, la sentiva pesante, abbandonata. Corse verso il punto debole.
«Riportali qui in fretta!» disse Archer a Trip.
Reed, con in braccio T’Mir, si rimaterializzò davanti a loro. Il tenente alzò lo sguardo sui genitori della ragazza. «Non mi risponde....» Il suo sussurro fu interrotto dallo scoppio della nave Xindi. L’onda d’urto fece rovesciare sul fianco l’Enterprise, tutti caddero a terra. Ma, passato il fronte d’onda, tornò la calma. Troppa calma. Trip si alzò da terra e corse sulla piattaforma.
«Non si muove.» disse Malcolm. «Sta perdendo molto sangue.»
Tucker la prese in braccio. «Portiamola subito da Phlox!» Non gli era mai sembrato che ci volesse così tanto tempo dal teletrasporto all’infermeria. «Phlox!» urlò entrando.
«La metta sul lettino!» esclamò lui.
Trip appoggiò T’Mir al lettino. Il suo corpo era completamente abbandonato. Il braccio sinistro cadde oltre la sponda, gocce di sangue rosso punteggiarono il pavimento pulito. Phlox le prese la mano. «Le hanno completamente riaperto la ferita!» esclamò. «Chi ha fatto questo è un vero macellaio!»
Trip si chinò sulla figlia, baciandola ripetutamente sul viso. «T’Mir, ti prego.... resisti....»
Phlox aprì la divisa della ragazza. «È piena di ustioni da phaser.» Indicò dietro Archer. «Mi passi quelle garze.»
«Dottore, faccia qualcosa.» Trip era ormai in preda al panico.
«Portatelo fuori di qui!» esclamò Phlox.
«No! Voglio rimanere qui con lei!»
«Comandante, lei mi sta impedendo di lavorare!»
T’Pol prese per un braccio Trip, tirandolo. «Andiamo, o peggioreremo la situazione.»
«Ma io voglio stare qui con lei.» disse.
«Così daremo solo fastidio.» Trascinò Trip fuori dall’infermeria.
Phlox finì di fasciare il braccio. «Ha perso molto sangue. Dovrò sintetizzarne al più presto.»
Archer guardò la ragazza e rabbrividì vedendo le ustioni da phaser. Generalmente le pistole provocavano un lieve rossore, puntate sullo stordimento. Sembrava che avessero sparato per ucciderla.

Tucker si fermò in mezzo al corridoio. «Andiamo nel suo alloggio.» disse.
T’Pol stava per dirgli che era meglio evitare, ma ormai lui aveva preso la strada. Lo seguì senza parlare.
«Guarda.» disse Trip, entrando nella stanza di T’Mir. Si accovacciò vicino al letto. A terra c’erano la benda insanguinata e i punti tagliati.
T’Pol si chinò accanto a lui, guardando sul letto. C’erano un tronchese e un paio di forbici. Prese il primo e lo osservò. C’erano macchie di sangue sulle lame.
Tucker scosse la testa. «Ma che cosa ha fatto?»
«Si è riaperta l’incisione che Phlox le aveva fatto.» spiegò lei.
«Da sola? E perché?»
«Per sfilarsi la bomba mentre era sulla nave Xindi.»
Trip sospirò. Si mise a sedere sul letto. «Non capisco.... sembrava.... quasi amica di quei bastardi.»
T’Pol si sedette accanto a lui. «Li ha fatti saltare in aria però, per difenderci.»
Lui scosse la testa. «La microgranata a stordimento che ha lanciato.... se fosse.... letale per lei?»
T’Pol chiuse gli occhi. «Non possiamo saperlo.»
L’ingegnere si girò e abbracciò T’Pol. «Non voglio perderla.»
«Non poteva durare a lungo, Trip. Sapevamo fin dall’inizio che prima o poi l’avremmo persa....»
«Un conto è perderla se torna a casa sua.... un altro è....»
T’Pol gli mise le mise sulle spalle. «Phlox è un ottimo medico.»
Trip chiuse gli occhi e due lacrime gli rigarono le guance. «Io amo quella ragazza.... perché è nostra figlia.... Non posso perdere anche lei.»

«Non ce la faccio più, l’attesa è troppo lunga.»
T’Pol abbassò lo sguardo. Erano semidistesi sul letto di T’Mir, Trip aveva il capo appoggiato al petto di T’Pol e gli occhi gonfi.
«In realtà non sono passati più di dieci minuti.»
Trip chiuse gli occhi. «Quanto ci vorrà, ancora?» Mai avrebbe immaginato di non veder l’ora di lasciare quella posizione. T’Mir gli aveva fatto fare e dire cose che non si era mai immaginato.
Anche T’Pol la pensava allo stesso modo. «Non lo so.» Chiuse gli occhi e appoggiò la guancia ai capelli di Trip.
Come Vulcaniana poteva contare esattamente lo scorrere del tempo, ma ciò non migliorava la situazione.
L’interfono trillò e prima ancora che la voce di Phlox li chiamasse, Trip e T’Pol erano già fuori dalla stanza.
«Le ho curato le ferite.» disse Phlox. «Ma è ancora molto debole....»
Trip scostò appena la tenda. «Cosa succederà?» chiese.
Phlox sospirò. «È presto per dirlo. Devo sintetizzare il suo sangue, ne ha perso molto.»
«T’Mir mi ha detto di avere sangue umano. Posso dargliene io.»
Nel frattempo, T’Pol si era avvicinata al letto, in completo silenzio, senza quasi che nessuno la notasse. Si sedette e senza toccare nulla, rimase a guardare la figlia.
Phlox scosse la testa e tirò la tenda, per lasciare T’Mir più tranquilla. «Non sono sicuro che sia esattamente sangue umano.» disse Phlox. «Certo, è rosso, ma potrebbe non essere compatibile.»
«Faccia delle analisi.» Gli porse il braccio.
Phlox mise il sangue di Tucker sotto il microscopio a neutroni, quindi alzò lo sguardo stupito. «Comandante, lei è A positivo.»
«Sì, è giusto.» Trip buttò il cotone idrofilo in un cestino.
Il medico scosse leggermente la testa. Riprese a usare il microscopio. «E il sangue di T’Mir è B positivo.»
«Ci dev’essere un errore.» Sentiva che il panico stava riprendendo.
«No, non siete compatibili. Ho esaminato due volte entrambi i campioni. Non posso più perdere tempo su questo, devo sintetizzarlo.»
Trip scosse leggermente la testa e s’infilò silenziosamente nel vano dove T’Mir riposava. La guardò. Aveva la sua manualità. Ma poteva essere un tratto acquisito. Perché mentirgli?
Mentre Phlox era al lavoro, il capitano Archer restò a fissare i risultati delle analisi. Che la T’Pol dell’altro universo avesse mentito sia a Trip che a sua figlia? Si avvicinò al vano e guardò attraverso la tenda leggermente scostata. T’Mir era B positivo. Archer B negativo. L’ipotesi, per lui, era abbastanza raccapricciante.
«È stato più facile di quanto speravo!» disse Phlox e corse ad attaccare la fiala di sangue a T’Mir.
«Ma i suoi segni vitali....» sussurrò T’Pol. «....non stanno migliorando, come dovrebbero.»
Phlox scosse leggermente la testa. «Per ora è normale. T’Mir è andata in.... autocura.»
«E cosa vuol dire?» chiese Tucker, quasi sottovoce.
«È un profondo stato di trance.» rispose T’Pol. «Serve per concentrare tutte le energie sulla parte ferita per accelerarne la guarigione. È cosciente?» chiese a Phlox.
«È quello che accade generalmente in autocura, sì, ma dubito che in effetti T’Mir lo sia.»
«Quindi è una cosa positiva?» domandò Archer.
«Dipende.» disse Phlox. «T’Mir ha subito gravi danni e per quanti io sia riuscito a medicarne, la sua fisiologia è unica. Non ci resta che aspettare le prossime ore.»
Tucker si sedette accanto a lei e appoggiò dolcemente una mano sul suo viso. «T’Mir, cerca di guarire.... perché abbiamo tante cose ancora da dirci.»

«Allora cosa c’è?» sussurrò T’Pol.
Trip si girò verso di lei. Anche se sapeva che era assurdo, percepiva un vago senso di tradimento. «Phlox dice che il mio sangue e quello di T’Mir.... non sono compatibili.»
T’Pol socchiuse gli occhi. «È frequente.»
Lui scosse leggermente la testa. «In questo caso.... lei è B e io A.»
«Stai pensando che lei non è tua figlia.» disse T’Pol. Trip avrebbe potuto giurare che c’era un’ombra di tedio nella sua voce.
«È quello che appare.»
La vulcaniana alzò un sopracciglio. «È illogico.»
Tucker le rivolse uno sguardo ostile, ma la sua voce rimase un sussurro. «Davvero?! T’Mir ha preso il sangue umano.»
«Phlox ha fatto indagini genetiche che confermano la versione di T’Mir.»
Trip dovette darle ragione. La genetica non mente. «Come te la spieghi l’incongruenza del tipo di sangue?»
«Credo che su questa cosa tu sia l’unico che sta andando in paranoia. Il mio sangue è di gruppo P e per quello di cui sono a conoscenza della fisiologia umana, è molto simile a vostro B. Evidentemente il sangue di T’Mir è misto più di quanto non avessimo pensato in precedenza.»
Lui si sentì un po’ sollevato. Per una volta la logica di T’Pol era a suo favore.
«Possiamo sempre chiedere a Phlox di ripetere gli esami.»
«Incrociandoli anche con quelli di Archer?» sussurrò lui.
T’Pol gli lanciò uno sguardo di sussiego. «Se per te è così importante, ma io reputo tutto ciò una perdita di tempo.»
«In che senso?»
Lei si girò di scatto verso di lui, avvicinandosi tanto che Trip poteva sentire il suo respiro leggero sul viso. «T’Mir è nostra figlia. Mia e tua. Ora basta.» Seppur in un sussurro, il suo tono non permetteva repliche.

Il leggero ronzio dello scanner attirò subito l’attenzione di T’Pol. Tucker si era addormentato sul bordo del letto di T’Mir, tenendole la mano. La Vulcaniana alzò lo sguardo sul monitor. L’aveva osservato poco prima e aveva già notato che i segni vitali era scesi rispetto a un’ora prima. Si alzò e uscì dalla tenda. «Dottor Phlox?»
Il medico indicò sullo schermo. «Ho rifatto le analisi del sangue come mi aveva chiesto e ha ragione: T’Mir ha preso il gruppo sanguigno da lei. Non avevo mai visto una cosa del genere, in effetti T’Mir è un individuo molto particolare da--»
«PHLOX!»
Il medico trasalì e si girò verso la donna.
«I segni vitali di T’Mir stanno peggiorando.»
Lui entrò nel vano e guardò il monitor. «È strano. In autocura dovevano migliorare....»
Trip sbatté le palpebre e alzò lo sguardo. «Cosa c’è?» chiese, ma venne ignorato.
«Sembra che....» Phlox scosse la testa. «Temo che T’Mir non sappia uscire da sola dall’autocura.»
«So che può essere pericolosa....» sussurrò T’Pol.
Il medico prese per le spalle T’Mir, scuotendola violentemente. «T’Mir! Svegliati!»
«Ma cosa sta facendo?!» esclamò Trip.
«Non riesce a sentirmi.» disse Phlox.
«Posso farmi sentire io.» T’Pol si sedette sul bordo del letto. Non era semplice vivere con questa ragazza, pensò. Nel giro dei pochi giorni che era stata sull’Enterprise, quella era la terza fusione mentale che doveva fare. Sentì un senso di smarrimento, quando si ritrovò su una spiaggia. Si guardò in giro, ma sembrava deserta. Camminò velocemente fino alla battigia, da dove poteva avere una visione più ampia del luogo. Non sapeva che si potesse essere in fusione mentale con una persona senza vederla. «T’Mir!» chiamò. Ma nessuno rispose. «T’Mir, dove sei?» Poi vide una palma. Corse in quella direzione e quando arrivò vicina, vide la figlia rannicchiata ai piedi della pianta.
Aveva l’aspetto con cui l’aveva conosciuta, ma sembra più piccola. Sembrava una quattordicenne.
«T’Mir.» sussurrò, chinandosi accanto a lei. «Hai perso la strada del ritorno. Vieni, ti porto fuori.»
«No....» sussurrò lei. «I miei genitori sono morti. E loro mi hanno rapito. Non voglio uscire di qui. Loro mi fanno male, mi tagliano e mi toccano e mi fanno fare cose che non voglio.»
T’Pol le mise una mano sulla spalla. «No, non è più così, ora sei al sicuro. E noi ci siamo, siamo qui con te.»
T’Mir alzò lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime. «Io non voglio andarmene di qui. Perché quando mi sveglierò, dovrò tornare nel mio universo, dove voi non ci siete.»
La Vulcaniana scosse leggermente la testa. «Ma se resti qui, rischi di morire....»
«Meglio la morte che un universo senza di voi.»
T’Pol scosse la testa e abbracciò la figlia, tirandola verso di sé. «Nel nostro universo dobbiamo dirci ancora tante cose, T’Mir. Non puoi restare qui. Andiamo.»
Lei scosse la testa. «Non voglio.»
«Tuo padre ha già perso una sorella. Come pensi che si sentirebbe a perdere anche te?»
T’Mir non rispose.
La donna si alzò in piedi e prese la mano alla figlia, tirandola verso di sé. «Dai, andiamo.»
Lei si alzò lentamente. «Ti piace questo posto?» sussurrò.
«Sì, è molto bello.»
«È qui che vengo quando medito....»
T’Pol aprì lentamente gli occhi.
«Sta funzionando.» disse Phlox, tenendo un tricorder medico vicino a T’Mir e controllando contemporaneamente il monitor.
«Perché non è ancora sveglia?» chiese Tucker.
«Be’, ora dovrebbe essere semplice destarla del tutto....» Phlox piazzò il tricorder in mano a T’Pol e diede a T’Mir uno schiaffone tale da far urlare Trip: «Ma cosa sta facendo?!» Saltò in piedi, ma fu fermato da T’Pol, che gli mise una mano sul petto. «È necessario un forte stimolo.» disse lei.
«E non c’è altro modo?!» Tucker guardò sconcertato Phlox che tirava alla ragazza un secondo schiaffo. «Basta!»
T’Mir aprì lentamente gli occhi.
«Ha funzionato.» disse T’Pol.
La ragazza emise un forte gemito di dolore. «Sono caduta sul collettore?»
Phlox le sorrise. «Bentornata.»
Questa volta Trip non si fece fermare. Arrivò dalla figlia e la baciò sulla fronte. «T’Mir!»
«Pa’....» fece lei. «Ciao....»
«Come ti senti?» chiese T’Pol.
«Ho molte ustioni?» chiese lei.
«Svariate ferite da phaser.» rispose la donna.
«Aah....» T’Mir si lamentò, cercando di muoversi. «Giuro che se potessi mi farei di ecstasy....»
«Ecstasy?» chiese Trip.
Lei annuì ed emise un altro gemito. «Mi giri sul fianco, papi?»
«Certo.» disse lui, infilando una mano delicatamente sotto di lei per girarla. «Ma l’ecstasy....?»
«Mi rimbambisce e mi toglie il dolore.» spiegò lei.
Trip si girò verso T’Pol e lei scrollò leggermente le spalle.
«E perché non ce l’hai detto prima?»
«L’ecstasy mi manda a cagare i neuroni.»
Archer aprì la tenda di scatto: Phlox l’aveva chiamato e lui era corso in infermeria dal ponte di comando. «T’Mir! Come stai?»
«Oh capitano, mio capitano!» proclamò lei. «Cosa posso offrirti per non farmi portare davanti alla corte marziale? Cinque lingotti d’oro?»
Lui rise. «Mi sembra che tu stia bene.»
«Sì, be’, a parte la pelle a 451°F....»
Phlox scosse la testa. «La tua temperatura è nettamente inferiore.» disse. «I 33°C canonici vulcaniani.»
T’Mir sbatté le palpebre leggermente. «Com’è che sono qui? Ricordo che la microgranata a stordimento è esplosa quando ero ancora sulla nave Xindi.»
«Quello sì che è un buon anestetico per te.» disse Phlox.
«Malcolm ti ha raggiunto e portato via.» le rispose Archer, abbassandosi accanto al letto. «Certo che ci hai fatto penare tutti quanti.»
Lei gli sorrise. «Scusa.» Chiuse gli occhi. Più di tutto sentiva bruciare la pelle della schiena. «È tutto a posto ora?»
«La nave Xindi è esplosa poco dopo che tu e Malcolm siete tornati a bordo.» spiegò Trip.
«Certo, ci sono molte cose che ancora rimangono.... poco chiare.» disse Archer. «Ma non parlerei di corte marziale.»
T’Mir sospirò. «Lo so. Mi dispiace avervi tenuto nascosto tutto....»
«Non tutto.» fece Phlox. «Giusto che quella nave Xindi del tuo universo stava per farci a pezzi.»
«Ho cercato di convincerli a fare dietro-front.» disse lei. «Ma la diplomazia non è il mio forte.» Sorrise e, come tutti gli altri, guardarono Trip.
«Perché mi fissate?» chiese lui. Scrollò le spalle. «Come hai imparato la lingua Xindi rettile?»
«Hoshi.» disse lei. «Era il nostro codice segreto. Una lingua strana che solo io e lei parlavamo sull’Enterprise.»
«Sembrava quasi che tu conoscessi l’equipaggio.»
«Conoscevo abbastanza bene il capitano. Abbiamo fatto il corso di volo assieme all’Accademia.»
«Xindi e umani sono alleati?» chiese Archer.
«Sì, nel futuro da cui vengo io.»
«Hai detto.... assieme? A uno Xindi?» Trip si sentiva già contorcere lo stomaco.
«Sì, assieme nel corso, papi.» precisò lei. «E se ve lo state chiedendo tutti, no, non sono mai stata con uno Xindi. Nemmeno con uno Xindi umanoide.»
Trip rise e diede un ennesimo bacio a T’Mir. «Certo che hai rischiato grosso.»
«Sì, ma m’è andata bene. Secondo il progetto di Soval, non dovrei essere qui.»
«Era una missione suicida.» disse T’Pol. «Ma non ne vedo la logica.»
T’Mir le lanciò uno sguardo: “Non avevo dubbi”. «Sapevamo che quella nave Xindi sarebbe venuta in questo universo, per uccidere voi due. Uno scambio di favori tra gli Xindi del mio universo e quello del vostro. Ero la miglior candidata a questa missione. Sono motivata, conoscevo il capitano, parlo Xindi rettile, conosco l’Enterprise.... Dovevamo fermarla o vi avrebbe ucciso entrambi. Sapendo che mi avrebbero perquisito, l’unico modo era quello di utilizzare un’arma sottocutanea. Quando Phlox mi ha riaperto il braccio, ho pensato che forse ce l’avrei fatta anche a salvarmi.»
Trip scosse la testa. «Ma non ha senso. Hai rischiato di farti uccidere, solo per salvare noi due?»
«Né io né tuo padre» proseguì T’Pol. «crediamo che sia corretto.... non siamo più importanti di te.»
T’Mir sospirò. «Per me sì.... per la storia.... voi forse no. Ma Lorian sì.»
La Vulcaniana fissò la ragazza. «Chi.... chi è Lorian?»
Archer poté giurare di aver sentito stupore nella sua voce.
«Lorian è.... è mio fratello.»

Trip suonò per la quarta volta il campanello. Preoccupato, entrò nella camera di T’Pol. Sentiva il rumore della doccia, ma T’Pol sembrava esserci sotto da quasi un’ora.
«T’Pol?» Entrò nel bagno. Non c’era caldo. «Ma che diavolo....!» Entrò nella doccia e chiuse l’acqua. «Ma sei pazza a stare sotto l’acqua così gelida?!»
«Puoi uscire, per favore?» disse T’Pol, seduta sul pavimento della doccia, le gambe piegate e le braccia sulle ginocchia.
Trip scosse la testa e recuperò un salviettone per avvolgerci la Vulcaniana. «Cosa c’è che non va?»
«Vattene, per favore.»
«Mi spieghi perché ti stavi facendo una doccia gelata?»
«Avevo bisogno di calmarmi.»
Trip alzò gli occhi al cielo. “Agitato” per un Vulcaniano era più o meno come “addormentato” per un terrestre.
Dopo la rivelazione che, in effetti, Trip e T’Pol avrebbe avuto un figlio - *almeno* un figlio - anche in quell’universo, T’Mir aveva detto che Soval l’avrebbe fatta a pezzi (con calma e tranquillità, utilizzando un metodo logico) se gli avesse rivelato di più. L’idea della vanificazione degli sforzi delle ultime ore per tenerla in vita aveva imposto di cambiare discorso.
«Non capisco perché ti ha fatto così effetto. Apparsa T’Mir potevamo giusto intuire che forse, anche qui, avremmo....»
«Per favore, vai via.» ripeté T’Pol.
«Non mi sembra che tu stia bene. Vorrei sapere perché.»
Lei sospirò e alzò lo sguardo. «Quando fui promessa sposa a Koss, io avevo detto che avrei voluto chiamare mio figlio Lorian, come mio padre.» (NdM: Questo me lo sono inventato di sana pianta.)
«Credo che questa sia un’altra prova che T’Mir non mente.» Le sorrise. «Comunque, da quel che ho capito, Lorian è destinato a grandi cose. Per questo T’Mir doveva impedire che noi venissimo uccisi dagli Xindi del suo universo.... e per questo ha fatto promettere a Malcolm di difenderci.»
T’Pol annuì leggermente. Poi alzò la testa. «Sono calma. Puoi uscire, ora?»
Trip alzò gli occhi al cielo. «Va bene, me ne vado. Ma solo perché ho un’altra Vulcaniana da coccolare.»

T’Mir, seduta nel letto nell’infermeria, stava giocherellando con l’iPod, quando sentì qualcuno tossire leggermente per annunciarsi. Alzò lo sguardo verso la tenda e vide Malcolm. «Ehi, ciao!» esclamò, tendendo le braccia verso di lui.
«Ciao.» disse Reed, senza però fare alcun passo verso di lei.
«Grazie per aver mantenuto la promessa.» disse T’Mir. «E per aver rischiato la tua vita per salvarmi.»
Lui finalmente si avvicinò. «Dovere.»
«Eh dai, vieni ad abbracciarmi!» esclamò lei. «Fai piano, però, ho ustioni da phaser sul petto, sulla schiena, sulle braccia.... insomma un po’ ovunque.»
Malcolm fece scorrere le mani lentamente intorno alle sue spalle. Era un po’ difficile e per lui anche imbarazzante.
«Mmhmm.... no, non vien bene.» disse T’Mir. «Conviene che mi baci.»
Reed si tirò indietro e si guardò intorno. «No, forse.... non è il caso.»
«I miei genitori non ti hanno fatto qualcosa, vero?»
Malcolm abbassò lo sguardo. «Mhm.... no.»
«Non devi difenderli anche da me. Non era quello che intendevo con la promessa che ti ho strappato.»
Lui rise nervosamente. «Mi hanno detto che.... che mi avrebbero ucciso, se ti avessi fatta soffrire. A questo punto preferirei vedermela con T’Pol: lei mi ha promesso di uccidermi con una pistola phaser.... Trip ha detto che mi avrebbe fatto morire lentamente.»
Lei rise. Se la immaginava T’Pol, tranquillamente in piedi dietro Reed, mentre gli faceva con calma quella promessa. «Tu non mi hai fatto soffrire.» Lo prese per un braccio e lo tirò verso di sé. Velocemente gli mise una mano dietro la nuca e lo fece abbassare per baciarlo.
Malcolm le prese il viso tra le mani, assaporando quegli attimi di dolcezza e sperando che nessuno entrasse in quel momento.
«Tu devi divertirti di più.» disse T’Mir. «Spero che.... non sarò io quella che ti farà soffrire.»
«Per che ragione?» Malcolm si ritirò dritto.
«Disturbo?»
Il tenente si girò verso la tenda, dove era apparso Archer.
«No.» disse lui. «Stavo per andare.» Sorrise a T’Mir e si dileguò oltre la tenda.
«Tutto bene?»
Lei annuì leggermente. «Sei venuto a darmi cattive notizie, vero?»
Jonathan si sedette sul bordo del letto. «Non so se.... siano proprio definibili come “cattive”.»
T’Mir si lasciò andare indietro contro il cuscino, facendo attenzione appoggiare la spalla e non la schiena. «Soval.»
Archer annuì. «Abbiamo il rendezvous con la sua nave tra due giorni.»
«Due giorni.... Nemmeno il tempo di riprendere fiato.» T’Mir sospirò. «Non voglio tornare in quell’universo. Fa schifo.»
Lui annuì. «Lo so.» Le prese la mano. «Posso darti un incarico su questa nave. Possiamo trovare una scusa per farti stare qui.»
T’Mir scosse la testa. «Tutta la missione sulla Verne doveva durare soltanto otto giorni. Era poco realistico pensare che potesse continuare all'infinito.»
Quelle parole gli suonarono familiari, ma sapeva che aveva ragione. Il capitano annuì. «Mi mancherai.... e non solo a me. Però.... stavo pensando a una cosa. In questo momento, in questo universo, ci sono l’ambasciatore Soval del mio universo e l’ammiraglio Soval del tuo. Due Soval in un solo universo.»
T’Mir scoppiò a ridere. «Mi stai dando una buona ragione per tornarmene nel mio universo?» Lo abbracciò. «Potrei chiederti un favore? Un ultimo favore?»
«Certo. Che cosa?» chiese lui.
«C’è un pianeta di classe Minshara a poca distanza da qui. Non è abitato, ma ha un bellissimo mare turchese.»
«Non so se, facendo una deviazione, arriveremo in tempo al rendezvous.»
T’Mir scosse la testa. «Dobbiamo arrivare con almeno due ore di ritardo.» disse. «Altrimenti Soval penserà che mi avete fatto il lavaggio del cervello.»

Trip guardò con apprensione la superficie piatta e turchese del grande mare. «Dov’è T’Mir?»
T’Pol fece un passo in avanti, entrando coi piedi in acqua. «Non la vedo.»
La ragazza riemerse di colpo e sorrise ai tre rimasti sulla battigia. «Dai, venite! È bellissima, è calda!»
Trip lanciò un sorriso a T’Pol e Archer. «Come si può resistere a un invito così?» Corse in acqua e raggiunse la figlia. «Così abbiamo recuperato anche questo.» le disse. T’Mir lo abbracciò, baciandolo sulla guancia. «Ti voglio bene.» disse. «E niente potrà mai cambiare questo fatto.»
Trip le sorrise. «Anch’io.» La strinse a sé e chiuse gli occhi. Erano passati pochi giorni dal momento in cui era entrata nella sua vita, sopra il motore a curvatura. Ma la sentiva così vicina, così sua figlia. «Mi mancherai.»
Archer guardò T’Pol. «Che fa, non entra?»
«I bagni in mare non sono esattamente un tipo di ricreazione vulcaniana.»
«Subcomandante, non mi dica che non sa nuotare.» Archer le sorrise.
«Nuoto in tutti gli stili vulcaniani e ne conosco anche diversi terrestri.» sottolineò lei.
«Allora cosa aspetta a entrare?» Senza attendere una risposta, Jonathan entrò in acqua. La ragazza aveva ragione, era calda.
T’Mir smise di giocare in acqua con Trip e nuotò verso riva. «Cosa aspetti a entrare?» Prese per mano la donna e insieme entrarono. «Senti che è calda.»
T’Pol annuì. «Come quella del mare di Vulcano.»
T’Mir lanciò uno sguardo per vedere dove fossero i due uomini. Erano abbastanza lontano da loro e sembrava stessero mimando una partita di pallanuoto - senza palla. «Devo dirti una cosa. Ma.... ho bisogno che rimanga tra noi. Non dirlo a papà.... né a Jonathan, né a.... a Malcolm o agli altri.»
«Un segreto, insomma.» disse T’Pol
«-M’aih.... i k'kan.-»
T’Pol lanciò un’occhiata ai due uomini e poi riportò l’attenzione su T’Mir. «È di Malcolm?»
«Sì.... Dopo tutti questi anni passati con quell’attivatore nel braccio, io non.... non credevo di potere aver figli. Sono un ibrido e gli ibridi di solito sono sterili.... È una bella notizia per me.»
«Ne sei contenta?»
«-Ah, m’aih.- Sì, madre.»
La vulcaniana prese il volto della figlia delicatamente tra le mani. «Abbi cura di te.... e di lui.»
«Lei.» precisò T’Mir. «È una femmina.» Sorrise. «Charline T’Pol Tucker.»
T’Pol la baciò sulla guancia. «Mi mancherai.»
La figlia annuì. «Anche tu.»
«Allora, la smettete di spettegolare e vi unite a noi?!» urlò Trip, da lontano.
Lei rise, fece per girarsi, ma la Vulcaniana le prese la mano sott’acqua. «Sii felice.»
T’Mir poté vedere un lieve, veloce sorriso sul viso di T’Pol.
Ora poteva tornare a casa. Aveva concluso anche la sua seconda missione: far sorridere T’Pol.

T’Mir chiuse la borsa. Si guardò in giro in quella che era stata, per pochi giorni, la sua camera su quell’Enterprise di due anni prima che lei stessa nascesse. Aveva recuperato quel poco che aveva salvato dall’attacco alla Verne.
Uscì dalla sua stanza e percorse il corridoio fino alla porta di Malcolm. Esitò qualche istante a suonare, poi entrò.
«Ciao.» le sorrise lui. «So che sei in partenza.... volevo venirti a salutare, ma vedo che sei qui tu.»
«So che non ti piacciono gli addii.... per questo sono qui.» T’Mir lo abbracciò. «Mi mancherai tanto che romperò in continuazione le palle a Soval per tornare qui.»
Reed la tenne stretta a sé. «Anche tu mi mancherai.»
La ragazza appoggiò la fronte al suo collo. «Non mi dimenticare.»
«Non potrei mai. Non mi dimenticare nemmeno tu.»
T’Mir sorrise, pensando alla piccola vita che stava crescendo dentro di lei. «Sarebbe impossibile.»
Si allontanò lentamente, tenendogli la mano finché non fu troppo lontana per mantenere il contatto. «A presto.» sussurrò. Gli mandò un bacio a distanza, quindi uscì. Raccolse la borsa e andò verso i portelli di attracco. La nave di Soval si stava agganciando alla loro e Archer, T’Pol e Trip erano in piedi vicino al portello attendendo la fine delle manovre e l’arrivo di T’Mir.
Lei appoggiò la borsa a terra e sospirò. «Così il momento dei saluti è arrivato.» sussurrò. Soval aveva ragione: era doloroso doversene andare. Si girò verso Archer. «Mi mancherai, capitano.» disse, abbracciandolo. «Grazie di tutto.»
«E’ stato un piacere.»
La ragazza si girò verso T’Pol. «-M’aih....-» disse in vulcaniano. «-Sarai sempre nel mio cuore. Ti voglio bene.-»
T’Pol si chinò in avanti e la baciò sulla guancia. «-Anch’io.-» Le diede un abbraccio, forte e caloroso, ma non molto lungo, come si addiceva a due Vulcaniani in pubblico.
T’Mir si rivolse a Trip. Avevano entrambi gli occhi lucidi. T’Mir non perse altro tempo e lo abbracciò, stretto, come se dovesse tenersi attaccata alla roccia sopra un precipizio. A Trip non importava che altre persone vedessero le sue manifestazioni di affetto. Strinse a sé la figlia, baciandola sulle guance, sulla fronte. Pensò di prenderla in braccio e scappare via, verso l’hangar di lancio, entrare in una navetta e fuggire, con lei, via, lontano dall’Enterprise e soprattutto lontano da Soval che voleva strappargli questa figlia per cui aveva tanto lottato, che amava così tanto anche se non l’aveva ancora - o mai l’avrebbe - concepita.
Il rumore della prima porta che si apriva li fece staccare leggermente. T’Mir gli sorrise. «Non dimenticarmi.»
«Non potrei nemmeno per scherzo.» le sorrise.
Soval entrò dalla seconda porta e salutò i presenti. «Capitano Archer, Comandante T’Pol, Comandante Tucker.» Poi si rivolse alla giovane. «Capitano T’Mir.»
«Ammiraglio Soval.» rispose lei.
«La missione è completamente riuscita. Anche grazie a voi.» disse Soval. «Possiamo andare.»
T’Mir annuì. «Solo.... solo un minuto.» Si girò verso il padre, abbracciandolo di nuovo. «Solo un minuto.... voglio stare qui con te, ancora solo un minuto.... datemi ancora un attimo di tempo.»
Trip chiuse gli occhi, cercando di non piangere. Ormai T’Mir era completamente in lacrime.
«T’Mir.» La voce di Soval era appena un sussurro. «Dobbiamo andare, o si chiuderà la fenditura.»
«Solo un minuto.... ti prego, solo un minuto in più con mio padre....»
Soval sospirò leggermente. Le aveva detto di non rivelare la sua identità, ma come si aspettava non si era potuta trattenere.
T’Mir si scostò leggermente. «Mi mancherai, papi.... mi mancherai tantissimo....»
Trip annuì. La baciò di nuovo sulla fronte. «Anche tu.»
La ragazza fece un passo indietro. «Ti voglio bene....»
T’Mir prese un profondo respiro. «Andiamo.» Camminò fino al portello. Si girò verso T’Pol, le sorrise, poi verso Trip e alzò la mano nel saluto vulcaniano. Attese che Trip rispondesse allo stesso modo, poi oltrepassò la soglia.

Soval entrò in infermeria. «Allora, qual è il problema?»
«Un leggero mal di spazio.» disse il medico. «Ma la nostra T’Mir si rimetterà presto. Anche la ferita sul braccio si sta rimarginando bene.»
«Mal di spazio? Ma lei è una spaziale, come fa ad avere mal di spazio?»
Il medico lanciò uno sguardo a T’Mir.
«Sono incinta.» disse lei, con nonchalanche.
Soval ebbe l’impressione che la nave si fosse aperta sotto i suoi piedi, ma cercò di calmarsi. Non ci riuscì completamente. «Incinta?!»
«Sì, vuol dire che tra poco avrò una bambina.»
«Ammiraglio, si sente bene?» chiese il medico. --Gli sta venendo un infarto....-- pensò.
«E.... e di chi è figlia?!»
«Del tenente Malcolm Reed.» T’Mir si alzò in piedi.
«Sei stata in quell’universo otto giorni!»
«Sì, certo, ma per anni sono stata innamorata di Malcolm. E lo sono tuttora. Il mal di spazio passerà.» Si alzò in piedi. «Non ti preoccupare, non ti chiederò di farmi da babysitter. E per una volta.... una sola volta, se proprio non puoi dimostrare felicità per me, potresti almeno evitare di vedere la cosa come una tragedia?»

Quando Archer entrò nel corridoio bianco notò subito T’Mir seduta davanti al vetro.
«Ehi.»
Lei alzò lo sguardo e gli sorrise. «Ciao, è un po’ che non ci si vede.»
«Ho chiamato Soval, qualche giorno fa, mi ha detto che eri in missione.» Si sedette accanto a lei e le scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. «E che missione era? Stai bene? Sei.... piena di lividi.»
«Sono....» T’Mir esitò. --Ah, chi se ne fotte.-- «Sono tornata indietro nel tempo, in un altro universo.»
Archer la guardò stupito. «Soval che cosa ha detto di questo?»
«E’ stato lui a progettare la missione.»
«E che fine ha fatto la Prima Direttiva Temporale?»
«Sono tornata indietro solo per sistemare i danni fatti da un agente temporale del nostro universo. E’ stato bellissimo.» Sospirò e appoggiò la testa alla sua spalla. «Vi ho visti tutti di quasi trent’anni più giovani, e com’eravate allora, in quell’universo.... Sai che m’aih in quell’universo è ancora più rigida?»
«E’ possibile?» Archer rise. «E gli altri?»
«Papà è uguale.... dolce e fuori di testa. Anche tu sei lo stesso. Potrei quasi dire che Malcolm è meno timido, è difficile dirlo. E Phlox è meno imbranato.»
Lui le mise un braccio intorno alle spalle.
«E’ stato bello rivederli....» T’Mir sospirò. Si alzò in piedi e si appoggiò al vetro di fronte a lei. Dietro di esso, la sala di sospensione di Malcolm Reed. «Quanto ancora ci vorrà?»
«Non lo so. Nessuno lo sa. Potrebbero volerci anni.»
T’Mir si girò verso di lui. «Sono incinta. E il padre è il Malcolm Reed dell’altro universo.»
Archer non poté nascondere la sua sorpresa. «Era una cosa seria.... io ho sempre creduto che fosse un’infatuazione adolescenziale.»
Lei scosse leggermente la testa. «No, e per di più ci siamo ritrovati chiusi nella sala di decontaminazione durante un mio pon farr. E lui era così dolce, così.... timido e bello e soprattutto così giovane....»
«Soval lo sa?»
«Sì, si è quasi preso un infarto.»
«E Reed.... intendo, il Reed dell’altro universo?»
«No, di là lo sa solo m’aih.»
«Perché non l’hai detto a Trip?»
T’Mir chiuse gli occhi. «Perché per lui sarebbe stato troppo perdere me e sua nipote....»
«Pensi di dirlo a lui?» Accennò al Malcolm oltre il vetro.
«Non lo so.»
Archer la prese sottobraccio. «Andiamo ora. Qui non puoi fare nulla. Puoi stare da me, se vuoi.» S’incamminarono fuori dal Centro di Sospensione Vitale. «Ho una bella camera degli ospiti, puoi stare lì.»
«Finché nasce la bambina?»
«Finché si sposa.»
T’Mir scoppiò a ridere.
«Allora è una femmina.» riprese Archer.
Lei annuì. «Charline T’Pol Tucker.»
«No.... è orribile.»
«No, non è vero! E’ carino.»
«Dai, “Charline”.... è tremendo. E poi anche T’Pol, come nome, non m’è mai piaciuto.»
T’Mir gli sorrise. «Non fa niente, è giusto che abbia quei nomi. E m’aih? E’ vero che ti eri preso una cotta per lei?»
Archer rise. «Eh, c’è la domanda di riversa?»

Jonathan accese a luce e si girò verso la porta. «Avanti.»
«Ti ho svegliato.» disse T’Mir.
Lui scosse leggermente la testa. «Non ti preoccupare. C’è qualcosa che non va?» Le fece cenno di sedersi sul letto.
«Ho un attacco di panico. O almeno credo che sia panico. Non l’ho mai provato.»
Jonathan le sorrise e le mise una mano sulla spalla. «Cosa senti?»
«Ho paura.... io.... io non so se riuscirò ad allevare questa bambina. Da sola, senza mia madre né mio padre.»
«Sì, è vero che i tuoi genitori non ci sono. Ma non sei sola.»
T’Mir gli sorrise. «Sì, lo so.... solo che.... Soval aveva ragione. Perderli di nuovo non è facile.»

Archer premette il pulsante sul monitor e trattenne a stento un sospiro quando apparve Soval. «Ammiraglio Soval.» lo salutò.
«Ammiraglio Archer.» Sembrava uno scambio di inutili convenevoli. «Vorrei parlare con T’Mir.»
«Sta dormendo.» rispose secco lui. «Posso riferirle io quello che deve dirle.»
«Non le devo dire nulla di particolare.» ammise Soval. «Ma è un mese che non la sento.»
«Le assicuro che sta bene.» Archer lanciò un’occhiata all’angolo destro del monitor. «Ho una chiamata in arrivo. A presto.» Chiuse velocemente la chiamata di Soval per aprire l’altra.

«T’Mir.» sussurrò Jonathan, aprendo appena la porta della camera degli ospiti, dove la ragazza alloggiava da più di un mese. Raggiunse silenziosamente il letto. «T’Mir.»
Lei aprì gli occhi leggermente. «Che c’è?»
«Scusa, mi dispiace di averti svegliato....» Le sorrise. «Ma non sei l’unica che si è svegliata, stamattina....»
T’Mir si mise a sedere di scatto sul letto: «Malcolm?»

«Vado io.» sussurrò, con voce assonnata.
«No, lascia tocca a me.» T’Mir si girò, ma lui la bloccò con una mano sulla spalla. «No. È il mio turno.» disse.
«Hai detto così le ultime quattro volte.» T’Mir accese la luce soffusa sulla spalliera del letto.
Malcolm alzò tra le braccia il bambino.
«Ha fatto pipì?»
«Due o tre litri....» rispose lui. «Vieni, Jonathan, andiamo a cambiarci.» Malcolm svanì dietro la porta del bagno con il neonato.
T’Mir si girò, quando sentì qualcuno che saliva sul letto. «E tu cosa ci fai qui?»
La piccola di cinque anni si accoccolò accanto a lei. «Jonathan mi ha svegliato.» disse.
«Allora siamo in tre.» Le diede un bacio sulla fronte. «Vuoi stare a dormire nel lettone?»
Lei annuì.
Malcolm tornò dal bagno con il cucciolo dormiente. «Abbiamo un’ospite.» sorrise alla piccola. Accarezzò delicatamente le orecchie a punta del figlio. «Dovremo prenderci un letto più grande.»
T’Mir rise. «Ma no, perché? E’ così bello stare tutti appiccicati.»
Malcolm guardò per qualche secondo la sua famiglia. T’Mir aveva voluto dare ai figli entrambi i cognomi ed entrambi avevano un nome terrestre e uno vulcaniano: Carline T’Pol Tucker Reed e Jonathan Lorian Tucker Reed.
Quando anni prima gli era capitato, in una situazione surreale, di sapere che non sia sarebbe mai sposato e non avrebbe mai avuto figli, non avrebbe immaginato di ritrovarsi con due bellissimi pargoletti dalle orecchie a punta, la cui madre era la figlia di T’Pol e Trip.
Diede un bacio ai figli e a T’Mir, quindi spense la luce.
Forse un giorno sarebbero potuti tornare nello spazio.
Un giorno in cui le navi sarebbero state molto più grandi dell’Enterprise NX-01.... quando sarebbero state abbastanza grandi da poter ospitare famiglie.


FINE


Musica di questo episodio:

“Ma l’Amore No” - Gigliola Cinquetti
“Di Sole e d’Azzurro” - Giorgia


1/11/2007